La recente sentenza del Consiglio di stato, n. 552 del 26/01/2011 riapre la discussione
sulla possibilità per gli enti locali di gestire direttamente i servizi pubblici locali a
rilevanza economica. La sentenza giunge all'indomani della pronuncia della Corte
costituzionale n. 325 del 03/11/2010 che, seppur in via incidentale, aveva affermato il
contrario.
Adesso la partita viene nuovamente riaperta dal Consiglio di stato, il quale, con la
sentenza n. 552 del 26/01/2011, accogliendo il ricorso in appello del comune di San
Clemente, ha sostenuto che i giudici di primo grado avrebbero ignorato la fondamentale
distinzione tra «gestione diretta» e «affidamento diretto» dei servizi pubblici locali a
rilevanza economica. La prima (la gestione diretta), sempre praticabile dall'ente locale,
soprattutto quando si tratti di attività di modesto impegno finanziario, mentre il
secondo (l'affidamento diretto) consentito solo in caso di affidamento ai sensi del
comma 2 let. b) dell'art. 23-bis (affidamento diretto a società mista) e nel caso in cui
ricorrano le condizioni previste al successivo comma 3 (affidamento a società in
house).
Secondo il Consiglio di stato non esisterebbe alcuna norma che obbliga i comuni ad
affidare all'esterno i servizi come l'illuminazione pubblica, i centri assistenziali, le
case di accoglienza, le case di riposo, le case famiglia, l'assistenza domiciliare per
anziani e handicappati, gli asili nido, le mense scolastiche, il trasporto scolastico, le
biblioteche e gli impianti sportivi, cioè tutti quei servizi pubblici che la gran parte dei
comuni italiani preferisce gestire direttamente piuttosto che affidarli all'esterno in
regime di libera concorrenza. Il Cds arriva addirittura a definire come «inverosimile»
immaginare che un comune, soprattutto se di piccole dimensioni, non possa decidere in
piena autonomia se gestire direttamente o meno un servizio come quello
dell'illuminazione votiva cimiteriale, che addirittura, nel caso di specie, necessita solo
dell'impegno periodico di una persona e di una spesa annua di qualche migliaio di euro.
La pronuncia del giudice di primo grado, inoltre, pare non avere tenuto conto neanche
delle ripercussioni a carattere finanziario di un eventuale affidamento all'esterno del
servizio pubblico; infatti, oltre alle spese dirette di gestione vera e propria del
servizio, dovrebbero essere tenute in considerazione anche le spese indirette che
l'ente comunque sostiene per espletamento di una procedura a evidenza pubblica in
termini di costo del personale che viene impiegato nel procedimento.
Adeguata considerazione non è stata data dal Tar neppure al fatto che un
imprenditore privato ha normalmente l'obiettivo di ottenere una remunerazione dei
fattori produttivi impiegati nell'esercizio della propria impresa e che a parità di livello
qualitativo e quantitativo del servizio, i costi della gestione da parte di terzi
tenderanno a essere di norma più elevati rispetto ad una gestione diretta del comune; a
meno che la gestione del privato non porti a una più efficiente combinazione dei fattori
produttivi.
Alessandro Manetti
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