domenica 23 gennaio 2011

Vincoli alle assunzioni nel 2011 a tempo indeterminato

Normativa e prassi di riferimento:


art. 14, comma 9, del D.L. n. 78/2010



Nuovo vincolo in vigore dal 2011:

è fatto divieto agli enti nei quali l’incidenza delle spese di personale è pari o superiore

al 40 % delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e

con qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale; i restanti enti possono

procedere ad assunzioni di personale nel limite del 20 % della spesa corrispondente

alle cessazioni dell’anno precedente.

Applicazione del nuovo vincolo:

attenzione ai seguenti aspetti applicativi del suddetto vincolo:

il limite del 20% va calcolato in riferimento alla spesa e non al numero delle

cessazioni dell’anno precedente;

per quanto riguarda le cessazioni in corso d’anno, il 20% deve essere calcolato

sulla spesa del dipendente cessato con riferimento all’intero anno e non solamente sulla spesa effettivamente sostenuta; la norma è infatti rivolta al contenimento della

spesa di personale, per cui occorre tenere conto degli andamenti occupazionali e delle

scelte gestionali “a regime” per l’intera annualità (cfr. delib. n. 1041/2010 della Corte

dei Conti della Lombardia);

qualora per ciascun ente le assunzioni effettuabili in riferimento alle cessazioni

intervenute nell’anno precedente, riferite a ciascun anno, siano inferiori all’unità, le

quote non utilizzate possono essere cumulate con quelle derivanti dalle cessazioni

relative agli anni successivi, fino al raggiungimento dell’unità (art. 9, comma 11, D.L.

78/2010).

Casi particolari d applicazione del nuovo vincolo:

trattenimento in servizio dei pubblici dipendenti oltre i limiti di età per il

collocamento a riposo (art. 16, D.Lgs. n. 503/1992): possono essere disposti solo

nell’ambito delle facoltà assunzionali consentite dalla legislazione vigente in base alle

cessazioni di personale (art. 9, comma 31, D.L. 78/2010) = E’ CONSIDERATA NUOVA

ASSUNZIONE;

personale assunto con contratto di lavoro a tempo parziale : la trasformazione del

rapporto a tempo pieno può avvenire nel rispetto delle modalità e dei limiti previsti

dalle disposizioni vigenti in materia di assunzioni (art. 3, comma 101, L. 244/2007, cfr.

delib. 873/2010 Corte Conti Lombardia) = E’ CONSIDERATA NUOVA ASSUNZIONE;

assunzioni categorie protette : si riporta un estratto della Circolare n. 6/2009

firmata dal Ministro Brunetta relativa al blocco delle assunzioni nelle pubbliche

amministrazioni dello scorso anno; il principio riportato può essere ritenuto valido

anche per le assunzioni degli enti locali nel 2011: “In merito all’ambito di intervento

del divieto di assumere, si ritiene siano esclusi dal divieto le categorie protette, nel

limite del completamento della quota d’obbligo. Trattasi di una categoria meritevole di

tutela in quanto rientrante tra le fasce deboli della popolazione che rimane

normalmente esclusa dai blocchi e dai vincoli assunzionali, attesa l’esigenza di

assicurare in maniera permanente l’inclusione al lavoro dei soggetti beneficiari della

normativa di riferimento. Si ricorda che la mancata copertura della quota d’obbligo

riservata alle categorie protette è espressamente sanzionata sul piano penale,

amministrativo e disciplinare secondo quanto previsto dall’art. 15, comma 3, della

legge 12 marzo 1999, n. 68”. = SONO ESCLUSE DAI VINCOLI IN MATERIA DI

ASSUNZIONI SOLO NEL LIMITE DEL COMPLETAMENTO DELLA QUOTA

DELL’OBBLIGO;

mobilità : la mobilità in uscita non costituisce cessazione e, quindi, non consente la

sostituzione tramite concorsi, ma solamente con assunzioni in mobilità; può quindi

essere sostituita tramite concorso solo se è diretta a un ente che non ha vincoli alle

assunzioni (Corte dei Conti, Sezioni Riunite, delibera n. 59/2010). Al fine di garantire

la necessaria neutralità finanziaria delle operazioni di trasferimento il Dipartimento

della funzione pubblica, con la Circolare n. 4 del 2008 e, in seguito, con alcuni specifici pareri (da ultimo quello reso alla Croce rossa italiana n. 13731 del 19 marzo 2010) ha

chiarito che, poiché l’ente che riceve personale in esito alle procedure di mobilità non

imputa tali nuovi ingressi alla quota di assunzioni normativamente prevista, l’ente che

cede non può considerare la cessazione per mobilità come equiparata a quelle

fisiologicamente derivanti da collocamenti a riposo; espletate le procedure di mobilità,

l’ente ricevente resta, infatti, libero di effettuare un numero di assunzioni

compatibile con il regime vincolistico e con le vacanze residue di organico.



Riepilogo dei vincoli sulle assunzioni a tempo indeterminato da tenere presente

nell’anno 2011 in sede di programmazione triennale del personale e di

programma annuale delle assunzioni:

Enti soggetti al patto di stabilità:

qualora il rapporto tra la spesa del personale e le spese correnti sia inferiore

al 40%, è possibile procedere ad assunzioni di personale nel limite del 20%

della spesa corrispondente alle cessazioni dell’anno precedente (art. 14,

comma 9, D.L. n. 78/2010);

negli enti in cui l’incidenza della spesa di personale sia pari o inferiore al 35%

della spesa corrente, è possibile effettuare assunzioni per turn-over in

deroga al suddetto limite del 20%, sempre nel rispetto del patto di stabilità

interno e dei limiti complessivi delle spese di personale, al fine di consentire

l’esercizio delle funzioni di polizia locale previste dall’art. 21, comma 3, lett.

b), della L. n. 42/2009 (art. 1, comma 118, della Legge di stabilità 2011);

per poter assumere, deve essere stato rispettato il vincolo riduzione della

spesa nell’anno precedente (art. 14, c. 7, D.L. 78/2010) e l’assunzione deve

garantire il rispetto del vincolo di riduzione della spesa nell’anno in corso.

Sanzioni in materia di assunzioni per gli enti che non hanno rispettato il patto

di stabilità:

divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con

qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione

coordinata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai

processi di stabilizzazione in atto; è fatto altresì divieto agli enti di stipulare

contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della

predetta disposizione (art. 76, comma 4, D.L. n. 112/2008);

tra i divieti di cui sopra rientrano anche le convenzioni previste dall’art. 14 del

CCNL del 22/01/2004 per l’utilizzo di personale di altre amministrazioni (cfr.

delib. n. 37/2010 Corte Conti Veneto e n. 676/2010 Corte Conti Lombardia);

è vietata anche la mobilità (cfr. art. 1, comma 47, L. 311/2004, delib. n.

53/2010 Corte dei Conti Sezioni Riunite in sede di controllo).



Enti non soggetti al patto di stabilità (tra le altre, Delibera Corte dei Conti

Sezione riunite n. 52/2010, Deliberazione Corte dei Conti Veneto n. 227/2010, Delibera

Corte Conti Lombardia n. 989/2010):

non si applica la percentuale del 20% sulle cessazioni;

rimane garantito il turn-over al 100% delle cessazioni, anche quelle

verificatesi dopo il 2006 (delibera 52/2010 Corte Conti, Sezioni Riunite);

l’assunzione si può fare l’anno successivo a quello di cessazione, nel rispetto:

a) del tetto della spesa del personale dell’anno 2004, al netto degli aumenti

contrattuali;

b) del rapporto tra spesa del personale e spesa corrente, che deve essere

inferiore al 40% (art. 14, comma 9, D.L. n. 78/2010).

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Blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici

Limite al trattamento economico


complessivo - Art. 9, c. 1, D.L. n. 78

‘‘Per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico

complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale,

ivi compreso il trattamento accessorio, previsto

dai rispettivi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche

inserite nel conto economico consolidato della pubblica

amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale

di statistica (Istat) ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della

legge 31 dicembre 2009, n. 196, non puo` superare, in ogni

caso, il trattamento ordinariamente spettante per l’anno

2010, al netto degli effetti derivanti da eventi straordinari

della dinamica retributiva, ivi incluse le variazioni dipendenti

da eventuali arretrati, conseguimento di funzioni diverse in

corso d’anno, fermo in ogni caso quanto previsto dal comma

21, 3º e 4º periodo, per le progressioni di carriera comunque

denominate, maternita` , malattia, missioni svolte

all’estero, effettiva presenza in servizio, fatto salvo quanto

previsto dal comma 17, secondo periodo e dall’art. 8, comma

14.’’

La norma impone, quindi, il confronto fra due

quantita`: il trattamento economico complessivo e

il trattamento ordinariamente spettante e il primo,

relativo agli anni 2011, 2012 e 2013, non puo` superare

l’ammontare del secondo, calcolato con riferimento

al 2010. Entrambe vanno riferite al singolo

dipendente, come ribadito dalla Corte dei conti (1).

L’identificazione del trattamento economico complessivo

risulta abbastanza agevole, in quanto rappresenta

l’insieme di tutte le voci stipendiali che

compongono la retribuzione dei dipendenti pubblici.

Si potrebbe pensare di escludere alcuni elementi,

ma il loro valore risulta marginale. Ne potrebbero

essere esempi l’assegno per il nucleo familiare,

in quanto generalmente non viene considerato trattamento

economico e perche´ la sua normativa ne

mantiene avulso l’andamento da quello dello stipendio,

eventuali rimborsi spese presenti nonche´

l’equo indennizzo, perche´ qualificato come prestazione

previdenziale.

Maggiori problemi sorgono nella quantificazione

del trattamento ordinariamente spettante in quanto

siamo di fronte ad una delle formule usate dal legislatore,

che non trova la sua definizione nel nostro

ordinamento giuridico. In questa incertezza, si ritiene

di poter affermare che nella quantita` in questione

non dovrebbe rientrare il compenso per lavoro straordinario,

in quanto lo stesso presuppone eventi

eccezionali e non prevedibili. Allo stesso modo,

non dovrebbero rientrare in tale quantita` i compensi

attribuiti a seguito del verificarsi di fenomeni naturali

eccezionali, quali le calamita` naturali (alluvioni,

terremoti, ecc.) Per quanto attiene al ‘‘fenomeno

neve’’, lo stesso deve essere contestualizzato. Infatti,

mentre a Catania, lo si puo` ritenere eccezionale,

non si puo` dire altrettanto per una nevicata a Sondrio.

Oltre a questo, la norma fornisce alcune indicazioni

utili per la sua definizione. Specifica, infatti,

che trattasi di quel trattamento che si ottiene neutralizzando

gli effetti derivanti da eventi straordinari

della dinamica retributiva. Anche questa non rappresenta

una locuzione che trova fondamento nel

nostro ordinamento e, quindi, vengono in rilievo

problemi interpretativi. Si pensa possano rientrare

in tali fattispecie le assunzioni, in quanto non sarebbe

pensabile dover confrontare la retribuzione

relativa ad alcuni mesi del 2010, perche´ il dipendente

e` stato assunto in corso d’anno, con quella

dell’intero 2011. L’ente che assuma per mobilita`,

sia volontaria che obbligatoria, dovra` aver cura di

richiedere all’amministrazione cedente il bagaglio

di trattamento ordinariamente spettante che il dipendente

porta con se´ e sommarla con quanto maturato

presso lo stesso ente, se l’assunzione avviene

nel 2010, ovvero considerarlo gia` come limite, se

l’assunzione avviene nel triennio 2011-2013. Analogamente,

negli eventi straordinari, si puo` far rientrare

la trasformazione da part-time a tempo pieno

del rapporto di lavoro, in quanto non risulterebbe

confrontabile lo stipendio relativo a 18 ore settimanali

del 2010 con quello a tempo pieno del 2011

quando, per esempio, il dipendente in part-time al

50% ritorna a tempo pieno l’1 gennaio 2011. In altre

parole, la norma consente di omogeneizzare, sia

sotto il profilo temporale che sotto l’aspetto dell’impegno

lavorativo, le quantita` che vanno comparate

nel 2011, 2012 e 2013 rispetto al 2010.

La disposizione chiarisce che sono eventi straordinari

della dinamica retributiva:

_ le variazioni dipendenti da eventuali arretrati. Oltre

all’ipotesi di emolumenti dovuti a sentenza, la

fattispecie puo` riguardare, eventualmente, solo gli

arretrati per l’applicazione del Ccnl ai segretari comunali

e provinciali relativo ai bienni economici

2006-2007 e 2008-2009, stante il blocco generalizzato

dei contratti collettivi per il personale dipendente

per il triennio 2010-2012;

_ il conseguimento di funzioni diverse in corso

d’anno. Anche in questo caso i confini non sono

molto delineati. Si puo` ritenere di ricomprendere

nell’accezione in questione il conferimento della titolarita`

della posizione organizzativa, in quanto

trattasi di un aumento retributivo conseguente a

nuove e piu` ampie responsabilita`. Nello stesso senso,

e` ipotizzabile che in tale contesto rientri anche il

conferimento della responsabilita` di procedimento

ed eventuale relativa indennita`. Spingendosi ancora

oltre, si potrebbe dire che il conseguimento di funzioni

diverse abbraccia tutte quelle ipotesi in cui, a

seguito di modifica di profilo professionale, si debba

riconoscere una particolare indennita`. Si pensi,

ad esempio, ad un istruttore amministrativo, categoria

C, che nel corso del 2010, per mobilita` interna,

vada a ricoprire un posto di istruttore di vigilanza,

all’interno della medesima categoria. Nell’esempio

esposto, la disposizione fa salvo il conseguente

riconoscimento dell’indennita` di vigilanza

anche per gli anni 2011, 2012 e 2013, che, in caso

contrario, andrebbe a ‘‘gonfiare’’ il trattamento

economico complessivo.

Leggendo al contrario la disposizione in commento,

non sono fatti salvi tutti gli aumenti retributivi

non derivanti dal conseguimento di funzioni diverse.

L’esempio principe e` rappresentato dalle progressioni

economiche (ex progressioni orizzontali),

le quali, se effettuate con decorrenza 2011, entreranno

nel coacervo del trattamento economico

complessivo, ma non sono presenti nel trattamento

ordinariamente spettante del 2010 e, quindi, comporteranno

il mancato rispetto del limite. Sembra,

in pratica, che la disposizione blocchi il ricorso alle

predette progressioni come strumenti premianti.

La norma, oltre ai casi suesposti, fa salve le disposizioni

contenute nel c. 21, periodo 3 e 4, in tema di

progressioni di carriera, le quali dispongono che le

ex progressioni verticali, effettuate sempre nel

triennio 2011-2013, hanno effetti solo giuridici,

ma non economici. In altre parole, viene stabilito

che, nel caso in cui il dipendente, con progressione

di carriera, passi dalla categoria C alla categoria D,

lo stesso debba svolgere le funzioni previste per il

profilo professionale ascritto alla categoria D, ma la

sua retribuzione resta quella della categoria C. Al di

la` dei forti dubbi di incostituzionalita` che la norma

presenta, non si comprende la disposizione inserita

in questo contesto, stante la sua ‘‘indifferenza’’

economica.

Il comma in questione fa, altresı`, salve tutte quelle

ipotesi in cui il dipendente ha usufruito di istituti

contrattuali che hanno comportato la riduzione dello

stipendio (malattia, maternita`, missione all’estero,

effettiva presenza in servizio). Il legislatore ha

voluto, anche in questi casi, neutralizzare gli effetti

distorsivi che le predette assenze avrebbero avuto

sul trattamento ordinariamente spettante. Si pensi,

ad esempio, ad una dipendente la quale, nel corso

del 2010, abbia usufruito di tutto il congedo parentale

e, quindi, per il periodo che va oltre i primi 30

giorni e fino ai sei mesi, la stessa abbia percepito una

retribuzione ridotta al 30%. Per calcolare l’importo

della retribuzione ordinariamente spettante

per l’anno 2010 si deve procedere al calcolo di

quanto la stessa avrebbe percepito se non avesse

usufruito del predetto congedo parentale. E cosı`

per tutte le ipotesi in cui l’effettiva presenza in servizio

possa aver inciso sul trattamento economico

del dipendente. Si pensi alle ipotesi di assenza

per malattia nei primi dieci giorni, di corresponsione

dell’indennita` rischio, e cosı` via.

In ogni caso, viene fatta salva la corresponsione

dell’indennita` di vacanza contrattuale, che risulta

non intaccata dalla disposizione in commento.

Da quanto sin qui detto, risulta evidente che il trattamento

ordinariamente spettante per l’anno 2010

non coincide necessariamente con quanto percepito

dal dipendente nel medesimo anno, ma bisogna

procedere alla ricostruzione di una retribuzione

‘‘virtuale’’, per neutralizzare gli effetti di tutte

quelle ipotesi che la stessa norma fa salvi. La Corte

dei conti parla di retribuzione giuridicamente spettante.

Ricostruzione che dovrebbe seguire il criterio di

competenza, in quanto la locuzione ‘‘spettante’’ sembra

richiamare tutto quello che e` riferito al 2010 piuttosto

che quanto pagato nel medesimo anno.

Il trattamento ordinariamente spettante, quindi, rappresenta

una quantita` che dovrebbe essere inferiore

al trattamento economico complessivo, se non per i

casi prima esposti (compenso per lavoro straordinario,

reperibilita` per neve, ecc.). Una lettura restrittiva

della norma, che porti a ‘‘fotografare’’ quanto

avvenuto, di ordinario, nel 2010 e a replicarlo esattamente

negli anni 2011, 2012 e 2013 comporta,

quantomeno, tre problemi:

1) conseguenze negative a livello di gestione e organizzazione

del personale. Stante la non comprimibilita`

del trattamento economico fondamentale,

eventuali necessita` di prestazioni ulteriori nel

2011 rispetto al 2010, che comportino la corresponsione

di maggiori compensi, non possono essere richieste

se non ricorrendo alla riduzione di altre voci.

In altre parole, se si presenta la necessita` di far

fare ad un vigile, nel 2011, un turno in piu` rispetto

al 2010, si dovra` procedere alla corrispondente decurtazione

di altre voci (ad esempio, il rischio) per

non andare oltre il limite;

2) non si comprende il valore della norma contenuta

nel c. 2 bis del medesimo art. 9, che impone un

tetto al trattamento accessorio complessivo di ente.

Sussistendo un limite al trattamento accessorio individuale,

il vincolo sul trattamento economico

complessivo non e` altro che la somma dei limiti individuali

e, quindi, la disposizione del c. 2 bis sembra

non avere significato;

3) sussistono forti perplessita` nell’ambito dell’applicazione

della riforma Brunetta: come si fa a premiare

i piu` bravi, attraverso le famose fasce, quando

sussiste un limite alla retribuzione complessiva?

Per queste motivazioni, si ritiene sia necessario andar

oltre alla mera interpretazione letterale. Alcuni

interpreti propongono di considerare nel trattamento

accessorio solo quelle voci che presentano il carattere

di ricorrenza. Si parla, infatti, di ‘‘accessorio

fisso’’. Ne consegue che rimarrebbero fuori dalla

portata della norma tutti gli emolumenti che presentano

una spiccata variabilita`, quale, tipicamente,

la vecchia produttivita`, oggi bonus annuale collegato

alla performance. Altri interpreti spostano l’attenzione

dal singolo dipendente al suo profilo professionale

e ragionano in termini di trattamento ordinariamente

spettante per tale profilo, ammettendo

che possa rientrare nel suddetto trattamento ordinariamente

spettante anche una quota di straordinario,

di turno, di reperibilita`, in quanto ‘‘normalmente’’

percepito dal profilo in questione. Seguendo tale linea

e forzando un po’’ la mano, si potrebbe arrivare

a dire che anche un importo di produttivita` puo` essere

considerato ordinariamente spettante, in quanto,

ancora, normalmente percepito dal lavoratore

che presti, con diligenza, la propria opera.

Qualunque sia l’interpretazione seguita, appaiono

comportamenti censurabili iniziative volte ad inserire,

nel 2011, l’istituto del turno in un settore dove,

nel 2010, non era presente oppure aumentare l’importo

di alcune indennita` accessorie, quale il disagio.

In quest’ottica, sembra, altresı`, ancora maggiormente

difficile sostenere l’inserimento nel fondo

per le risorse decentrate di somme ai sensi dell’art.

15, c. 2 e 5, del Ccnl 1º aprile 1999, in quanto trovano

il loro fondamento nella progettualita`, che va

oltre l’ordinaria attivita` dell’amministrazione.

In ogni caso, e` assolutamente opportuno un intervento

chiarificatore dell’organo deputato alla interpretazione

della norma; intervento che si auspica

possa vedersi in tempi rapidissimi, al fine di consentire

alle amministrazioni la necessaria programmazione

in tema di gestione del personale.

Tagli agli stipendi alti -

Art. 9, c. 2, D.L. n. 78

In considerazione della eccezionalita` della situazione economica

internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie

di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede

europea, a decorrere dal 1º gennaio

2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici

complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale,

previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni

pubbliche, inserite nel conto economico consolidato

della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto

nazionale di statistica (Istat), ai sensi del comma 3,

dell’art. 1, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, superiori

a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del 5 per cento per la

parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro,

nonche´ del 10 per cento per la parte eccedente 150.000

euro; a seguito della predetta riduzione il trattamento economico

complessivo non puo` essere comunque inferiore a

90.000 euro lordi annui; (...)

La riduzione prevista dal primo periodo del presente comma

non opera ai fini previdenziali.

Altra norma che interessa il triennio 2011-2013.

Impone alle amministrazione di procedere alla riduzione

del trattamento economico complessivo nella

misura del 5% per la parte che eccede i 90.000 annui

lordi e del 10% per la parte che eccede i

150.000 euro annui lordi. Il riferimento e`, ancora

una volta, al trattamento economico complessivo

del singolo dipendente e, quindi, comprensivo di

tutte le voci stipendiali. E ` da sottolineare che, per

i segretari comunali e provinciali, tale trattamento

comprende sia i diritti di segreteria che la retribuzione

aggiuntiva per sedi convenzionate. A questo

proposito, giova evidenziare che, in caso di convenzione

di segreteria, e` necessario che un ente appartenente

alla convenzione, di solito il capofila,

mantenga monitorata la retribuzione del segretario,

al fine di determinare il momento in cui detto stipendio

superi gli importi dei 90.000 euro e dei

150.000 euro. Sara`, poi, l’accordo fra le amministrazione

a stabilire come si procedera` alla riduzione.

Due sono le possibilita`:

_ ciascun ente procede alla riduzione sulle somme

direttamente corrisposte al segretario;

_ l’ente capofila effettua un ‘‘conguaglio’’ e applica

la riduzione nel suo intero importo.

Un altro problema riguarda le voci sulle quali si va

ad incidere. Anche in questo caso, due sono i percorsi

che si possono seguire:

_ viene ridotto solo il salario accessorio, ed in questo

caso bisogna predeterminare un criterio per l’individuazione

della voce stipendiale da decurtare;

_ si applica la riduzione, in misura proporzionale, a

tutte le voci stipendiali.

Il taglio opera per i trattamenti economici complessivi

superiori a 90.000 euro annui lordi. Per la determinazione

di detto trattamento, dovendosi far riferimento

ad importi lordi, si deve considerare

l’ammontare dello stipendio prima di aver operato

le trattenute previdenziali ed assistenziali e le ritenute

erariali. Non risulta chiaro se, nella determinazione,

si deve considerare l’importo del trattamento

pagato ovvero di competenza. Trattandosi, poi, di

limite annuo, appare necessario procedere al suo riproporzionamento

nel caso di assunzione o cessazione

intervenuta in corso d’anno.

La riduzione si applica al superamento dei 90.000

euro e dei 150.000 euro annui. Non si ritiene che

tali importi debbano essere mensilizzati e, quindi,

di dover applicare la riduzione a livello mensile,

ma solo nel momento in cui gli importi suddetti

vengano superati.

Un esempio puo` aiutare a chiarire: si ipotizzi un segretario

comunale che percepisca uno stipendio

mensile lordo di 15.000,00 euro:

— da gennaio a giugno non si effettua alcun abbattimento,

(15.000 x 6 = 90.000);

— da luglio a ottobre si riduce del 5%, (15.000 x 4

= 60.000);

— novembre e dicembre si riduce del 10%.

La norma precisa, infine, che la riduzione in commento

non opera ai fini previdenziali. Ne consegue

che, nel calcolo dell’imponibile sul quale determinare

i contributi da versare, si deve neutralizzare l’importo

della decurtazione. Proseguendo l’esempio sopra riportato,

con riferimento al mese di ottobre, si avra`:

— stipendio mensile lordo: 15.000,00;

— riduzione 5%: 750,00;

— stipendio lordo spettante: 14.250,00;

— aumento figurativo imp. previdenziale: 750,00;

— imponibile previdenziale: 15.000,00;

— contributi previdenziali (8,85% + 0,35% + 2%):

1.680,00;

— imponibile fiscale (14.250 - 1.680): 12.570,00.

Stante la premessa, dovrebbe risultare logica conseguenza

che, nella certificazione modello PA04, sia

ai fini pensionistici che per il calcolo del trattamento

di fine servizio e di fine rapporto, si debba indicare

l’importo della retribuzione piena, senza considerare

le riduzioni in commento.

Vincolo al trattamento accessorio

complessivo - Art. 9, c. 2 bis, D.L. n. 78

A decorrere dal 1º gennaio 2011 e sino al 31 dicembre

2013 l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente

al trattamento accessorio del personale, anche

di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni di

cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo

2001, n. 165, non puo` superare il corrispondente importo

dell’anno 2010 ed e` , comunque, automaticamente ridotto

in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio.

Rappresenta, questo, un vincolo a livello di ente, e

non piu` sul singolo dipendente. Le risorse destinate al trattamento

accessorio, sempre negli anni 2011,

2012 e 2013, non possono assumere un importo superiore

a quello del 2010. Un primo problema e` rappresentato

dalla definizione di ‘‘ammontare complessivo

delle risorse destinate annualmente al trattamento

accessorio del personale’’. Da un lato puo` essere

rappresentato dal fondo per le risorse decentrate,

disciplinato dall’art. 31 del Ccnl 22 gennaio

2004. In questo caso, nessun problema nella quantificazione

in quanto risulta dal relativo atto assunto

dall’ente. Ma, in senso tecnico, trattamento accessorio

ha un altro significato, vale a dire quell’insieme

di componenti la retribuzione che il contratto collettivo

definisce come accessorio. Per la determinazione

di tali voci si deve far riferimento, oltre al Ccnl

stesso, anche ai vari interventi esplicativi a suo tempo

emanati in materia di trattenuta nei primi dieci

giorni di malattia (3). Le due quantita` non coincidono

esattamente: ad esempio, la retribuzione di posizione,

negli enti privi di dirigenza, non grava sul

fondo, pur essendo trattamento accessorio, cosı` come

le progressioni economiche fanno parte del trattamento

fondamentale, ma trovano il loro finanziamento

all’intero delle risorse decentrate.

Un altro dubbio interpretativo e` rappresentato dal

criterio da applicare per la determinazione del limite,

vale a dire se si deve far riferimento alla cassa o

alla competenza. Stante il tenore della norma, la locuzione

‘‘destinate’’ sembra richiamare il criterio

della competenza. In questa ipotesi, sorgerebbe

un’ulteriore complicazione, costituita dal caso in

cui il fondo per le risorse decentrate (se cosı` si deve

intendere il trattamento accessorio) sia costituito

con un anno di ritardo, ipotesi tutt’altro che infrequente.

Ancora: la norma afferma che il vincolo si applica

al trattamento accessorio del personale, anche di livello

dirigenziale. Non risulta chiaro se nella determinazione

del tetto si debbano considerare tutti e

solo i dipendenti o, al contrario, si debba aggiungere

anche il segretario comunale o provinciale. Se da

un lato la retribuzione di quest’ultimo viene corrisposta

dall’ente nel quale e` stato assegnato, dall’altro

lo stesso segretario dipende giuridicamente dal

Ministero dell’interno, dopo l’avvenuta soppressione

dell’Agenzia autonoma per la gestione dell’albo

dei segretari comunali e provinciali. Per quest’ultimo

motivo, si potrebbe ritenere che lo stesso non

debba partecipare alla determinazione del limite

per le risorse da destinare al trattamento accessorio.

Anche nell’ipotesi di esclusione del segretario comunale

o provinciale, la norma dispone la quantificazione

di un unico limite a livello di ente e, quindi,

a tale limite contribuisce sia il personale dirigente

che quello non dirigente. In altre parole, sembra

escluso che si possa procedere alla determinazione

di due tetti distinti, di cui uno facente capo ai dirigenti

e l’altro per i restanti dipendenti.

Nel quadro delineato, alcune norme contrattuali

troveranno difficolta` di attuazione nei prossimi tre

anni. In particolare:

— l’art. 4, c. 2, del Ccnl 5 ottobre 2001, che vuole

incrementare le risorse del fondo per gli importi

della retribuzione individuale di anzianita` e degli

assegni ad personam del personale cessato;

— l’art. 15, c. 2 e 5, del Ccnl 1º aprile 1999, per

importi che dovessero superare quanto gia` destinato

nel 2010;

— l’art. 17 del Ccnl 1º aprile 1999, che consente

di riportare all’anno successivo le somme non spese

dell’anno precedente (4);

— l’art. 15, c. 1, lett. k) del Ccnl 1º aprile 1999

(compensi Merloni, Ici, avvocatura) in quanto anche

tali importi dovrebbero rientrare nel limite e,

di conseguenza, non potrebbero superare l’importo

destinato nel 2010. Ma la sola applicazione delle

disposizioni contenute nel collegato lavoro alla finanziaria

2009, che riporta la percentuale dei compensi

per progettazione dallo 0,50% al 2% comporta

un incremento delle risorse destinate a tale scopo.

La norma impone, infine, la decurtazione del limite

in caso di riduzione del personale dipendente. Risulta

impensabile procedere alla predetta riduzione

al verificarsi di ogni cessazione dal servizio, a qualunque

titolo essa avvenga, in quanto, se tale cessazione

venisse seguita dalla relativa sostituzione, il

nuovo assunto non si troverebbe il suo bagaglio

di ‘‘trattamento accessorio’’. Si ritiene piu` opportuno

accantonare la somma di salario accessorio relativa

alla cessazione, al fine di non procedere al pagamento

della stessa, e di dar corso alla riduzione

reale del limite del trattamento accessorio solo a fine

anno, in relazione al saldo fra cessazioni e assunzioni.

Per quanto riguardo il calcolo della riduzione, si

profila una modalita` di determinazione assai semplice,

vale a dire una media matematica, suddividendo

l’importo complessivo del trattamento accessorio

per il numero di soggetti ai quali lo stesso

trattamento si riferisce.

Nessun dubbio in merito alla competenza dell’atto di accertamento

del limite massimo del trattamento

accessorio e della sua eventuale riduzione: trattasi

di atto tecnico e, quindi, la relativa adozione spetta

al dirigente o, in assenza della dirigenza, al responsabile

a cui e` assegnata la titolarita` della gestione

del personale.

Aumento massimo per il Ccnl 2008-

2009 - Art. 9, c. 4, D.L. n. 78

I rinnovi contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche

amministrazioni per il biennio 2008-2009 ed i miglioramenti

economici del rimanente personale in regime di diritto

pubblico per il medesimo biennio non possono, in ogni

caso, determinare aumenti retributivi superiori al 3,2 per

cento. La disposizione di cui al presente comma si applica

anche ai contratti ed accordi stipulati prima della data di entrata

in vigore del presente decreto; le clausole difformi

contenute nei predetti contratti ed accordi sono inefficaci;

a decorrere dalla mensilita` successiva alla data di entrata

in vigore del presente decreto i trattamenti retributivi saranno

conseguentemente adeguati. La disposizione di cui al

primo periodo del presente comma non si applica al comparto

sicurezza-difesa ed ai Vigili del fuoco.

Per i dipendenti pubblici, gli aumenti derivanti dai

Ccnl riferiti al biennio 2008-2009 devono rispettare

il limite imposto dagli strumenti di programmazione

economico-finanziaria e, quindi, non possono

eccedere la misura del 3,20%. Qualora siano gia`

stati sottoscritti, alla data del 31 maggio 2010, accordi

che contengano clausole difformi, quest’ultime

sono inefficaci e i maggiori benefici vanno recuperati

con decorrenza giugno 2010. Andando a

leggere la relazione tecnica al decreto legge in esame,

si evince che ‘‘la previsione ivi contenuta (secondo

periodo del c. 4) trova applicazione esclusivamente

nei confronti del personale del comparto

regioni ed enti locali (personale non dirigente) e

di quello degli enti del SSN (personale dirigente

e non)’’. Quindi sono interessati i dipendenti non

dirigenti di regioni, comuni e province. Ma l’ipotesi

di contratto di tale comparto, relativo al biennio

2008-2009 era stata, a suo tempo, certificata dalla

Corte dei conti (5), la quale aveva affermato che

‘‘per quanto riguarda la valutazione di compatibilita`

economica, correlata al rispetto del tasso di inflazione

programmato, l’incremento delle retribuzioni

risulta pari al 3,2%, in linea con gli incrementi negoziali

previsti nei documenti di programmazione

economico-finanziaria’’. La situazione non puo`

che destare perplessita` e induce a far di conto. Considerando

lo stipendio base delle singole posizioni

economiche, all’inizio e alla fine del biennio in

questione, e calcolando l’incidenza dell’incremento

rispetto al tabellare iniziale, si rileva che, effettivamente,

gli incrementi sono superiori al 3,20%, in

misura variabile per ogni posizione. Alcuni interpreti

sostengono che, al posto di confrontare i

due tabellari, si debba procedere a calcolare le somme

effettivamente percepite, negli anni 2008 e

2009, a titolo di incrementi contrattuali. Queste

somme, confrontate con lo stipendio base all’inizio

del biennio, danno la misura dell’aumento. Ma anche

in questo caso, viene superato il tetto del

3,20%, anche se, quantitativamente, in misura inferiore.

A conferma della prima modalita` di calcolo

vi e` il Ccnl del comparto regioni ed autonomie locali,

per il medesimo biennio, ma riferito alla dirigenza,

la cui ipotesi e` stata sottoscritta dopo l’entrata

in vigore del D.L. n. 78/2010 e che e` stato riconosciuto,

anche da parte della Corte dei conti (6),

in linea con la previsione della norma in commento.

Prendendo lo stipendio tabellare dei dirigenti

all’1 gennaio 2008 (euro 41.968,00), dividendolo

per 13, si ottiene uno stipendio mensile di euro

3.228,30; applicando la percentuale del 3,20% risulta

un importo pari a euro 103,30, che coincide

con l’incremento a regime del predetto tabellare.

In ogni caso, risulta assodato che l’incremento del

tabellare, nel biennio 2008-2009, e` stato superiore

al limite in questione. Un’ulteriori tesi, pero`, si

sta profilando. Secondo quest’ultima interpretazione,

al fine del rispetto del vincolo del 3,20% non

bisogna considerare solo lo stipendio base, ma si

deve prendere a riferimento anche l’incremento

del salario accessorio. Ai sensi dell’art. 4 del Ccnl

31 luglio 2009, l’incremento delle risorse decentrate

poteva variare, nel solo anno 2009, fino ad un

massimo dell’1,50% del monte salari 2007, qualora

fossero rispettati alcuni parametri di virtuosita`. Tale

incremento risulta molto inferiore del tetto del

3,20% indicato dalla norma in commento. Ne consegue

che il minor incremento del salario accessorio

assorbe il maggior incremento dello stipendio

tabellare e, quindi, nulla si dovrebbe recuperare.

L’inserimento del salario accessorio per la verifica

del tetto viene affermato anche dalla Corte dei conti

Toscana (7), la quale aggiunge, pero` , che le risorse

incrementative del fondo 2009, pari al limite massimo

dell’1,50% suddetto, se corrisposte entro

maggio 2010, non possono, in alcun caso, formare

oggetto di richiesta di restituzione. Dopo l’entrata

in vigore del D.L. n. 78/2010, non e` possibile procedere

al pagamento di tali risorse, anche se gia` accantonate

nel fondo.

In questa situazione abbastanza confusa, e` urgente

un intervento da parte degli organi istituzionali, al

fine di sancire se i dipendenti delle amministrazioni

locali debbano restituire parte dei benefici contrattuali

2008-2009 e, in caso di risposta affermativa,

in quale misura. Fino a tale pronuncia, e` opportuno

non procedere ad alcun recupero, al fine di non

creare situazioni di disparita` di trattamento.

Blocco del contratto collettivo - Art. 9,

c. 17, D.L. n. 78

Non si da` luogo, senza possibilita` di recupero, alle procedure

contrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012 del

personale di cui all’articolo 2, comma 2 e articolo 3 del decreto

legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni.

E`

fatta salva l’erogazione dell’indennita` di vacanza

contrattuale nelle misure previste a decorrere dall’anno

2010 in applicazione dell’articolo 2, comma 35, della legge

22 dicembre 2008, n. 203.

Il legislatore ha sospeso la tornata contrattuale 2010-

2012 facendo salva esclusivamente l’erogazione dell’indennita`

di vacanza contrattuale. La mancata sottoscrizione

del Ccnl per il triennio non pone particolari

problemi interpretativi ed operativi in merito allo stipendio

tabellare: non vi e` alcun aumento se non l’autonomo

riconoscimento dell’Ivc, che, con ogni probabilita`,

verra` assorbito con la successiva tornata

contrattuale. Poiche´ l’Ivc ha le stesse caratteristiche

del trattamento tabellare, puo` essere opportuno calcolare

il valore del trattamento accessorio collegato al

tabellare (quali straordinario, turno e maggiorazioni)

anche sull’Ivc onde evitare di dover effettuare ricalcali

a distanza di parecchi anni.

L’impossibilita` di effettuare ‘‘procedure contrattuali

e negoziali’’ dovrebbe, almeno dal punto di vista

letterale, precludere la possibilita` di addivenire anche

ad accordi di natura decentrata, atteso che il

dettato normativo non limita il divieto alla contrattazione

nazionale. Per altro verso non si comprende

come si possa gestire il trattamento accessorio collegato

alle risorse del fondo in assenza di un contratto

decentrato. Inoltre, la norma non sospende

esplicitamente l’applicazione delle norme contrattuali

in materia di contrattazione decentrata.

La mancanza del Ccnl pone problemi difficilmente

superabili in merito all’applicazione della riforma

Brunetta con particolare riferimento al sistema premiale

contenuto nel Titolo III del D.Lgs. n. 150/

2009. La stessa circolare n. 7/2010 della Funzione

pubblica, a firma del Ministro, al par. 5 prevede che

‘‘altre norme del D.Lgs. n. 150/2009 non risultano,

invece, applicabili se non a partire dalla stipulazione

dei contratti collettivi relativi al periodo contrattuale

2010-2012, in quanto ne presuppongono l’entrata

in vigore’’. Il contratto nazionale deve definire

la nuova struttura della retribuzione come presupposto

per poter ‘‘destinare alla produttivita` individuale

la quota prevalente della retribuzione accessoria’’

ai sensi dell’art. 40, c. 3 bis, del D.Lgs. n.

165/2001, cosı` come modificato dal D.Lgs. n.

150/2009.

Il Ccnl deve, inoltre, intervenire sulla retribuzione

dei dirigenti collegata ai risultati, ai sensi dell’art.

24 del nuovo D.Lgs. n. 165/2001 sulla scorta del

quale ‘‘il trattamento accessorio collegato ai risultati

deve costituire almeno il 30 per cento della retribuzione

complessiva del dirigente considerata al

netto della retribuzione individuale di anzianita` e

degli incarichi aggiuntivi soggetti al regime dell’onnicomprensivita`’’.

In altre parole, il contratto

nazionale doveva incrementare progressione le risorse

disponibili per la retribuzione di risultato al

fine di rendere applicabile il vincolo del 30% dal

2013, ovvero dalla tornata contrattuale successiva

a quella decorrente dall’1 gennaio 2010.

Il sistema premiale prevede due nuovi istituti, il bonus

annuale delle eccellenze ed il premio per l’innovazione,

il cui importo e` quantificato dal Ccnl all’interno

delle risorse messe a disposizione per la

contrattazione nazionale (art. 45, c. 3 bis, D.Lgs.

n. 165/2001). Per lo stesso motivo sono inapplicabili

i premi per il c.d. ranking, che doveva trovare

finanziamento sempre nella contrattazione nazionale

(art. 45, c. 3 bis, D.Lgs. n. 165/2001).

Anche se la circolare citata si limita ad evidenziare

le problematiche suesposte, che gia`, da sole, fanno

seriamente dubitare dell’effettiva possibilita` di applicare

la riforma, numerosi altri problemi dovevano

trovare soluzione nel Ccnl. In primo luogo ci si

chiede se possa considerarsi ancora compatibile

con il bonus annuale collegato alla performance individuale

la retribuzione di risultato del personale

non dirigente cosı` come definita nel Ccnl, il quale

prevede che possa variare tra il 10 ed il 25% della

retribuzione di posizione. Nella logica della riforma

si dovrebbero determinare le risorse disponibili ed

individuare un sistema di fasce cosı` come indicato

nell’art. 31, c. 2, del D.Lgs. n. 150/2009. In applicazione

dei principi dettati dagli artt. 17 e 18 anche

l’attribuzione della retribuzione di risultato deve

avvenire in modo ‘‘selettivo, secondo logiche meritocratiche’’

e quindi potendo premiare i migliori

anche con importi che eccedono la soglia, effettivamente

oggi non proprio motivante, del 25% della

retribuzione di posizione. Tuttavia il contratto collettivo

rimane ancora vigente anche se palesemente

incompatibile con la riforma. Sulla scorta dell’art. 31 del D.Lgs. n. 150/2009 gli

enti dovranno redigere al massimo tre graduatorie

di dipendenti, in base alle quali assegnare il bonus

annuale sulle performance: una per i dirigenti, una

per i non dirigenti titolari di posizione organizzativa

ed una per i rimanenti dipendenti. Evidentemente

presenta non pochi problemi ipotizzare che un

dipendente di categoria A possa essere inserito nella

stessa graduatoria di un dipendente di categoria

D e che il relativo premio non possa essere differenziato.

Ma in assenza di un Ccnl risulta difficile

pensare a soluzioni diverse.

Inoltre, il famoso e dolente istituto dell’art. 15, c. 5,

del Ccnl 1º aprile 1999 e` ancora compatibile con il

bonus collegato alla performance? Se da una parte

il miglioramento dei servizi e` collegato a specifici

obiettivi che un gruppo di dipendenti deve raggiungere,

dall’altro il sistema delle performance prevede

un’unica graduatoria con fasce di merito differenziate

su tutti i dipendenti; ancora una volta

una norma contrattuale vigente ma incompatibile

con la riforma.

Conclusione

Se da una parte la riforma Brunetta detta un’agenda

di tempi ben cadenzati per la sua applicazione dall’altra

parte la manovra Tremonti ha sostanzialmente

tagliato le gambe a questa riforma. La dimostrazione

sta proprio nel blocco del trattamento economico individuale,

nel blocco del trattamento accessorio a livello

di ente e non per ultimo nel blocco del Ccnl, e

forse anche dei Ccdi, del triennio 2010-2012.

di Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan

Esperti in gestione e organizzazione del personale degli enti locali

Incarichi dirigenziali a soggetti esterni (art. 110 267/2000) - Sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

FATTO


L'Amministrazione comunale di Firenze ha conferito diversi incarichi dirigenziali a soggetti esterni

alla propria organizzazione in base all’art. 18 del Regolamento comunale sull'ordinamento degli

uffici e dei servizi, e tra questi l'arch. Stefania Fanfani è stata incaricata quale responsabile

dell'ufficio di pianificazione urbanistica con deliberazione di Giunta 2009/G/534. Tale

provvedimento è stato impugnato dal ricorrente, collocato al secondo posto della graduatoria di un

concorso pubblico per un posto di dirigente tecnico dell’Amministrazione, con gravame notificato il

22 gennaio 2010 e depositato il 28 gennaio 2010 per violazione di legge, incompetenza ed eccesso

di potere sotto diversi profili.

Si sono costituiti il Comune di Firenze e la controinteressata chiedendo l'inammissibilità e

comunque il rigetto del ricorso nel merito.

La controinteressata, con ricorso incidentale notificato l'8 febbraio 2010 e depositato il 9 febbraio

2010, ha impugnato la procedura concorsuale all'esito della quale il ricorrente si è utilmente

collocato nella relativa graduatoria.

Con ordinanza n. 112 del 10 febbraio 2010 è stata accolta la domanda incidentale di sospensione.

L'Amministrazione intimata, con deliberazione giuntale 2010/G/31, ha annullato la deliberazione

impugnata e con ordinanza sindacale 12 febbraio 2010 n. 65 ha nuovamente affidato alla

controinteressata l’incarico in discussione. Anche tali provvedimenti sono stati impugnati con

motivi aggiunti, notificati il 9 marzo 2010 e depositati l'11 marzo 2010, chiedendone la sospensione

interinale.

Con ordinanza n. 231 del 24 marzo 2010 la domanda incidentale di sospensione è stata accolta

censurando il mancato svolgimento di una procedura selettiva preceduta da pubblico avviso per

l’individuazione del soggetto cui conferire l’incarico in esame.

L'Amministrazione, in ottemperanza, con delibera giuntale 13 aprile 2010 n. 72 ha disposto

l'indizione di una pubblica selezione per la copertura dell'incarico. L’indizione è avvenuta con

avviso pubblico in data 15 aprile 2010 specificando che la selezione sarebbe stata svolta mediante

l'esame comparativo dei curricula professionali ed eventuale colloquio ad opera di una apposita

commissione giudicatrice. Alla procedura ha partecipato anche il ricorrente. All'esito dell'istruttoria

l'incarico è stato nuovamente conferito alla controinteressata con ordinanza sindacale 8 settembre

2010, n. 419.

All'udienza del 20 ottobre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. La presente vicenda trae origine dalla scelta dell’intimata Amministrazione di conferire l’incarico

di responsabile dell'ufficio di pianificazione urbanistica mediante ricorso alle potestà di cui all’art.

110 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 anziché con indizione di pubblico concorso o scorrimento

della graduatoria concorsuale tuttora in corso di validità, nella quale il ricorrente è il primo degli

idonei1.1 Con il ricorso originario il ricorrente impugna la deliberazione di Giunta 2009/G/534 e, in parte

qua, il presupposto regolamento comunale sull’ordinamento degli uffici e dei servizi lamentando

con primo motivo incompetenza e violazione dei principi costituzionali in materia di accesso ai

pubblici impieghi, poiché il conferimento dell’incarico non è stato preceduto dalla svolgimento di

una procedura concorsuale pubblica. Deduce inoltre che l'incarico non sarebbe destinato a ricoprire

una funzione di alta specializzazione ma di responsabilità dirigenziale, tipologia per la quale lo

stesso regolamento comunale prevede che l'affidamento avvenga in seguito alla pubblicazione di un

avviso.

Con secondo motivo deduce che l'incarico affidato alla controinteressata supererebbe il limite del

totale della dotazione organica della dirigenza e dell'area direttiva entro il quale è consentita

l'assunzione di soggetti esterni all'amministrazione. A suo dire infatti la percentuale di incarichi che

possono essere affidati all'esterno, stabilita nella misura del 4% dal regolamento comunale

sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, dovrebbe essere calcolata sulla base oltre che del

personale dirigenziale, dei soli funzionari titolari di posizioni organizzative.

1.2 Con motivi aggiunti il ricorrente impugna la delibera giuntale 2010/G/31 che ha annullato la

deliberazione originariamente gravata e l’ordinanza sindacale 12 febbraio 2010 n. 65 che ha

nuovamente affidato alla controinteressata l’incarico in discussione, reiterando i motivi del ricorso

originario con esclusione della doglianza di incompetenza.

1.3 L'Amministrazione intimata eccepisce l’improcedibilità del ricorso poiché il ricorrente è stato

messo nelle condizioni di partecipare ad una selezione pubblica, come chiedeva, e l’accoglimento

del ricorso non potrebbe quindi apportargli alcuna utilità atteso che l’Amministrazione si è

determinata nel senso di ricoprire l’incarico in questione mediante contratto a tempo determinato e

non con lo scorrimento di precedenti graduatorie.

A suo dire il ricorso sarebbe anche inammissibile poiché l'aspettativa dello scorrimento della

graduatoria in cui il ricorrente è inserito ha il carattere di una mera aspettativa di fatto, impingendo

su valutazioni amministrative discrezionali. Nel merito, replica puntualmente alle deduzioni del

ricorrente.

1.4 La controinteressata si associa alle repliche della difesa comunale e con ricorso incidentale

impugna la procedura concorsuale all'esito della quale il ricorrente si è utilmente collocato nella

relativa graduatoria. Evidenzia che l'incarico assegnatole è a tempo determinato e il ricorrente non

potrebbe vantare alcuna posizione tutelata in base al suo inserimento in una graduatoria per

l’assunzione, invece, a tempo indeterminato.

Il ricorrente eccepisce l’irricevibilità e l’inammissibilità del ricorso incidentale stante la diversità

del procedimento cui afferiscono gli atti con lo stesso gravati, nonché difetto di interesse, genericità

e assenza di specifiche censure avverso gli atti impugnati.

2. Il ricorso originario deve essere dichiarato improcedibile per difetto di interesse, stante l'avvenuto

l'annullamento da parte dell’Amministrazione intimata del provvedimento con il medesimo

impugnato.

3. La controversia si concentra quindi sul primo ricorso per motivi aggiunti che, analogamente a

quello originario, lamenta che non sia stata espletata una procedura comparativa ai fini

dell'individuazione del titolare dell'incarico in discussione, che peraltro non potrebbe qualificarsi

nei termini di “alta specializzazione” ma sarebbe un incarico di responsabilità dirigenziale. Inoltre

deduce che l’affidamento dell’incarico sarebbe comunque avvenuto in soprannumero rispetto al limite percentuale indicato dal regolamento comunale sull'ordinamento degli uffici e dei servizi e

comunque dall’art. 110, d.lgs. 267/00.

3.1 Il primo motivo deve essere dichiarato improcedibile poiché l'Amministrazione, ponendo in

essere una procedura comparativa, ha soddisfatto l'interesse strumentale del ricorrente a partecipare

ad una selezione per il conferimento dell'incarico de quo. In tal modo é quindi venuta a cessare la

materia del contendere.

Ai fini della pronuncia sulle spese, in applicazione del criterio della soccombenza virtuale, il

Collegio rileva che il motivo dedotto appariva fondato poiché l’art. 110 del d.lgs. 267/00, nel

consentire agli enti locali di affidare incarichi di responsabilità dirigenziale con contratti a tempo

determinato, non li esonera dallo svolgere procedure concorsuali. Ne segue quindi che in

applicazione del generale principio, di rilevanza costituzionale, in base al quale l'accesso ai pubblici

impieghi può avvenire solo per concorso, l'affidamento di detti incarichi non può non essere

preceduto da una procedura selettiva adeguatamente pubblicizzata (T.A.R. Campania Napoli V, 9

dicembre 2002 n. 7887).

3.2 Il Collegio ritiene che il ricorrente conservi comunque interesse alla decisione sul secondo

motivo di ricorso, poiché il suo accoglimento determinerebbe la caducazione della procedura

effettuata e dell'affidamento dell'incarico de quo.

La difesa comunale sostiene che la nomina di idonei nei posti vacanti mediante scorrimento di una

graduatoria efficace costituisce una facoltà e non un obbligo per l'amministrazione, rientra nella

discrezionalità dell'ente e non può essere oggetto di sindacato giurisdizionale. Il Collegio concorda

su tale ricostruzione, conformemente alla giurisprudenza del giudice di appello (C.d.S. V, 18

dicembre 2009 n. 8369), e tuttavia ritiene che il ricorrente abbia interesse alla decisione poiché

l’accoglimento del motivo avrebbe come esito, quantomeno, l'indizione di una nuova procedura

concorsuale per la copertura del posto in questione. In tal modo verrebbero ricostruite le sue

chances di accedere all’incarico. Sotto questo profilo il ricorrente fa valere un interesse strumentale,

di cui la giurisprudenza ha affermato da tempo la rilevanza giuridica. L’accoglimento del motivo, se

non è in grado di determinare l’accesso al bene della vita agognato ossia l’affidamento dell’incarico

in discussione, è tuttavia suscettibile di incrementare il suo patrimonio giuridico mediante l’apporto

di nuove chanches di ottenerne la fruizione.

Il motivo di ricorso in esame è però infondato.

L’art. 110 del d.lgs. 267/00 individua la base su cui calcolare la percentuale di incarichi conferiti a

tempo determinato nella “dotazione organica della dirigenza e dell'area direttiva”. Non essendo in

contestazione il significato del primo termine, il ricorrente sostiene che l'area direttiva da prendere

in considerazione a tal fine consisterebbe nei soli funzionari con responsabilità di posizione

organizzativa.

Il Collegio non concorda con questa ricostruzione.

La norma deve essere interpretata alla luce dell'inquadramento del personale effettuato dal

Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del 31 marzo 1999, che ha istituito la categoria “D”

prevedendo all’art. 8 che al suo interno possano essere istituite posizioni di lavoro “che richiedono,

con assunzione diretta di elevata responsabilità di prodotto e di risultato:

a) lo svolgimento di funzioni di direzione di unità organizzative di particolare complessità,

caratterizzate da elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa; b) lo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione correlate a

diplomi di laurea e/o di scuole universitarie e/o alla iscrizione ad albi professionali;

c) lo svolgimento di attività di staff e/o di studio, ricerca, ispettive, di vigilanza e controllo

caratterizzate da elevate autonomia ed esperienza”.

Si tratta delle “posizioni organizzative” che non costituiscono però una categoria a sé stante, ma una

specificazione dei compiti e delle responsabilità attribuite a taluni dipendenti inquadrati nella

generale categoria D. L’art. 110 del d.lgs. 267/00 non fa riferimento a posizioni organizzative ma ad

una generale “area direttiva”, alludendo quindi ad una categoria generale di inquadramento del

personale, che alla luce delle previsioni del suddetto C.C.N.L. non può che identificarsi nella

categoria D.

L’interpretazione appare coerente con il dato letterale della legge, e consente anche di contemperare

le esigenze di flessibilità proprie delle moderne amministrazioni con la necessità di salvaguardare i

principi della trasparenza nella provvista di risorse umane. Le amministrazioni, in base a tale

interpretazione, hanno una disponibilità relativamente ampia nell'individuazione di incarichi da

attribuire con contratto a tempo determinato per rispondere ad obiettivi ed esigenze transitorie;

tuttavia ciò possono fare solo rispettando il principio concorsuale, e pertanto i soggetti cui conferire

gli incarichi devono essere individuati tramite procedure selettive da pubblicizzare adeguatamente.

Nel computo degli incarichi affidati ai sensi dell'art. 110 del d.lgs. 267/00 non rientrano poi quelli

relativi agli uffici posti alle dirette dipendenze degli organi politici per l'esercizio delle loro funzioni

di indirizzo e controllo. Per questi vige infatti una disciplina specifica, come correttamente deduce

l'intimata Amministrazione, contenuta nell’art. 90 del medesimo d.lgs. 267/00. Trattasi di diversa

ipotesi che (infatti) viene disciplinata da una norma di specie; l'art. 110 del d.lgs. 267/00 trova

invece il suo ambito di applicazione relativamente all’affidamento di incarichi all'interno della

struttura amministrativa dell'ente.

Per le medesime motivazioni non rientra nel computo suddetto nemmeno l’affidamento

dell’incarico di direttore generale, disciplinato dall’art. 108 del d.lgs. 267/00.

Non sono contestati i calcoli effettuati dalla difesa comunale relativamente alla propria dotazione

organica dirigenziale, computata in 92 unità cui devono aggiungersi direttore generale e segretario

dell’ente, ed ad alla propria dotazione nell’ottava qualifica computata in 235 unità. La loro

sommatoria porta a un totale di 329 unità, di cui la percentuale del 4% ammissibile per il

conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato equivale a 13,16 unità. Seguendo i

calcoli del ricorrente contenuti nella memoria finale ne deriva che, escludendo gli incarichi presso

gli uffici di staff e quello di direttore generale, il numero degli incarichi attribuiti ex art. 110 del

d.lgs. 267/00 ammonta ad undici unità, comprensivo di quello affidato all’odierna controinteressata.

I limiti di legge, come rettamente interpretati, risultano quindi rispettati e il motivo in esame deve

essere pertanto respinto.

5. La reiezione delle censure avanzate del ricorrente avverso i provvedimenti gravati rende

inammissibile il ricorso incidentale presentato dalla controinteressata.

6. In conclusione il ricorso principale deve essere dichiarato improcedibile; il ricorso per motivi

aggiunti deve essere respinto e deve essere dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.

Le spese possono essere integralmente compensate tra le parti in ragione della reciproca

soccombenza.

Incremento delle risrise decentrate - Sentenza della Corte dei Conti Lombardia/972/2010/PAR

FATTO


Con nota n. 29043 di protocollo del 15 ottobre 2010, l’amministrazione comunale di

Gussago (MI) ha posto un quesito in ordine alla composizione del fondo delle risorse

decentrate per l’anno 2011.

Il comune di Gussago non ha rispettato il patto di stabilità per l’esercizio finanziario

2009 e conseguentemente nel 2010 non ha incrementato il fondo per le risorse

decentrate nella parte variabile; nel corso dello stesso anno è intervenuto il D.L.

78/2010 convertito in Legge 122/2010 la quale all’art. 9, comma 2 bis, ha previsto per il

triennio 2011-2013 il blocco dell’ammontare complessivo delle risorse decentrate

prendendo come riferimento proprio l’anno 2010.

Il Sindaco precisa che l’Ente rispetterà il patto di stabilità per l’anno 2010 e che per

l’anno 2011 prevede economie sulle spese del personale. Ciò premesso, chiede se sia

possibile incrementare il fondo per le risorse decentrate per l’anno 2011, nel rispetto del

tetto di spesa del personale dell’anno precedente. La mancata possibilità di tale

adeguamento determinerebbe di fatto il consolidarsi nel tempo di una delle sanzioni

previste per il mancato rispetto del patto di stabilità che ricadrebbe solo sui dipendenti,

con l’effetto di rendere inefficace qualsiasi strumento di incentivazione del personale

previsto dal D. Lgs. n. 150/2009.

AMMISSIBILITA’ SOGGETTIVA

La richiesta di parere di cui sopra è intesa ad avvalersi della facoltà prevista dalla

norma contenuta nell’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131, la quale

dispone che le Regioni, i Comuni, le Province e le Città metropolitane possono chiedere

alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti “pareri in materia di contabilità

pubblica”.

La funzione consultiva delle Sezioni regionali è inserita nel quadro delle competenze

che la legge 131/2003, recante adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla

legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha attribuito alla Corte dei conti. La Sezione, preliminarmente, è chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità della

richiesta, con riferimento ai parametri derivanti dalla natura della funzione consultiva

prevista dalla normazione sopra indicata.

Con particolare riguardo all’individuazione dell’organo legittimato a inoltrare le

richieste di parere dei Comuni, si osserva che il Sindaco del comune è l’organo

istituzionalmente legittimato a richiedere il parere in quanto riveste il ruolo di

rappresentante dell’ente ai sensi dell’art. 50 T.U.E.L.

Pertanto, la richiesta di parere è ammissibile soggettivamente poiché proviene

dall’organo legittimato a proporla.

AMMISSIBILITA’ OGGETTIVA

Con riguardo alle condizioni di ammissibilità oggettiva, la richiesta di parere, allo

stato degli atti, non interferisce con le funzioni di controllo o giurisdizionali svolte dalla

magistratura contabile e neppure con alcun altro giudizio civile o amministrativo che sia

in corso.

Inoltre, il quesito riveste “carattere generale” in quanto è diretto ad ottenere

indicazioni relative alla corretta applicazione di norme valide per la generalità degli enti

di tipologia simile al comune richiedente; nonché, rientra nella materia della contabilità

pubblica, poiché attiene alla disciplina contenuta in leggi finanziarie, sul contenimento e

sull’equilibrio della spesa pubblica, incidente sulla formazione e gestione del bilancio

dell’ente, in relazione alle norme che disciplinano la spesa per il personale.

Si osserva che i limiti alla legittimazione oggettiva vanno stabiliti solo in negativo. In

proposito va, infatti, posto in luce che la nozione di “contabilità pubblica” deve essere

intesa nell’ampia accezione che emerge anche dalla giurisprudenza della Corte di

Cassazione in tema di giurisdizione della Corte dei conti; la nozione di contabilità

pubblica in senso lato, dunque, investe tutte le ipotesi di impiego di denaro pubblico,

oltre che tutte le materie di bilanci pubblici, di procedimenti di entrate e di spesa, di

contrattualistica che tradizionalmente e pacificamente rientrano nella nozione.

In senso ostativo alla resa del parere, senza peraltro voler esaurire la casistica, va

posta parimenti in luce l’inammissibilità di richieste interferenti con altre funzioni

intestate alla Corte ed in particolare con l’attività giurisdizionale; richieste che si

risolvono in scelte gestionali, come si è detto di esclusiva competenza degli

amministratori degli enti; richieste che attengono a giudizi in corso; richieste che

riguardano attività già svolte, dal momento che i pareri sono propedeutici all’esercizio

dei poteri intestati agli amministratori e non possono essere utilizzati per asseverare o

contestare provvedimenti già adottati. Nel caso di specie, la richiesta attiene alla possibilità di incrementare il fondo per le

risorse decentrate per l’anno 2011, ovvero investe una questione di diretto impatto, sia

finanziario che contabile, in materia di spese di personale dell’ente locale.

Per i suesposti motivi, la richiesta di parere proveniente dal sindaco del comune di

Gussago è ammissibile e può essere esaminata nel merito.

MERITO

La richiesta di parere sottende una duplice questione che deve essere affrontata in

ordine logico. La prima concerne le conseguenze sulle scelte dell’ente locale in materia di

spesa di personale qualora non si sia rispettato il Patto di stabilità nell’anno precedente.

La seconda investe il cumulo di strumenti vincolistici sulla dinamica retributiva e sugli

incentivi ai dipendenti per il triennio 2011-2013.

Quanto al primo profilo, l’Ente interessato dichiara nelle premesse della richiesta di

non aver rispettato il patto di stabilità interno per l’anno 2009.

Sotto tale aspetto il quesito richiama le considerazioni giuridiche già ripetutamente

espresse in sede consultiva da questa Sezione con numerose deliberazioni, tra le quali si

annoverano, proprio in materia di possibilità d’incrementare il fondo per le risorse

decentrate conseguentemente alla violazione del Patto nell’anno precedente, le decisioni

nn. 68/2010/PAR, 596/2010/PAR e 724/2010/PAR.

Giova ancora una volta richiamare i principi di diritto che sostengono le

argomentazioni della Sezione in ragione del divieto di aumentare risorse decentrate

nell’anno successivo alla violazione del Patto di stabilità quale conseguenza

dell’applicazione delle sanzioni previste dalla legge finanziaria.

In particolare, il Collegio ha tenuto a precisare come il rispetto degli obiettivi e dei

vincoli del patto di stabilità interno, le cui disposizioni attuative “costituiscono principi

fondamentali di coordinamento della finanza pubblica” ai sensi degli art. 117, terzo

comma, e 119, secondo comma, della Costituzione, rappresenti per l’ente locale un

ineludibile obbligo giuridico, la cui violazione concreta comunque un illecito.

Conseguentemente il legislatore ha definito il quadro delle limitazioni che devono

essere applicate agli enti locali nell’anno successivo a quello dell’inadempienza (art. 61,

comma 10, e 77 bis, commi 20 e 21, del D.L. 112 convertito nella L. 133/08), fra le

quali rileva il divieto di procedere a qualunque forma di assunzione del personale,

comprese le modalità alternative all’assunzione.

Si determina in tal modo la corretta estensione normativa connessa con

l’applicazione della sanzione al fine di evitare pratiche elusive dell’obbligo di

contenimento delle spese di personale.

Ne consegue ulteriormente che la limitazione amministrativa investe anche le

maggiori prestazioni lavorative o il maggior impegno professionale delle risorse umane in servizio, i cui maggiori oneri sono coperti dalle risorse decentrate di parte variabile.

Infatti, rappresenta un principio incontrastato presso la magistratura contabile

subordinare le possibilità concrete di integrare le risorse finanziare destinate alla

contrattazione decentrata integrativa al rispetto dei vincoli di finanza pubblica, quindi del

patto di Stabilità, in coerenza, altresì, con i vincoli del quadro normativo delineato

dall’art. 1, comma 557, della legge n. 296/2006 (Legge finanziaria 2007).

Tale interpretazione trova ulteriore conferma nell’art. 40, comma 3 quinquies, T.U.

Pubbl. Imp., il quale recita testualmente che “gli enti locali possono destinare risorse

aggiuntive alla contrattazione integrativa nei limiti stabiliti dalla contrattazione nazionale

e nei limiti dei parametri di virtuosità fissati per la spesa di personale dalle vigenti

disposizioni, in ogni caso nel rispetto dei vincoli di bilancio e del patto di stabilità e di

analoghi strumenti del contenimento della spesa”.

Come già affermato da questa Sezione nel parere n. 596/2010/PAR, la limitazione

amministrativa, conseguente alla violazione del patto di stabilità interno per l’anno 2009,

opera nell’anno 2010 anche per la contrattazione integrativa che ha ad oggetto le risorse

contenute nel fondo destinato alle risorse incentivanti connesse con la contrattazione

decentrata che soggiace ai vincoli di finanza pubblica alla stregua del nesso normativo

fra patto di stabilità e principio della riduzione della spesa del personale di cui all’art. 1,

comma 557, legge 296/06.

Alla luce delle suesposte argomentazioni, il predetto fondo rientra nel novero delle

risorse aggiuntive di cui all’art. 40, comma 3 quinquies, T.U. Pubbl. Imp. Che fissa quale

presupposto della loro destinazione alla contrattazione integrativa “in ogni caso” il

rispetto del patto di stabilità (Lombardia/596/2010/PAR dell’11 maggio 2010).

In tale contesto normativo si sono inserite le disposizioni di invarianza contrattuale

connesse con l’entrata in vigore del D.L. 31 maggio 2010 n.78, convertito con

modificazioni nella legge finanziaria 30 luglio 2010, n.122.

Per quel che concerne la seconda questione da affrontare nel contesto del parere,

l’art. 9, comma 2 bis, ha previsto per il triennio 2011-2013 il blocco dell’ammontare

complessivo delle risorse decentrate prendendo come riferimento proprio l’anno 2010.

Il legislatore, muovendo da un’ottica diversa rispetto al regime sanzionatorio irrogato

per il mancato rispetto del Patto di stabilità, ha inteso congelare la dinamica retributiva

del pubblico impiego per un triennio al fine di contenere la spesa pubblica per esigenze

di stabilità economica-finanziaria della Nazione.

In altri termini, in presenza di enti locali che non hanno rispettato il Patto di stabilità

nell’anno 2009, i due effetti (sanzionatorio e vincolistico) si cumulano, pur operando su

piani e finalità diverse.

Le due normative contengono disposizioni cogenti e fortemente incisive

sull’autonomia dell’amministrazione locale. La disciplina vincolistica introdotta con la legge 30 luglio 2010, n.122 non ammette

deroghe in virtù del coordinamento della finanza pubblica aggregata e dell’eccezionalità

della crisi finanziaria che avvolge l’attuale ciclo economico.

Pertanto l’obiezione mossa al sistema vincolistico afferente il consolidarsi nel tempo

di una delle sanzioni previste per il mancato rispetto del Patto di stabilità non ha pregio

giuridico, poiché non considera la connessione temporale fra i due sistemi normativi volti

al contenimento della spesa di personale.

Quanto poi all’effetto negativo sulla dinamica retributiva dei dipendenti, attesa

l’impossibilità attuare qualsiasi strumento di incentivazione del personale previsto dal D.

Lgs. n. 150/2009, l’affermazione resta relegata a una circostanza fattuale rientrante

nella tipica sfera di valutazione della politica finanziaria compiuta dal legislatore e non

assurge a criterio per orientare l’interpretazione delle norme in gioco.

In sintesi, il comune di Gussago in materia di trattamento del fondo per le risorse

decentrate nella quota variabile è soggetto alla disciplina sanzionatoria connessa alla

violazione dei vincoli del Patto di stabilità nell’anno 2009 e al regime d’invarianza della

dinamica retributiva per il triennio 2011-2013 prescritto dalla legge 30 luglio 2010,

n.122.

Aumenti di spesa dei rinnovi contrattuali - Sentenza della Corte dei Conti Toscana Del. n. 123/2010/PAR

PREMESSO


1. Il Consiglio delle autonomie locali ha inoltrato alla Sezione, con nota in data 30 luglio 2010 prot. n. 10203/1.13.9, una richiesta di parere formulata dal Sindaco del comune di Monteriggioni, con cui si chiede “un’interpretazione dell’art. 9 comma 4 del D.L. 78/10 laddove prevede che i rinnovi contrattuali del personale per il biennio 2008-09 non possano prevedere aumenti che superino il 3,2%, chiedendo se tale previsione si riferisca: a) agli aumenti retributivi individualmente considerati; b) ai soli aumenti venutisi a determinare sul trattamento tabellare dei dipendenti; c) anche alla quota riconoscibile ai sensi dell’art. 4, comma 2, del CCNL 31/07/09, facente parte del trattamento accessorio”.

L’ente inoltre chiede se con la frase “i trattamenti retributivi saranno conseguentemente adeguati” si presuppone necessariamente un recupero forzoso da parte dell’amministrazione ed, eventualmente, quale sia la corretta modalità per procedervi e se sia corretto per l’ente erogare ai dipendenti la somma riconosciuta ai sensi dell’art. 4 CCNL approvato prima dell’entrata in vigore del suddetto decreto.

CONSIDERATO

In via preliminare

Secondo ormai consolidati orientamenti assunti dalla Corte dei Conti in tema di pareri da esprimere ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge n. 131 del 2003, occorre verificare in via preliminare se la richiesta di parere formulata presenti i necessari requisiti di ammissibilità, sia sotto il profilo soggettivo, che riguarda la legittimazione dell’organo richiedente, sia sotto il profilo oggettivo, che concerne l’attinenza dei quesiti alla materia della contabilità pubblica, come espressamente previsto dalla legge, e la coerenza dell’espressione di un parere con la posizione costituzionale assegnata alla Corte dei conti ed il ruolo specifico delle Sezioni regionali di controllo. Nella valutazione dei requisiti di ammissibilità, inoltre, questa Sezione tiene anche conto della possibilità legislativamente prevista di concordare, con le autonomie locali, ulteriori forme di collaborazione e, conseguentemente, di quanto previsto nella Convenzione del 16 giugno 2006, citata in premesse.

Nel caso in esame, la richiesta di parere è ammissibile sotto il profilo soggettivo, provenendo essa dal Sindaco del comune interessato, tramite il Consiglio delle autonomie.

In ordine al requisito oggettivo, occorre preliminarmente accertare se la richiesta di parere sia riconducibile alla materia della contabilità pubblica, se sussistano i requisiti di generalità ed astrattezza, se il quesito non implichi valutazione di comportamenti amministrativi, ancor più se connessi ad atti già adottati o comportamenti espletati, se l’ambito in concreto sia oggetto di indagini della Procura regionale o di giudizio innanzi alla Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti, ovvero oggetto di contenzioso penale, civile o amministrativo. La funzione consultiva delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti ha natura necessariamente propedeutica all’esercizio dei poteri intestati agli amministratori e può riguardare solo questioni di carattere generale giuridico-contabile.

Al riguardo, si ritiene che la materia, sulla quale verte la richiesta di parere, sia riconducibile al profilo della contabilità, poiché attiene all’interpretazione di norme di coordinamento di finanza pubblica, in particolare all’ambito delle misure per il contenimento della spesa di personale, e quindi all’osservanza dei vincoli introdotti dalla legge, che hanno riflessi sulla formazione e gestione dei bilanci pubblici.

E’, pertanto, da ritenersi ammissibile la richiesta di quesito anche sotto questo profilo.

Il Collegio, inoltre, valuta la questione suscettibile di risposta, senza necessità di investire le Sezioni Riunite della Corte dei conti, in sede di controllo, che possono adottare una pronuncia di orientamento generale, in funzione di nomofilachia, come previsto dall’art. 17 comma 31 della legge n. 102/2009, secondo gli orientamenti espressi con delibera n.8/CONTR/2010 delle Sezioni Riunite adottata nell’adunanza del 26 marzo 2010.

Nel merito

Il decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010, convertito con modificazioni dalla Legge n. 122 del 30 luglio 2010, all’art. 9 comma 4 stabilisce che “I rinnovi contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per il biennio 2008-2009 ed i miglioramenti economici del rimanente personale in regime di diritto pubblico per il medesimo biennio non possono, in ogni caso, determinare aumenti retributivi superiori al 3,2 per cento. La disposizione di cui al presente comma si applica anche ai contratti ed accordi stipulati prima della data di entrata in vigore del presente decreto; le clausole difformi contenute nei predetti contratti ed accordi sono inefficaci a decorrere dalla mensilità successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto; i trattamenti retributivi saranno conseguentemente adeguati”.

La Corte dei conti in sede di certificazione del CCNL comparto Regioni ed autonomie locali, per biennio economico 2008- 2009 sottoscritto il 31 luglio 2009 (deliberazione n. 31 del 30 luglio 2009 delle Sezioni Riunite in sede di controllo) aveva affermato come l’incremento delle retribuzioni previsto nell’ipotesi contrattuale, pari al 3,2%, fosse in linea con gliincrementi negoziali previsti nei documenti di programmazione economico-finanziaria e assentiti anche per gli altri comparti di contrattazione. Solo eventualmente e alle condizioni poste dall'art.4 del CCNL era attribuita agli enti locali la possibilità di aumentare tale incremento medio pro-capite fino al 4,35%, “in ragione della possibilità dell’attribuzione di risorse “ulteriori” fino ad un massimo dell’1,5%, correlate, però, a recuperi di produttività o a premiare professionalità e merito.”

Le Sezioni Riunite hanno sottolineato più volte, al fine di escludere ogni automatismo nell’incremento delle risorse decentrate e ribadire il concetto di premialità nel riconoscimento del salario accessorio, che le risorse aggiuntive per la contrattazione decentrata integrativa sono di natura variabile, ai sensi dell’art. 31, comma 3, del CCNL sottoscritto il 22 gennaio 2004, ossia non possono essere confermate e consolidarsi negli anni successivi, “per cui è precluso un impiego volto a finanziare emolumenti la cui misura costituisce diritto soggettivo incomprimibile”. Con tali accenti si era espresso anche il Comitato di settore, in data 29 maggio 2009, che aveva appunto ribadito che le risorse aggiuntive, che gli enti rendono disponibili devono avere,integralmente ed esclusivamente, natura di “variabilità”.

Il CCNL citato, quindi, aveva previsto per il biennio 2008-2009 risorse a regime commisurate al 3,2% del monte salari 2007 ed “incrementi delle risorse decentrate” fino all’1,5% del monte salari 2007, ancorandone comunque la corresponsione al riscontro di un parametro “esterno”, cioè il conseguimento dei requisiti di compatibilità finanziaria ed il rispetto del patto di stabilità interno, e di un parametro “interno”, costituito dal riscontro in concreto dell’effettivo miglioramento qualitativo e quantitativo dei servizi nonché della crescita professionale del personale.

Si riporta, in breve, un estratto della delibera su menzionata delle Sezioni Riunite, in cui, nel responsabilizzare le parti in sede negoziale e nel richiamare sul punto l’attenzione degli organi di controllo interno, richiede sempre maggior approfondimento, “per i noti e problematici profili di lievitazione della spesa corrente degli enti derivanti dalla crescita delle spese di personale, che sempre più mettono in tensione i bilanci degli enti; sicché, per giustificare l’attribuzione di incrementi percentuali delle retribuzioni che vadano oltre l’indicata misura del 3,2%, occorre che i “sistemi di valutazione” vengano realmente attivati non essendo giustificata nessuna somma aggiuntiva se non effettivamente correlata all’incremento reale della produttività (v., ancora, delib. n. 21/CONTR/CL/08 del 6 giugno 2008, paragrafo 4, ultimo capoverso)”

Con le misure per il contenimento della spesa di personale, previste nel citato decreto-legge n. 78 del 2010, nella c.d. manovra estiva, il legislatore ha posto un limite agli aumenti retributivi, nel biennio 2008-2009, prevedendo un tetto massimo del 3,2 per cento. L’odierno quesito chiede, in considerazione di quanto previsto nella citata norma, nella vigenza del CCNL di comparto certificato, quali debbano considerarsi, ai fini dell’applicazione della norma, gli aumenti retributivi che non possono superare il 3,2 per cento. Nello specifico il dubbio rappresentato dal Comune attiene ad una alternativa, cioè se la norma riguarda gli aumenti retributivi individualmente considerati, ovvero i soli aumenti venutisi a determinare sul trattamento tabellare dei dipendenti e se sia da considerare anche la quota riconoscibile ai sensi dell’art. 4, comma 2, del CCNL 31/07/09, facente parte del trattamento accessorio.

Al riguardo, in sede di Audizione innanzi alla Commissione Bilancio del Senato, in data 10 giugno 2010, sul decreto legge n. 78/2010 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività economica”, la Corte dei conti aveva rilevato, con riferimento ai limiti di crescita retributiva relativi alla contrattazione per il biennio 2008-2009, sulla base dei rapporti di certificazione dei diversi contratti collettivi, che risultavano concessi incrementi superiori alle previste percentuali ai dipendenti del comparto Regioni e autonomie locali. (per 214,6 milioni)1. Sottolineava anche che gli interventi del legislatore statale, destinati adincidere su scelte negoziali già compiute e produttive di effetti, vanno valutati alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha definito i presupposti ed i limiti per poter qualificare interventi anche settoriali su singole componenti della spesa di personale, come rientranti tra le misure di coordinamento della finanza pubblica; ciò in considerazione del fatto che la possibilità di utilizzare la leva del salario accessorio per incentivare la produttività del personale rappresenta, se rispettosa dei vincoli di compatibilità economico-finanziaria, esplicazione dell’autonomia organizzativa degli enti territoriali.

Ciò premesso, gli aumenti consentiti non devono complessivamente superare il tetto fissato dalla legge, cioè il 3,2%. Detti aumenti devono essere considerati in riferimento al trattamento retributivo complessivamente inteso.

Non si tratta, quindi, di prendere in esame il trattamento economico del singolo dipendente (il legislatore dispone al riguardo altro specifico limite al trattamento economico individuale, nel comma 1 del medesimo art. 9). La verifica del rispetto dei limiti agli aumenti contrattuali deve operare in relazione al contenimento entro il 3,2% rispetto alla precedente retribuzione media di riferimento. Le amministrazioni debbono, dunque, considerare anche l’accessorio, per il rispetto del tetto di incremento. In base a quanto previsto dal citato art.9, comma 4, il vincolo quantitativo si applica anche ai contratti ed accordi stipulati prima della data di entrata in vigore del decreto (31 maggio 2010); le eventuali clausole difformi contenute nei contratti ed accordi sono inefficaci , a decorrere dalla mensilità successiva (giugno 2010) alla data di entrata in vigore del presente decreto; i trattamenti retributivi saranno conseguentemente adeguati.

Dal tenore letterale della disposizione, si deduce che, dal mese di giugno 2010, le amministrazioni hanno il divieto di erogare trattamenti accessori finanziati con gli incrementi che superino il 3,2%: infatti la norma oltre a porre un tetto percentuale complessivo, sancisce l'inefficacia delle clausole difformi a decorrere dalla mensilità successiva alla data di entrata del Dl 78/2010, e prevede l’obbligo del conseguente adeguamento dei trattamenti retributivi.

Premesso quanto sopra, l’art. 4 comma 2 del CCNL citato prevede la possibilità di risorse aggiuntive per la contrattazione decentrata integrativa di natura variabile a decorrere dal 31 dicembre 2008, a valere per il 2009, nel limite massimo di incremento dell’1,5%, qualora l’ente dimostri di essere in possesso dei requisiti previsti, in base ai parametri di virtuosità su richiamati. Tali risorse riguardano dunque la consistenza del fondo 2009 e per la loro natura variabile non possono essere utilizzate per attribuire incrementi fissi e continuativi.

Qualora l’ente abbia provveduto ai sensi della citata disposizione contrattuale ed abbia erogato compensi concernenti incentivi alla produttività al personale, entro il mese di maggio 2010 a valere sul fondo 2009, non sussiste l’obbligo di procedere ad alcuna forma di recupero, perché la stessa norma di legge (art. 9 comma 4 citata) non dispone in tal senso. A decorrere dal mese di giugno 2010, non si potrà procedere ad alcuna integrazione del fondo e le eventuali integrazioni disposte ai sensi del citato art.4 non potranno essere distribuite e dovranno formare oggetto di riduzione del fondo medesimo.

Nelle sopra esposte considerazioni è il parere della Corte dei conti – Sezione regionale di controllo per la Toscana in relazione alla richiesta formulata dal Consiglio delle autonomie con nota Prot. n.10203/1.13.9.

Utilizzo del mezzo proprio - l’art. 6, c. 12 del D.L. n. 78/2010

Premessa


La disapplicazione delle norme di legge inerenti alla

possibilita` di utilizzare un proprio mezzo di trasporto

per recarsi in missione, da parte di un dipendente

pubblico, operato dall’art. 6 c. 12 del D.L. n.

78/2010, conv. in legge n. 122/2010, ha determinato

un forte sconcerto tra chi deve occuparsi della

gestione del personale dipendente, oltre che piu`

in generale, tra tutto il personale che piu` o meno

frequentemente ha fatto ricorso a questa particolare

forma di autorizzazione per svolgere le sue funzioni

al di fuori della normale sede di lavoro. Non v’e`

infatti chi non abbia riscontrato un palese contrasto

tra la disposizione di legge e le sue stesse finalita` di

contenimento dei costi degli apparati amministrativi,

essendo palese e concreto l’incremento in termini

di costi e/o il decremento in termini di efficienza,

che questo nuovo regime porta con se´.

Una recente pronuncia della Corte dei conti della

Lombardia (n. 949 del 1º ottobre 2010) porta un

po’ di luce su questa materia suggerendo una plausibile

soluzione interpretativa delle norme in questione

che salvaguardi contemporaneamente efficienza

e razionalizzazione dei costi.

La stretta sulle spese per missioni ...

L’art. 6 del D.L. 78 del 31 maggio 2010, convertito

in legge n. 122 del 30 luglio 2010, sotto la rubrica

‘‘Riduzione dei costi degli apparati amministrativi’’,

introduce limiti e restrizioni considerevoli in tema di

spesa per missioni e trasferte per tutte le amministrazioni

pubbliche. La norma ha dichiaratamente la finalita`

di ridurre la spesa degli apparati amministrativi,

come tutte le disposizioni dell’art. 6, e opera sia

nei confronti dei servizi che sporadicamente vengono

prestati al di fuori del territorio di competenza

dell’ente, che quelle connesse a spostamenti che il

dipendente e` chiamato a compiere nel territorio. In

particolare la norma prevede l’impossibilita` per le

singole amministrazioni di autorizzare spese per missioni,

anche all’estero, per un ammontare superiore

al 50% dell’analoga spesa sostenuta nell’anno 2009

determinata a consuntivo con il criterio di cassa.

Un taglio drastico alle risorse impegnabili per l’effettuazione

di tali servizi, che portera` con se´ la necessita`

di rivedere profondamente l’organizzazione

di ogni ente in questo ambito e certamente a effettuare

scelte per priorita`.

La norma esclude l’applicazione del taglio di spesa

per determinate tipologie di missione (missioni internazionali

di pace o connesse ad accordi internazionali

ovvero alla partecipazione a riunioni di organismi

internazionali o comunitari) nonche´ per le spese

sostenute per lo svolgimento di compiti ispettivi.

... e in particolare sull’utilizzo

del mezzo proprio

Il c. 12 della norma in esame, stabilisce con decorrenza

immediata dalla data di sua entrata in vigore, la disapplicazione nei confronti di tutto il personale

pubblico contrattualizzato di cui all’art. 3 del

D.Lgs. n. 165/2001, dell’art. 15 della legge 18 dicembre

1973, n. 836 e dell’art. 8 della legge n.

417 del 26 luglio 1978; analogamente e dalla stessa

data vengono caducati gli effetti di analoghe disposizioni

contenute nei contratti collettivi di lavoro.

Si tratta in sostanza delle norme che regolano la

possibilita` di autorizzare il dipendente all’utilizzo

del mezzo proprio per svolgere servizi fuori ufficio

e che ne quantificano i relativi rimborsi delle spese

sostenute.

Le due norme citate rappresentano l’unica fonte

normativa inerente al regime delle missioni e trasferte

in ambito pubblico, ed in particolare l’art.

15 della legge n. 836/1973 e` l’unico riferimento

normativo in cui e` prevista, previa autorizzazione,

la possibilita` del dipendente di spostarsi per ragioni

di servizio, utilizzando un mezzo di sua proprieta`, e

la conseguente possibilita` di ricevere un adeguato

rimborso delle spese sostenute, per cui la loro disapplicazione

ha indotto a considerare totalmente

abrogata ogni possibilita` non solo di ricevere specifici

rimborsi spese, ma addirittura di poter legittimamente

ricorrere a tale possibilita` per tutti gli spostamenti

per servizio.

Analisi della normativa disapplicata

Nell’ambito della regolamentazione generale del

‘‘trattamento economico di missione dei dipendenti

statali’’, disposto dalla legge n. 836/1973 ovvero

del quadro generale di regolamentazione delle casistiche

e delle situazioni in cui il dipendente pubblico

puo` essere chiamato a svolgere la sua attivita` lavorativa

al di fuori della ordinaria sede di lavoro e

dei conseguenti risvolti economici legati alla trasferta,

l’art. 15 detta una regolamentazione specifica

inerente la possibilita` da parte del dipendente di

utilizzare per gli spostamenti fuori ufficio, un proprio

mezzo di trasporto.

La norma in questione sembra dettare una regolamentazione

precisa e stringente limitando al c. 1

in modo preciso l’ambito soggettivo di applicazione,

ovvero si riferisce esplicitamente al personale

che eserciti funzioni ispettive, inoltre al comma

successivo definisce anche un preciso ambito territoriale

in cui tale modalita` di trasporto e` legittimamente

autorizzabile, ovvero l’ambito territoriale di

competenza dell’ente, comunque limitato al territorio

provinciale. Specifica inoltre una condizione

necessaria, ovvero l’accertamento della convenienza

economica rispetto ai normali servizi di trasporto

di linea.

La norma, oltre a definire le modalita` operative di

preventiva autorizzazione da parte del dirigente,

originariamente prevedeva la corresponsione a titolo

di indennita` onnicomprensiva di tutte le spese

sostenute per l’utilizzo del mezzo proprio, di un

importo pari a lire 43 per ogni chilometro percorso.

La stessa norma riconosce la possibilita` del dipendente

di farsi rimborsare anche spese accessorie all’utilizzo

del proprio mezzo quali quelle conseguenti

ai pedaggi autostradali

L’art. 8 della legge n. 417/1978 adegua l’importo

dell’indennita` chilometrica ragguagliandolo ad un

quinto del costo della benzina vigente nel tempo,

per ogni chilometro percorso.

Va notato che il successivo art. 9 della legge n.

417/1978 stabilisce una esplicita deroga all’ambito

territoriale suddetto; tale norma estende di fatto la

possibilita` di autorizzazione all’uso del mezzo proprio

alla generalita` dei dipendenti inviati in missione,

anche se non esercitanti funzioni ispettive, nei

casi in cui il luogo di missione non possa essere

raggiunto da mezzi pubblici, o comunque quando

l’orario dei mezzi esistenti non sia conciliabile

con lo svolgimento della missione (1).

L’estensione della disciplina

alla generalita` delle trasferte

Con successive disposizioni contrattuali i diversi

comparti di contrattazione pubblica, hanno declinato

tale disposizione alle peculiarita` del comparto,

estendendo in qualche modo l’ambito di applicazione

dell’Istituto. L’argomento del trattamento di

missione e trasferta fu infatti ripreso dall’accordo

intercompartimentale n. 395 del 23 agosto 1988 e

successivamente dall’art. 33 del D.P.R. n. 347 del

25 giugno 1983, recettivo dell’accordo nazionale

di lavoro del 29 aprile 1983 per il personale dipendente

dagli enti locali. E ` solo pero` con l’art. 41 c. 4

delle ‘‘Code contrattuali’’ CCNL 14 settembre

2000 che nella disciplina pattizia inerente agli enti

locali si introduce una piu` ampia possibilita` di utilizzo

del mezzo proprio per ragioni di servizio. Il

testo della norma recita infatti: ‘‘Il dipendente

puo` essere eccezionalmente autorizzato ad utilizzare

il proprio mezzo di trasporto, sempreche´ la trasferta

riguardi localita` distante piu` di 10 Km dalla

ordinaria sede di servizio e diversa dalla dimora

abituale, qualora l’uso di tale mezzo risulti piu` conveniente

dei normali servizi di linea. In tal caso ....

al dipendente ... il rimborso delle spese autostradali,

di parcheggio e dell’eventuale custodia del mezzo

ed una indennita` chilometrica pari ad un quinto

del costo di un litro di benzina verde per ogni

Km’’.

Seppure in un ambito piu` ampio, non ristretto

espressamente alle ipotesi di esercizio di funzioni

ispettive, la disposizione contrattuale rimarca comunque

l’eccezionalita` del ricorso all’utilizzo del

mezzo proprio, la possibilita` di utilizzarlo per spostamenti

non inferiori a 10 chilometri dalla sede di

lavoro, e la necessita` di comparare dal punto di vista

economico la convenienza di tale soluzione rispetto

al ricorso ai mezzi pubblici.

Gli effetti dell’art. 6 c. 12

del D.L. n. 78/2010

L’intervento abrogativo dell’art. 6 c. 12 del D.L. n.

78/2010 spazza via tali fonti normative e contrattuali

in modo inequivocabile; se sotto il profilo letterale

risulta difficile sostenere una qualche forma

di ultrattivita` dell’istituto dell’utilizzo del mezzo

proprio, sotto il profilo delle intenzioni del legislatore

ogni dubbio viene eliminato; dalla relazione illustrativa

del provvedimento D.L. n. 78/2010 presentata

al Senato, risulta infatti inequivocabilmente

la volonta` del legislatore di ... ‘‘sopprimere l’utilizzo

del mezzo proprio di trasporto... anche .. .nei casi

debitamente autorizzati’’.

Tale indirizzo, se da una parte ha reso chiara la volonta`

del legislatore, ha pero` aperto un forte dibattito

in merito alla sua efficacia in termini di riduzione

della spesa pubblica e in termini di efficienza

dell’azione amministrativa, con particolare riferimento

alle amministrazioni locali che spesso si sono

avvalse proficuamente della disponibilita` dei dipendenti

di utilizzare il proprio mezzo di trasporto;

si pensi che la maggioranza delle amministrazioni

locali deve gestire servizi su territori spesso molto

vasti in assenza di altri mezzi idonei a garantire

la presenza di propri addetti sul territorio. Siamo

quindi di fronte a un provvedimento che con l’intento

di ridurre i costi degli apparati amministrativi

(si veda in tal senso la rubrica dell’art. 6 del D.L. n.

78/2010), rende invece necessario, per non ridurre

l’efficacia dei servizi, ricorrere a soluzioni ben

piu` costose, quali l’acquisto di nuovi mezzi, o il noleggio

di mezzi di trasporto con conducente (taxi),

o anche semplicemente meno efficaci in termini di

utilizzo del tempo di lavoro del dipendente impegnato

fuori sede, come avverrebbe nel caso di sistematico

ricorso a mezzi pubblici di linea.

Di fronte a tale situazione molte amministrazioni si

sono temporaneamente orientate verso una soppressione/

sospensione delle autorizzazioni all’utilizzo

del mezzo di proprieta` del dipendente, ovvero,

in maniera decisamente meno elegante, alla soppressione

della sola liquidazione del rimborso delle

spese chilometriche sostenute dal personale in missione,

autorizzato all’utilizzo del mezzo proprio.

Del pari risulta diffusa la pratica di sospendere anche

il rimborso delle altre spese connesse all’utilizzo

del mezzo proprio in missione, quali il rimborso

dei pedaggi autostradali e le spese di rimessaggio e

parcheggio del mezzo di proprieta` del dipendente.

In ogni caso si tratta di provvedimenti cautelativi

finalizzati a evitare danni erariali, ma che non risolvono

il problema, scaricandolo sull’efficacia dei

servizi ovvero sul portafoglio del dipendente di

buona volonta` che si sobbarca i costi del proprio

mezzo per attivita` di servizio fuori sede. In ogni caso

si tratta di una situazione da cui occorrerebbe

uscire al piu` presto, prioritariamente con un intervento

abrogativo del legislatore, ma nell’emergenza

attraverso l’individuazione di linee interpretative

sostenibili, atte quanto meno a limitare i danni.

Le interpretazioni possibili

Sia lo stato della normativa scaturita dall’art. 6 c.

12 del D.L. n. 78/1973, che le intenzioni del legislatore

(esplicitate inequivocabilmente in sede di

relazione di presentazione del provvedimento al

Senato) non si prestano a letture diverse da quella

logico-letterale che comporta l’impossibilita` di applicare

le norme in esame dalla data di entrata in vigore

del D.L. n. 78/2010, tuttavia non sono mancati

tentativi di agire in via interpretativa sulla norma in

esame, con la finalita` di dare una sostenibilita` al

quadro normativo superstite anche sul piano dell’efficienza

ed efficacia dei servizi, e quindi tendenti

a limitare o annullare il blocco imposto dalla

Manovra estiva 2010.

Sostanzialmente i diversi sforzi interpretativi si

concretizzano in due distinte linee interpretative:

a) sulla base del testo letterale della norma, l’abrogazione

si riferisce esclusivamente al personale che

svolge attivita` ispettive, e non alla generalita` del

personale pubblico che puo` utilizzare il proprio

mezzo di trasporto, ricevendo l’adeguato rimborso

spese, per attivita` ordinarie (e quindi non ispettive!!).

Tale linea interpretativa e` stata sostenuta dalla

Regione Friuli-Venezia Giulia con parere prot. n.

10693 del 23 giugno 2010;

b) l’art. 6 c. 12 del D.L. n. 78/2010 disapplica l’art.

15 della legge n. 836/1973 e l’art. 8 della legge n.

417/1978, ma lascia vigente il successivo art. 9 legge

n. 417/1978. Tale norma consente, nel caso in

cui particolari esigenze di servizio lo impongano

e qualora risulti economicamente piu` conveniente,

l’uso del proprio mezzo di trasporto, comunque

autorizzato con provvedimento motivato, ‘‘anche

oltre i limiti della circoscrizione provinciale’’; di

conseguenza, la permanenza del corpo normativo

inerente la materia delle missioni e trasferte di questa

disposizione conferma la vigenza del ‘‘principio’’

della rimborsabilita` dei costi sostenuti per l’utilizzo

del mezzo proprio, seppure in casi particolari

e qualora sia economicamente piu` conveniente.

E `questa seconda la linea interpretativa che da piu`

parti si sta tentando di proporre quale via d’uscita

dallo stallo in cui l’art. 6 c. 12 ha messo il sistema.

Pur se l’argomento non e` stato affrontato nella Nota

Anci di piu` generale commento al D.L. n. 78/

2010 (2), si segnala che l’Associazione nazionale

comuni d’Italia, ha comunque fatto sentire la proprio

voce in materia con la nota della Sezione Emilia

Romagna prot. n. 15 del 13 luglio 2010. Con tale

pronuncia, seppure in forma dubitativa, si conclude

per l’autorizzabilita` dell’utilizzo del mezzo

proprio, in base al perdurare in vigenza dell’art. 9

della legge n. 417/1978.

Sulla stessa lunghezza d’onda, si registra l’intervento

del Dipartimento della Ragioneria generale

dello Stato, con circolare n. 36 prot. n. 89560 del

22 ottobre 2010 (3).

Secondo il Ministero dell’economia e finanze la disapplicazione

delle norme inerenti al mezzo proprio,

non si riferisce al personale che esercita funzioni

ispettive e piu` in generale attivita` istituzionali

di verifica e controllo sul territorio, in ragione della

particolare natura delle funzioni esercitate. Accogliere

la tesi inversa inficerebbe l’efficacia dell’azione

amministrativa degli uffici addetti a queste

attivita`. Deve comunque restare ferma la necessita`

di valutare in ogni caso con attenzione, e in chiave

di contenimento della spesa pubblica, se e quando

ricorrere a tale strumento attivando l’autorizzazione

all’uso del mezzo proprio solo nei casi in cui non

sia altrimenti possibile garantire le primarie funzioni

istituzionali di ispezione, verifica e controllo, e

in ogni caso, qualora la scelta del mezzo proprio

si rilevi economicamente piu` vantaggiosa.

La tesi sembra azzardata; se e` vero che le norme disapplicate

si riferiscono espressamente ‘‘al personale

che per lo svolgimento di funzioni ispettive

abbia frequente necessita`’’ per quale motivo, oltre

alla palese necessita` di proseguire efficacemente

nelle fondamentali attivita` ispettive, di verifica e

controllo del Ministero, si potrebbe concludere

per l’esclusione? La lettura acquista maggior senso

se la si legge in sintonia con un altro fondamentale

passaggio dell’art. 6 del D.L. n. 78/2010, ovvero la

disposizione, di cui si accennava in premessa, contenuta

nel terzo periodo del c. 12, che esclude

espressamente le attivita` di tipo ispettivo effettuate

fuori sede dalla limitazione delle spese di trasferta

in misura non superiore al 50% delle analoghe spese

sostenute nel corso dell’anno 2009. Risulterebbe

palese, nell’ottica del Ministero, anche nella volonta`

del legislatore, l’intento di salvaguardare comunque

le attivita` di tipo ispettivo, fondamentale, ad

esempio, per le attivita` di controllo e repressione

dell’evasione fiscale proprie del Dicastero delle Finanze.

Quanto invece alla generalita` del personale dipendente,

anche non esercitante funzioni ispettive, la

permanenza in vigore dell’art. 9 della legge n.

417/1978 giustifica il perdurare della possibilita`

di autorizzare legittimamente il personale in trasferta

all’utilizzo del mezzo proprio. Il Ministero su

questo punto da pero` una lettura fortemente orientata

alle finalita` di ‘‘riduzione dei costi degli apparati

amministrativi’’ dell’art. 6 della Manovra estiva

2010, e rimarca che le autorizzazioni rilasciate

in tal senso, potranno avere effetto esclusivamente

a garantire la copertura assicurativa. Si rammenta

in proposito che all’entrata in vigore del D.L. n.

78/2010 alcune compagnie di assicurazione avevano

immediatamente segnalato l’impossibilita` di coprire

i sinistri occorsi al personale dipendente inviato

in missione con il proprio mezzo, in assenza

di una legittimazione giuridica valida all’autorizzazione.

Di fatto, facendo una espressa deroga per il

personale addetto a funzioni ispettive, di verifica e

controllo, si vieta non gia` la possibilita` di autorizzazione

all’utilizzo del mezzo proprio, quanto il

rimborso delle spese conseguenti.

Piu` di recente si registra invece la voce autorevole

della Corte dei conti, Sezione regionale di controllo

per la Lombardia, che in risposta ad uno specifico

quesito sull’esatto ambito di applicazione dell’art. 6

c. 12 del D.L. n. 78/2010, e di conseguenza sull’ammissibilita`

di residue ipotesi di autorizzazione

all’uso del mezzo proprio dei dipendenti di enti locali

in trasferta, ha prodotto la delibera n. 949 del 1º

ottobre 2010 (4).

La pronuncia della Corte, che fa seguito ad uno

specifico quesito di un ente territoriale, riguarda

espressamente il caso di dipendenti che non svolgono

attivita` di tipo ispettivo, ma che devono comunque

effettuare frequenti spostamenti all’interno

del territorio di competenza dell’ente per ragioni

connesse al servizio. L’ente istante rappresenta la maggiore

dispendiosita` del servizio organizzato

con vetture di proprieta` dell’ente rispetto al riconoscimento

del rimborso chilometrico ai dipendenti

che usino il proprio mezzo.

Il Collegio incentra la sua analisi prima di tutto sull’esatta

individuazione dell’ambito di applicazione

della norma e sulla verifica eventuale residuale ipotesi

di autorizzazione dell’uso del mezzo proprio.

In questo senso la Corte preliminarmente sgombra

il campo da qualsiasi dubbio inerente possibili

esclusioni dall’ambito di applicazione dell’art. 6

c. 12, stabilendo inequivocabilmente che l’effetto

disapplicativo della norma in esame colpisce sia i

dipendenti che svolgono funzioni ispettive (art.

15 c. 1 legge n. 836/1973) che la generalita` dei dipendenti

esercitanti altre funzioni (c. 3), in ragione

della ratio di contenimento della spesa della p.a.

che pervade tutto il provvedimento in esame. Il secondo

luogo l’esame della Corte si spinge a verificare,

confermandola, la portata disapplicativa del

D.L. n. 78/2010 anche nei confronti delle analoghe

disposizioni contrattuali, e segnatamente, nell’ambito

del comparto regioni-enti locali, dell’art. 41

del CCNL 14 settembre 2000, avendo, entrambe

le disposizioni disapplicate, una ‘‘medesima portata

contenutistica’’. In questo senso siamo quindi di

fronte ad una dissonante diversita` di opinioni rispetto

a quanto sostenuto dal Ministero dell’economie

e delle finanze.

Nel piu` stringente merito della questione in esame,

la Corte, argomentando in base alla permanenza in

vigore dell’art. 9 della legge n. 17/1978, afferma

che nell’ambito delle Autonomie locali, tale disposizione

non riguarda direttamente la pura e semplice

razionalizzazione della spesa pubblica, bensı` in

una visione piu` ampia, l’autonomo potere di ogni

singola amministrazione di organizzazione dei propri

servizi. In quest’ottica l’ente territoriale legittimamente

puo` valutare le ‘‘particolari esigenze di

servizio’’ che impongano il ricorso all’autorizzazione

all’uso del mezzo proprio, previa verifica della

sua maggiore convenienza economica. E tale

esercizio dell’autonomia organizzativa degli enti

locali, sancito ormai inequivocabilmente dal nuovo

testo del Titolo V della Costituzione, potra` in ogni

caso determinare benefici effetti anche sul versante

della spesa pubblica.

La Sezione Lombardia conclude sposando una interpretazione

costituzionalmente orientata, in base

alla quale l’intervento disapplicativo dell’art. 6

del D.L. n. 78/2010 non puo` incidere sugli autonomi

poteri del singolo ente di organizzare autonomamente

i propri servizi. Tale lettura, conclude la

Corte, non solo porta a ritenere che l’uso del mezzo

proprio puo` essere legittimamente autorizzato, se

cio` incrementa efficacia, efficienza ed economicita`

dei servizi resi con tale particolare modalita`, ma anche

che la regolamentazione di tale fenomeno, con

propria autonoma regolamentazione, rende sostenibile

sia la rifusione delle spese effettivamente sostenute

in proprio dal dipendente, che la copertura

assicurativa dei mezzi privati attraverso polizze sottoscritte

dall’ente.

Tale tesi interpretativa porta a concludere per la necessita`

che ogni ente, in rispetto dei principi di contenimento

della spesa pubblica ribaditi in materia

dall’art. 6 della Manovra estiva 2010, organizzi

autonomamente, con proprio atto regolamentare,

le ipotesi di autorizzazione all’utilizzo del proprio

mezzo di trasporto per i propri dipendenti inviati

in missione, fuori o all’interno del proprio territorio

di competenza, non fosse altro per colmare un’ultima

lacuna del quadro complessivo: essendo stato

disapplicato l’art. 8 della legge n. 417/1978, e completamente

venuta meno una disciplina normativa

che regoli l’entita` economica del rimborso chilometrico.

Va comunque evidenziato che tale autonoma regolamentazione

non puo` prescindere da una attenta

valutazione in merito a:

_ l’essenzialita` dei servizi interessati e quindi una

pre-selezione degli ambiti di ricorso all’utilizzo

del mezzo proprio;

_ l’individuazione di ipotesi in cui sia certa l’opportunita`

organizzativa della modalita` di trasporto

prescelta;

_ il richiamo costante a criteri di economicita` e efficienza

in questo tipo di scelta;

_ la necessita` che tali considerazioni vengano convogliate

in un atto autorizzativo ben motivato e circostanziato.

Naturalmente la regolamentazione dovra` essere finalizzata

ad una complessiva riduzione dei costi,

in considerazione del fatto che, le spese per l’utilizzo

del mezzo proprio, al pari di tutte le spese di

missioni e trasferte, dovranno essere ricondotte

nel 2011 al 50% dell’analoga spesa sostenuta nel

2009.

In ogni caso l’art. 6 c. 12 del D.L. n. 78/2010 deve

essere un’occasione per ripensare il sistema per rifondarlo

su binari di efficienza ed efficacia, in

un’ottica di ottimale utilizzo delle risorse.

di Paolo Belli

Responsabile del servizio contabilita` e pensioni Comune di Cesena