Messa in soffitta definitivamente la stagione della contrattazione, archiviata dalla
legge Brunetta (dlgs 150/2009), le sole forme consentite di partecipazione dei
sindacati alle scelte strategiche delle pubbliche amministrazioni saranno
l'informazione (preventiva e/o successiva), la consultazione e l'esame congiunto. A
scrivere le nuove regole del gioco, dopo l'intesa sottoscritta il 4 febbraio scorso tra
governo e sindacati per regolamentare il regime transitorio conseguente al blocco del
rinnovo dei Contratti pubblici, c'ha pensato lo stesso ministro della funzione pubblica
che ha inviato all'Aran l'atto di indirizzo per la stipulazione dell'accordo quadro.
La bozza messa a punto da Brunetta (che ItaliaOggi e' in grado di anticipare) non
risolve tutti i problemi, ma mette alcuni importanti punti fermi. Il punto di partenza
non cambia. Il futuro assetto delle relazioni sindacali dovrà «consentire il
rafforzamento del sistema produttivo, lo sviluppo dei fattori per l'occupabilità e il
miglioramento delle retribuzioni reali di tutti i lavoratori». E ancora, si legge nella
bozza, si dovranno creare nei luoghi di lavoro «condizioni confacenti agli obiettivi
generali dell'economia, perseguendo l'incremento dei redditi dei cittadini, delle
imprese e degli stessi dipendenti pubblici attraverso la spinta alla competitività,
all'innovazione e alla flessibilità produttiva». Vediamo allora come e in che modo si
articoleranno le relazioni sindacali. L'informazione preventiva e/o successiva ai
sindacati dovrà essere la regola in materia di organizzazione degli uffici, gestione dei
rapporti di lavoro e trasferimenti di azienda. La consultazione dovrà invece essere
attivata nelle materie previste dall'art. 6 comma 1 del Testo unico del pubblico
impiego (organizzazione e disciplina degli uffici, consistenza e variazione delle
dotazioni organiche). Ma, spiega l'atto di indirizzo, la consultazione «non dovrà
compromettere la funzionalità operativa, la tempestività e l'efficacia dell'azione
amministrativa». L'esame congiunto, infine, dovrà es-sere il modello relazionale per
tutte le materie non indicate dall'art.5 comma 2 del dlgs 165/2001 che attengano alla
tutela della personalità del lavoratore (mobilità intercompartimentale pari opportunità
e mobbing). Al pari della consultazione, anche le modalità di esercizio dell'esame
congiunto dovranno essere tali da «non compromettere la funzionalità operativa, la
tempestività e l'efficacia dell'azione amministrativa». E la decisione finale della
pubblica amministrazione «non potrà essere condizionata in alcun modo da preventive
forme di assenso da parte delle organizzazioni sindacali».
Italia Oggi - Francesco Cerisano
Studio di Consulenza nella Gestione delle Risorse Umane e Controllo di Gestione nella Pubblica Amministrazione
venerdì 1 aprile 2011
INCARICHI ARTICOLO 110 DEL TESTO UNICO SUGLI ENTI LOCALI
Gli incarichi dirigenziali a tempo determinato possono essere attribuiti solo entro
l'8% della dotazione organica dirigenziale, mentre resta ancora applicabile il comma 2
dell'articolo 110 del dlgs 267/2000. Sono queste le conclusioni tratte dalla Corte dei
conti, sezioni riunite, con i pareri 8 marzo 2011, n. 12, 13 e 14.
Le prime due deliberazioni delle sezioni riunite pongono, di fatto, fine all'applicabilità
dell'articolo 110, comma 1, del dlgs 267/2000, ai sensi del quale era possibile coprire
il 100% dei posti della dotazione organica dirigenziale con dirigenti «esterni».
La diretta applicabilità agli enti locali dell'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001,
notano le sezioni riunite, è confermata da quanto ha indicato la Corte costituzionale
con la recente sentenza n. 324/2010, la quale, eliminando ogni residua incertezza, ha
confermato l'applicazione immediata e diretta delle citate norme sia nell'ordinamento
delle regioni sia in quello degli enti locali, cui spetta pertanto un corrispondente
obbligo di adeguamento.
Pertanto, la percentuale di dirigenti esterni utilizzabili dagli enti locali è solo quella
dell'8% della dotazione dirigenziale, considerando che la contrattazione collettiva di
comparto non prevede la distinzione tra dirigenza di prima e di seconda fascia.
Secondo le sezioni riunite, invece, sopravviverebbe la possibilità di assegnare incarichi
dirigenziali extra dotazione organica, ai sensi dell'articolo 110, comma 2, del
dlgs 165/2001. Infatti, spiega il parere 14/2011, la disciplina di tale secondo comma
dell'articolo 110 appare diversa: essa risulta volta a sopperire a «esigenze gestionali
straordinarie che, sole, determinano l'opportunità di affidare funzioni, anche
dirigenziali, extra dotationem e quindi al di là delle previsioni della pianta organica
dell'ente locale che, invece, cristallizza il fabbisogno ordinario di risorse umane».
Italia Oggi - Luigi Oliveri
l'8% della dotazione organica dirigenziale, mentre resta ancora applicabile il comma 2
dell'articolo 110 del dlgs 267/2000. Sono queste le conclusioni tratte dalla Corte dei
conti, sezioni riunite, con i pareri 8 marzo 2011, n. 12, 13 e 14.
Le prime due deliberazioni delle sezioni riunite pongono, di fatto, fine all'applicabilità
dell'articolo 110, comma 1, del dlgs 267/2000, ai sensi del quale era possibile coprire
il 100% dei posti della dotazione organica dirigenziale con dirigenti «esterni».
La diretta applicabilità agli enti locali dell'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001,
notano le sezioni riunite, è confermata da quanto ha indicato la Corte costituzionale
con la recente sentenza n. 324/2010, la quale, eliminando ogni residua incertezza, ha
confermato l'applicazione immediata e diretta delle citate norme sia nell'ordinamento
delle regioni sia in quello degli enti locali, cui spetta pertanto un corrispondente
obbligo di adeguamento.
Pertanto, la percentuale di dirigenti esterni utilizzabili dagli enti locali è solo quella
dell'8% della dotazione dirigenziale, considerando che la contrattazione collettiva di
comparto non prevede la distinzione tra dirigenza di prima e di seconda fascia.
Secondo le sezioni riunite, invece, sopravviverebbe la possibilità di assegnare incarichi
dirigenziali extra dotazione organica, ai sensi dell'articolo 110, comma 2, del
dlgs 165/2001. Infatti, spiega il parere 14/2011, la disciplina di tale secondo comma
dell'articolo 110 appare diversa: essa risulta volta a sopperire a «esigenze gestionali
straordinarie che, sole, determinano l'opportunità di affidare funzioni, anche
dirigenziali, extra dotationem e quindi al di là delle previsioni della pianta organica
dell'ente locale che, invece, cristallizza il fabbisogno ordinario di risorse umane».
Italia Oggi - Luigi Oliveri
INCARICHI EXTRA DEI DIPENDENTI
Fatte salve alcune distinzioni ed eccezioni, i dipendenti di pubbliche amministrazioni
non possono svolgere incarichi non compresi nei compiti e doveri d'ufficio, che non
siano previsti o disciplinati dalla legge o da altre fonti normative, o che non siano
espressamente autorizzati. D'altro canto, il pubblico dipendente non può svolgere
attività o assumere incarichi affidatigli sia da un'altra pubblica amministrazione sia da
soggetti privati senza avere ottenuto un'apposita autorizzazione dal l'ente di
appartenenza. Infine, questi incarichi devono essere tali da escludere casi
d'incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell'interesse del buon andamento della
pubblica amministrazione. La materia è regolamentata dal testo unico del pubblico
impiego, il Dlgs 165 del 30 marzo 2001, e specificatamente dall'articolo 53.
Nell'ottica del contenimento del ricorso all'affidamento d'incarichi ai dipendenti delle
pubbliche amministrazioni, lo stesso articolo 53 ha recentemente subito delle
modifiche, a opera prima del Dl 112 del 25 giugno 2008 e poi del Dlgs 150 del 27
ottobre 2009. In particolare, è stato introdotto il comma 16-bis, secondo cui il
dipartimento della Funzione pubblica, tramite l'Ispettorato per la funzione pubblica,
può disporre verifiche del rispetto della normativa relativa all'affidamento degli
incarichi nella pubblica amministrazione. Inoltre, sempre con modifica introdotta dal
Dl 112/2008, le pubbliche amministrazioni sono tenute a comunicare al dipartimento
della Funzione pubblica, entro il 30 giugno di ciascun anno, i compensi percepiti dai
propri dipendenti anche per incarichi relativi a compiti e doveri d'ufficio.
Come prevede l'articolo 53 comma 7 del Dlgs 165/2001, dunque, gli incarichi retribuiti
non possono essere conferiti al dipendente senza autorizzazione da parte
dell'amministrazione di appartenenza.
L'amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione
entro 30 giorni dalla ricezione della domanda. Va segnalato che, una volta decorso il
termine per provvedere, l'autorizzazione s'intende accordata solamente nel caso in
cui essa sia stata richiesta per incarichi che verrebbero conferiti da altre
amministrazioni pubbliche, mentre in ogni altra circostanza la decorrenza del termine
senza risposta da parte della Pa significa esattamente il contrario, vale a dire che
l'autorizzazione è da considerare definitivamente negata.
L'articolo 53 del Dlgs 165/2001, al comma 8, prevede anche che, se l'incarico è stato
conferito al dipendente senza l'autorizzazione dell'ente di appartenenza, l'importo
previsto come corrispettivo, ove gravi su fondi in disponibilità dell'amministrazione
conferente, è trasferito all'amministrazione di appartenenza del dipendente, con un
vincolo di destinazione al fondo di produttività oppure a fondi equivalenti. Nel caso in
cui, invece, l'incarico risulti provenire da soggetti privati o enti pubblici economici,
secondo quanto disposto dal comma 9 dell'articolo 53 del Dlgs 165/2001, che richiama
l'articolo 6, comma 1, del Dl 28 marzo 1997, n. 79 e successive modificazioni e
integrazioni, l'assenza di autorizzazione è sanzionata con una pena pecuniaria fissata
nel doppio degli emolumenti corrisposti, sotto qualsiasi forma, al dipendente
medesimo.
Ci sono attività o incarichi precisamente individuati dalla legge, che, pur essendo
retribuiti, possono essere svolti dal pubblico dipendente senza la necessità, da parte
sua, di ottenere l'autorizzazione dell'amministrazione datrice di lavoro. Queste
eccezioni sono indicate dal comma 6 del Dlgs 165/2001: l'elenco comprende la
collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili, l'utilizzazione economica da
parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali, la
partecipazione a convegni e seminari, gli incarichi per i quali è corrisposto solo il
rimborso delle spese documentate, gli incarichi per lo svolgimento dei quali il
dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo, gli incarichi
conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti distaccati presso le stesse o in
aspettativa non retribuita e, infine, l'attività di formazione diretta ai dipendenti della
pubblica amministrazione. A questa lista si aggiungono gli incarichi gratuiti, visto che,
ai fini della necessaria autorizzazione, il legislatore ha inteso considerare, con la
norma in esame, i soli incarichi, anche se occasionali, per i quali sia comunque previsto,
sotto qualsiasi forma, un compenso.
Il Sole 24Ore - Massimo Sanguini
non possono svolgere incarichi non compresi nei compiti e doveri d'ufficio, che non
siano previsti o disciplinati dalla legge o da altre fonti normative, o che non siano
espressamente autorizzati. D'altro canto, il pubblico dipendente non può svolgere
attività o assumere incarichi affidatigli sia da un'altra pubblica amministrazione sia da
soggetti privati senza avere ottenuto un'apposita autorizzazione dal l'ente di
appartenenza. Infine, questi incarichi devono essere tali da escludere casi
d'incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell'interesse del buon andamento della
pubblica amministrazione. La materia è regolamentata dal testo unico del pubblico
impiego, il Dlgs 165 del 30 marzo 2001, e specificatamente dall'articolo 53.
Nell'ottica del contenimento del ricorso all'affidamento d'incarichi ai dipendenti delle
pubbliche amministrazioni, lo stesso articolo 53 ha recentemente subito delle
modifiche, a opera prima del Dl 112 del 25 giugno 2008 e poi del Dlgs 150 del 27
ottobre 2009. In particolare, è stato introdotto il comma 16-bis, secondo cui il
dipartimento della Funzione pubblica, tramite l'Ispettorato per la funzione pubblica,
può disporre verifiche del rispetto della normativa relativa all'affidamento degli
incarichi nella pubblica amministrazione. Inoltre, sempre con modifica introdotta dal
Dl 112/2008, le pubbliche amministrazioni sono tenute a comunicare al dipartimento
della Funzione pubblica, entro il 30 giugno di ciascun anno, i compensi percepiti dai
propri dipendenti anche per incarichi relativi a compiti e doveri d'ufficio.
Come prevede l'articolo 53 comma 7 del Dlgs 165/2001, dunque, gli incarichi retribuiti
non possono essere conferiti al dipendente senza autorizzazione da parte
dell'amministrazione di appartenenza.
L'amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione
entro 30 giorni dalla ricezione della domanda. Va segnalato che, una volta decorso il
termine per provvedere, l'autorizzazione s'intende accordata solamente nel caso in
cui essa sia stata richiesta per incarichi che verrebbero conferiti da altre
amministrazioni pubbliche, mentre in ogni altra circostanza la decorrenza del termine
senza risposta da parte della Pa significa esattamente il contrario, vale a dire che
l'autorizzazione è da considerare definitivamente negata.
L'articolo 53 del Dlgs 165/2001, al comma 8, prevede anche che, se l'incarico è stato
conferito al dipendente senza l'autorizzazione dell'ente di appartenenza, l'importo
previsto come corrispettivo, ove gravi su fondi in disponibilità dell'amministrazione
conferente, è trasferito all'amministrazione di appartenenza del dipendente, con un
vincolo di destinazione al fondo di produttività oppure a fondi equivalenti. Nel caso in
cui, invece, l'incarico risulti provenire da soggetti privati o enti pubblici economici,
secondo quanto disposto dal comma 9 dell'articolo 53 del Dlgs 165/2001, che richiama
l'articolo 6, comma 1, del Dl 28 marzo 1997, n. 79 e successive modificazioni e
integrazioni, l'assenza di autorizzazione è sanzionata con una pena pecuniaria fissata
nel doppio degli emolumenti corrisposti, sotto qualsiasi forma, al dipendente
medesimo.
Ci sono attività o incarichi precisamente individuati dalla legge, che, pur essendo
retribuiti, possono essere svolti dal pubblico dipendente senza la necessità, da parte
sua, di ottenere l'autorizzazione dell'amministrazione datrice di lavoro. Queste
eccezioni sono indicate dal comma 6 del Dlgs 165/2001: l'elenco comprende la
collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili, l'utilizzazione economica da
parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali, la
partecipazione a convegni e seminari, gli incarichi per i quali è corrisposto solo il
rimborso delle spese documentate, gli incarichi per lo svolgimento dei quali il
dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo, gli incarichi
conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti distaccati presso le stesse o in
aspettativa non retribuita e, infine, l'attività di formazione diretta ai dipendenti della
pubblica amministrazione. A questa lista si aggiungono gli incarichi gratuiti, visto che,
ai fini della necessaria autorizzazione, il legislatore ha inteso considerare, con la
norma in esame, i soli incarichi, anche se occasionali, per i quali sia comunque previsto,
sotto qualsiasi forma, un compenso.
Il Sole 24Ore - Massimo Sanguini
PUBBLICAZIONE DEI DATI DEI DIPENDENTI E GESTIONE DEL SITO INTERNET
Le linee guida - che dopo essere state sottoposte a una consultazione generale sono
state pubblicate sulla «Gazzetta Ufficiale» 64 del 19 marzo - affrontano diversi
aspetti della diffusione online di documenti pubblici, con la consapevolezza che i vari
interventi legislativi succedutisi nel tempo hanno introdotto una «forte
frammentazione della disciplina». Il presupposto da cui partire è che possono essere
messi sulla rete atti contenenti dati personali solo se c'è una legge o un regolamento
che lo prevede, fermo restando il divieto di pubblicazione dei dati sulla salute. Per
esempio, una sicura copertura legislativa è data dal programma triennale sulla
trasparenza. In particolare, dalle linee guida predisposte in tal senso dalla Civit. Le
pubbliche amministrazioni possono anche valutare di andare oltre le indicazioni della
Civit, ma in questo caso devono motivare adeguatamente la scelta nell'ambito del
programma triennale. E comunque, devono sempre tenere presenti i principi di
necessità, proporzionalità e pertinenza dei dati pubblicati. Più nel dettaglio e
limitandosi ad alcuni esempi, possono finire su internet informazioni sulle retribuzioni
dei dipendenti pubblici o sulla loro produttività (ma non, per esempio, notizie
particolari sui cedolini dello stipendio, su aspetti particolari della dichiarazione dei
redditi, sugli orari di entrata e uscita, sul domicilio privato). Possono, altresì, essere
messi online i curricula di dirigenti, segretari comunali e provinciali, ma non in maniera
integrale: vanno, infatti, omessi i dati strettamente personali non pertinenti con le
finalità della trasparenza. Via libera anche alla pubblicazione online, senza vincoli, dei
risultati delle prove di concorso e delle graduatorie fmali. È anche possibile pubblicare
altre informazioni, ma che devono essere accessibili, attraverso password o altri
filtri, solo a chi ha partecipato al concorso. Si pensi, per esempio, ai verbali o a
eventuali titoli di precedenza o preferenza accordati ad alcuni candidati. Il garante ha
inoltre raccomandato che tutte le informazioni siano rintracciabili attraverso
modalità di accesso interne al sito su cui vengono pubblicate, piuttosto che mediante
motori di ricerca esterni. E questo per evitare che i dati personali finiscano per
essere decontestualizzati e anche una volta diventati vecchi continuino a circolare per
internet, non garantendo il diritto all'oblio degli interessati. Altra raccomandazione è
che le informazioni stiano in rete per periodi ben precisi, che, laddove non siano
espressamente indicati da disposizioni di legge, devono essere le stesse pubbliche
amministrazioni a individuare.
Il Sole 24 Ore - Cherchi Antonello
state pubblicate sulla «Gazzetta Ufficiale» 64 del 19 marzo - affrontano diversi
aspetti della diffusione online di documenti pubblici, con la consapevolezza che i vari
interventi legislativi succedutisi nel tempo hanno introdotto una «forte
frammentazione della disciplina». Il presupposto da cui partire è che possono essere
messi sulla rete atti contenenti dati personali solo se c'è una legge o un regolamento
che lo prevede, fermo restando il divieto di pubblicazione dei dati sulla salute. Per
esempio, una sicura copertura legislativa è data dal programma triennale sulla
trasparenza. In particolare, dalle linee guida predisposte in tal senso dalla Civit. Le
pubbliche amministrazioni possono anche valutare di andare oltre le indicazioni della
Civit, ma in questo caso devono motivare adeguatamente la scelta nell'ambito del
programma triennale. E comunque, devono sempre tenere presenti i principi di
necessità, proporzionalità e pertinenza dei dati pubblicati. Più nel dettaglio e
limitandosi ad alcuni esempi, possono finire su internet informazioni sulle retribuzioni
dei dipendenti pubblici o sulla loro produttività (ma non, per esempio, notizie
particolari sui cedolini dello stipendio, su aspetti particolari della dichiarazione dei
redditi, sugli orari di entrata e uscita, sul domicilio privato). Possono, altresì, essere
messi online i curricula di dirigenti, segretari comunali e provinciali, ma non in maniera
integrale: vanno, infatti, omessi i dati strettamente personali non pertinenti con le
finalità della trasparenza. Via libera anche alla pubblicazione online, senza vincoli, dei
risultati delle prove di concorso e delle graduatorie fmali. È anche possibile pubblicare
altre informazioni, ma che devono essere accessibili, attraverso password o altri
filtri, solo a chi ha partecipato al concorso. Si pensi, per esempio, ai verbali o a
eventuali titoli di precedenza o preferenza accordati ad alcuni candidati. Il garante ha
inoltre raccomandato che tutte le informazioni siano rintracciabili attraverso
modalità di accesso interne al sito su cui vengono pubblicate, piuttosto che mediante
motori di ricerca esterni. E questo per evitare che i dati personali finiscano per
essere decontestualizzati e anche una volta diventati vecchi continuino a circolare per
internet, non garantendo il diritto all'oblio degli interessati. Altra raccomandazione è
che le informazioni stiano in rete per periodi ben precisi, che, laddove non siano
espressamente indicati da disposizioni di legge, devono essere le stesse pubbliche
amministrazioni a individuare.
Il Sole 24 Ore - Cherchi Antonello
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