Normativa e prassi di riferimento:
art. 14, comma 9, del D.L. n. 78/2010
Nuovo vincolo in vigore dal 2011:
è fatto divieto agli enti nei quali l’incidenza delle spese di personale è pari o superiore
al 40 % delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e
con qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale; i restanti enti possono
procedere ad assunzioni di personale nel limite del 20 % della spesa corrispondente
alle cessazioni dell’anno precedente.
Applicazione del nuovo vincolo:
attenzione ai seguenti aspetti applicativi del suddetto vincolo:
il limite del 20% va calcolato in riferimento alla spesa e non al numero delle
cessazioni dell’anno precedente;
per quanto riguarda le cessazioni in corso d’anno, il 20% deve essere calcolato
sulla spesa del dipendente cessato con riferimento all’intero anno e non solamente sulla spesa effettivamente sostenuta; la norma è infatti rivolta al contenimento della
spesa di personale, per cui occorre tenere conto degli andamenti occupazionali e delle
scelte gestionali “a regime” per l’intera annualità (cfr. delib. n. 1041/2010 della Corte
dei Conti della Lombardia);
qualora per ciascun ente le assunzioni effettuabili in riferimento alle cessazioni
intervenute nell’anno precedente, riferite a ciascun anno, siano inferiori all’unità, le
quote non utilizzate possono essere cumulate con quelle derivanti dalle cessazioni
relative agli anni successivi, fino al raggiungimento dell’unità (art. 9, comma 11, D.L.
78/2010).
Casi particolari d applicazione del nuovo vincolo:
trattenimento in servizio dei pubblici dipendenti oltre i limiti di età per il
collocamento a riposo (art. 16, D.Lgs. n. 503/1992): possono essere disposti solo
nell’ambito delle facoltà assunzionali consentite dalla legislazione vigente in base alle
cessazioni di personale (art. 9, comma 31, D.L. 78/2010) = E’ CONSIDERATA NUOVA
ASSUNZIONE;
personale assunto con contratto di lavoro a tempo parziale : la trasformazione del
rapporto a tempo pieno può avvenire nel rispetto delle modalità e dei limiti previsti
dalle disposizioni vigenti in materia di assunzioni (art. 3, comma 101, L. 244/2007, cfr.
delib. 873/2010 Corte Conti Lombardia) = E’ CONSIDERATA NUOVA ASSUNZIONE;
assunzioni categorie protette : si riporta un estratto della Circolare n. 6/2009
firmata dal Ministro Brunetta relativa al blocco delle assunzioni nelle pubbliche
amministrazioni dello scorso anno; il principio riportato può essere ritenuto valido
anche per le assunzioni degli enti locali nel 2011: “In merito all’ambito di intervento
del divieto di assumere, si ritiene siano esclusi dal divieto le categorie protette, nel
limite del completamento della quota d’obbligo. Trattasi di una categoria meritevole di
tutela in quanto rientrante tra le fasce deboli della popolazione che rimane
normalmente esclusa dai blocchi e dai vincoli assunzionali, attesa l’esigenza di
assicurare in maniera permanente l’inclusione al lavoro dei soggetti beneficiari della
normativa di riferimento. Si ricorda che la mancata copertura della quota d’obbligo
riservata alle categorie protette è espressamente sanzionata sul piano penale,
amministrativo e disciplinare secondo quanto previsto dall’art. 15, comma 3, della
legge 12 marzo 1999, n. 68”. = SONO ESCLUSE DAI VINCOLI IN MATERIA DI
ASSUNZIONI SOLO NEL LIMITE DEL COMPLETAMENTO DELLA QUOTA
DELL’OBBLIGO;
mobilità : la mobilità in uscita non costituisce cessazione e, quindi, non consente la
sostituzione tramite concorsi, ma solamente con assunzioni in mobilità; può quindi
essere sostituita tramite concorso solo se è diretta a un ente che non ha vincoli alle
assunzioni (Corte dei Conti, Sezioni Riunite, delibera n. 59/2010). Al fine di garantire
la necessaria neutralità finanziaria delle operazioni di trasferimento il Dipartimento
della funzione pubblica, con la Circolare n. 4 del 2008 e, in seguito, con alcuni specifici pareri (da ultimo quello reso alla Croce rossa italiana n. 13731 del 19 marzo 2010) ha
chiarito che, poiché l’ente che riceve personale in esito alle procedure di mobilità non
imputa tali nuovi ingressi alla quota di assunzioni normativamente prevista, l’ente che
cede non può considerare la cessazione per mobilità come equiparata a quelle
fisiologicamente derivanti da collocamenti a riposo; espletate le procedure di mobilità,
l’ente ricevente resta, infatti, libero di effettuare un numero di assunzioni
compatibile con il regime vincolistico e con le vacanze residue di organico.
Riepilogo dei vincoli sulle assunzioni a tempo indeterminato da tenere presente
nell’anno 2011 in sede di programmazione triennale del personale e di
programma annuale delle assunzioni:
Enti soggetti al patto di stabilità:
qualora il rapporto tra la spesa del personale e le spese correnti sia inferiore
al 40%, è possibile procedere ad assunzioni di personale nel limite del 20%
della spesa corrispondente alle cessazioni dell’anno precedente (art. 14,
comma 9, D.L. n. 78/2010);
negli enti in cui l’incidenza della spesa di personale sia pari o inferiore al 35%
della spesa corrente, è possibile effettuare assunzioni per turn-over in
deroga al suddetto limite del 20%, sempre nel rispetto del patto di stabilità
interno e dei limiti complessivi delle spese di personale, al fine di consentire
l’esercizio delle funzioni di polizia locale previste dall’art. 21, comma 3, lett.
b), della L. n. 42/2009 (art. 1, comma 118, della Legge di stabilità 2011);
per poter assumere, deve essere stato rispettato il vincolo riduzione della
spesa nell’anno precedente (art. 14, c. 7, D.L. 78/2010) e l’assunzione deve
garantire il rispetto del vincolo di riduzione della spesa nell’anno in corso.
Sanzioni in materia di assunzioni per gli enti che non hanno rispettato il patto
di stabilità:
divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con
qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai
processi di stabilizzazione in atto; è fatto altresì divieto agli enti di stipulare
contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della
predetta disposizione (art. 76, comma 4, D.L. n. 112/2008);
tra i divieti di cui sopra rientrano anche le convenzioni previste dall’art. 14 del
CCNL del 22/01/2004 per l’utilizzo di personale di altre amministrazioni (cfr.
delib. n. 37/2010 Corte Conti Veneto e n. 676/2010 Corte Conti Lombardia);
è vietata anche la mobilità (cfr. art. 1, comma 47, L. 311/2004, delib. n.
53/2010 Corte dei Conti Sezioni Riunite in sede di controllo).
Enti non soggetti al patto di stabilità (tra le altre, Delibera Corte dei Conti
Sezione riunite n. 52/2010, Deliberazione Corte dei Conti Veneto n. 227/2010, Delibera
Corte Conti Lombardia n. 989/2010):
non si applica la percentuale del 20% sulle cessazioni;
rimane garantito il turn-over al 100% delle cessazioni, anche quelle
verificatesi dopo il 2006 (delibera 52/2010 Corte Conti, Sezioni Riunite);
l’assunzione si può fare l’anno successivo a quello di cessazione, nel rispetto:
a) del tetto della spesa del personale dell’anno 2004, al netto degli aumenti
contrattuali;
b) del rapporto tra spesa del personale e spesa corrente, che deve essere
inferiore al 40% (art. 14, comma 9, D.L. n. 78/2010).
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Studio di Consulenza nella Gestione delle Risorse Umane e Controllo di Gestione nella Pubblica Amministrazione
domenica 23 gennaio 2011
Blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici
Limite al trattamento economico
complessivo - Art. 9, c. 1, D.L. n. 78
‘‘Per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico
complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale,
ivi compreso il trattamento accessorio, previsto
dai rispettivi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche
inserite nel conto economico consolidato della pubblica
amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale
di statistica (Istat) ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della
legge 31 dicembre 2009, n. 196, non puo` superare, in ogni
caso, il trattamento ordinariamente spettante per l’anno
2010, al netto degli effetti derivanti da eventi straordinari
della dinamica retributiva, ivi incluse le variazioni dipendenti
da eventuali arretrati, conseguimento di funzioni diverse in
corso d’anno, fermo in ogni caso quanto previsto dal comma
21, 3º e 4º periodo, per le progressioni di carriera comunque
denominate, maternita` , malattia, missioni svolte
all’estero, effettiva presenza in servizio, fatto salvo quanto
previsto dal comma 17, secondo periodo e dall’art. 8, comma
14.’’
La norma impone, quindi, il confronto fra due
quantita`: il trattamento economico complessivo e
il trattamento ordinariamente spettante e il primo,
relativo agli anni 2011, 2012 e 2013, non puo` superare
l’ammontare del secondo, calcolato con riferimento
al 2010. Entrambe vanno riferite al singolo
dipendente, come ribadito dalla Corte dei conti (1).
L’identificazione del trattamento economico complessivo
risulta abbastanza agevole, in quanto rappresenta
l’insieme di tutte le voci stipendiali che
compongono la retribuzione dei dipendenti pubblici.
Si potrebbe pensare di escludere alcuni elementi,
ma il loro valore risulta marginale. Ne potrebbero
essere esempi l’assegno per il nucleo familiare,
in quanto generalmente non viene considerato trattamento
economico e perche´ la sua normativa ne
mantiene avulso l’andamento da quello dello stipendio,
eventuali rimborsi spese presenti nonche´
l’equo indennizzo, perche´ qualificato come prestazione
previdenziale.
Maggiori problemi sorgono nella quantificazione
del trattamento ordinariamente spettante in quanto
siamo di fronte ad una delle formule usate dal legislatore,
che non trova la sua definizione nel nostro
ordinamento giuridico. In questa incertezza, si ritiene
di poter affermare che nella quantita` in questione
non dovrebbe rientrare il compenso per lavoro straordinario,
in quanto lo stesso presuppone eventi
eccezionali e non prevedibili. Allo stesso modo,
non dovrebbero rientrare in tale quantita` i compensi
attribuiti a seguito del verificarsi di fenomeni naturali
eccezionali, quali le calamita` naturali (alluvioni,
terremoti, ecc.) Per quanto attiene al ‘‘fenomeno
neve’’, lo stesso deve essere contestualizzato. Infatti,
mentre a Catania, lo si puo` ritenere eccezionale,
non si puo` dire altrettanto per una nevicata a Sondrio.
Oltre a questo, la norma fornisce alcune indicazioni
utili per la sua definizione. Specifica, infatti,
che trattasi di quel trattamento che si ottiene neutralizzando
gli effetti derivanti da eventi straordinari
della dinamica retributiva. Anche questa non rappresenta
una locuzione che trova fondamento nel
nostro ordinamento e, quindi, vengono in rilievo
problemi interpretativi. Si pensa possano rientrare
in tali fattispecie le assunzioni, in quanto non sarebbe
pensabile dover confrontare la retribuzione
relativa ad alcuni mesi del 2010, perche´ il dipendente
e` stato assunto in corso d’anno, con quella
dell’intero 2011. L’ente che assuma per mobilita`,
sia volontaria che obbligatoria, dovra` aver cura di
richiedere all’amministrazione cedente il bagaglio
di trattamento ordinariamente spettante che il dipendente
porta con se´ e sommarla con quanto maturato
presso lo stesso ente, se l’assunzione avviene
nel 2010, ovvero considerarlo gia` come limite, se
l’assunzione avviene nel triennio 2011-2013. Analogamente,
negli eventi straordinari, si puo` far rientrare
la trasformazione da part-time a tempo pieno
del rapporto di lavoro, in quanto non risulterebbe
confrontabile lo stipendio relativo a 18 ore settimanali
del 2010 con quello a tempo pieno del 2011
quando, per esempio, il dipendente in part-time al
50% ritorna a tempo pieno l’1 gennaio 2011. In altre
parole, la norma consente di omogeneizzare, sia
sotto il profilo temporale che sotto l’aspetto dell’impegno
lavorativo, le quantita` che vanno comparate
nel 2011, 2012 e 2013 rispetto al 2010.
La disposizione chiarisce che sono eventi straordinari
della dinamica retributiva:
_ le variazioni dipendenti da eventuali arretrati. Oltre
all’ipotesi di emolumenti dovuti a sentenza, la
fattispecie puo` riguardare, eventualmente, solo gli
arretrati per l’applicazione del Ccnl ai segretari comunali
e provinciali relativo ai bienni economici
2006-2007 e 2008-2009, stante il blocco generalizzato
dei contratti collettivi per il personale dipendente
per il triennio 2010-2012;
_ il conseguimento di funzioni diverse in corso
d’anno. Anche in questo caso i confini non sono
molto delineati. Si puo` ritenere di ricomprendere
nell’accezione in questione il conferimento della titolarita`
della posizione organizzativa, in quanto
trattasi di un aumento retributivo conseguente a
nuove e piu` ampie responsabilita`. Nello stesso senso,
e` ipotizzabile che in tale contesto rientri anche il
conferimento della responsabilita` di procedimento
ed eventuale relativa indennita`. Spingendosi ancora
oltre, si potrebbe dire che il conseguimento di funzioni
diverse abbraccia tutte quelle ipotesi in cui, a
seguito di modifica di profilo professionale, si debba
riconoscere una particolare indennita`. Si pensi,
ad esempio, ad un istruttore amministrativo, categoria
C, che nel corso del 2010, per mobilita` interna,
vada a ricoprire un posto di istruttore di vigilanza,
all’interno della medesima categoria. Nell’esempio
esposto, la disposizione fa salvo il conseguente
riconoscimento dell’indennita` di vigilanza
anche per gli anni 2011, 2012 e 2013, che, in caso
contrario, andrebbe a ‘‘gonfiare’’ il trattamento
economico complessivo.
Leggendo al contrario la disposizione in commento,
non sono fatti salvi tutti gli aumenti retributivi
non derivanti dal conseguimento di funzioni diverse.
L’esempio principe e` rappresentato dalle progressioni
economiche (ex progressioni orizzontali),
le quali, se effettuate con decorrenza 2011, entreranno
nel coacervo del trattamento economico
complessivo, ma non sono presenti nel trattamento
ordinariamente spettante del 2010 e, quindi, comporteranno
il mancato rispetto del limite. Sembra,
in pratica, che la disposizione blocchi il ricorso alle
predette progressioni come strumenti premianti.
La norma, oltre ai casi suesposti, fa salve le disposizioni
contenute nel c. 21, periodo 3 e 4, in tema di
progressioni di carriera, le quali dispongono che le
ex progressioni verticali, effettuate sempre nel
triennio 2011-2013, hanno effetti solo giuridici,
ma non economici. In altre parole, viene stabilito
che, nel caso in cui il dipendente, con progressione
di carriera, passi dalla categoria C alla categoria D,
lo stesso debba svolgere le funzioni previste per il
profilo professionale ascritto alla categoria D, ma la
sua retribuzione resta quella della categoria C. Al di
la` dei forti dubbi di incostituzionalita` che la norma
presenta, non si comprende la disposizione inserita
in questo contesto, stante la sua ‘‘indifferenza’’
economica.
Il comma in questione fa, altresı`, salve tutte quelle
ipotesi in cui il dipendente ha usufruito di istituti
contrattuali che hanno comportato la riduzione dello
stipendio (malattia, maternita`, missione all’estero,
effettiva presenza in servizio). Il legislatore ha
voluto, anche in questi casi, neutralizzare gli effetti
distorsivi che le predette assenze avrebbero avuto
sul trattamento ordinariamente spettante. Si pensi,
ad esempio, ad una dipendente la quale, nel corso
del 2010, abbia usufruito di tutto il congedo parentale
e, quindi, per il periodo che va oltre i primi 30
giorni e fino ai sei mesi, la stessa abbia percepito una
retribuzione ridotta al 30%. Per calcolare l’importo
della retribuzione ordinariamente spettante
per l’anno 2010 si deve procedere al calcolo di
quanto la stessa avrebbe percepito se non avesse
usufruito del predetto congedo parentale. E cosı`
per tutte le ipotesi in cui l’effettiva presenza in servizio
possa aver inciso sul trattamento economico
del dipendente. Si pensi alle ipotesi di assenza
per malattia nei primi dieci giorni, di corresponsione
dell’indennita` rischio, e cosı` via.
In ogni caso, viene fatta salva la corresponsione
dell’indennita` di vacanza contrattuale, che risulta
non intaccata dalla disposizione in commento.
Da quanto sin qui detto, risulta evidente che il trattamento
ordinariamente spettante per l’anno 2010
non coincide necessariamente con quanto percepito
dal dipendente nel medesimo anno, ma bisogna
procedere alla ricostruzione di una retribuzione
‘‘virtuale’’, per neutralizzare gli effetti di tutte
quelle ipotesi che la stessa norma fa salvi. La Corte
dei conti parla di retribuzione giuridicamente spettante.
Ricostruzione che dovrebbe seguire il criterio di
competenza, in quanto la locuzione ‘‘spettante’’ sembra
richiamare tutto quello che e` riferito al 2010 piuttosto
che quanto pagato nel medesimo anno.
Il trattamento ordinariamente spettante, quindi, rappresenta
una quantita` che dovrebbe essere inferiore
al trattamento economico complessivo, se non per i
casi prima esposti (compenso per lavoro straordinario,
reperibilita` per neve, ecc.). Una lettura restrittiva
della norma, che porti a ‘‘fotografare’’ quanto
avvenuto, di ordinario, nel 2010 e a replicarlo esattamente
negli anni 2011, 2012 e 2013 comporta,
quantomeno, tre problemi:
1) conseguenze negative a livello di gestione e organizzazione
del personale. Stante la non comprimibilita`
del trattamento economico fondamentale,
eventuali necessita` di prestazioni ulteriori nel
2011 rispetto al 2010, che comportino la corresponsione
di maggiori compensi, non possono essere richieste
se non ricorrendo alla riduzione di altre voci.
In altre parole, se si presenta la necessita` di far
fare ad un vigile, nel 2011, un turno in piu` rispetto
al 2010, si dovra` procedere alla corrispondente decurtazione
di altre voci (ad esempio, il rischio) per
non andare oltre il limite;
2) non si comprende il valore della norma contenuta
nel c. 2 bis del medesimo art. 9, che impone un
tetto al trattamento accessorio complessivo di ente.
Sussistendo un limite al trattamento accessorio individuale,
il vincolo sul trattamento economico
complessivo non e` altro che la somma dei limiti individuali
e, quindi, la disposizione del c. 2 bis sembra
non avere significato;
3) sussistono forti perplessita` nell’ambito dell’applicazione
della riforma Brunetta: come si fa a premiare
i piu` bravi, attraverso le famose fasce, quando
sussiste un limite alla retribuzione complessiva?
Per queste motivazioni, si ritiene sia necessario andar
oltre alla mera interpretazione letterale. Alcuni
interpreti propongono di considerare nel trattamento
accessorio solo quelle voci che presentano il carattere
di ricorrenza. Si parla, infatti, di ‘‘accessorio
fisso’’. Ne consegue che rimarrebbero fuori dalla
portata della norma tutti gli emolumenti che presentano
una spiccata variabilita`, quale, tipicamente,
la vecchia produttivita`, oggi bonus annuale collegato
alla performance. Altri interpreti spostano l’attenzione
dal singolo dipendente al suo profilo professionale
e ragionano in termini di trattamento ordinariamente
spettante per tale profilo, ammettendo
che possa rientrare nel suddetto trattamento ordinariamente
spettante anche una quota di straordinario,
di turno, di reperibilita`, in quanto ‘‘normalmente’’
percepito dal profilo in questione. Seguendo tale linea
e forzando un po’’ la mano, si potrebbe arrivare
a dire che anche un importo di produttivita` puo` essere
considerato ordinariamente spettante, in quanto,
ancora, normalmente percepito dal lavoratore
che presti, con diligenza, la propria opera.
Qualunque sia l’interpretazione seguita, appaiono
comportamenti censurabili iniziative volte ad inserire,
nel 2011, l’istituto del turno in un settore dove,
nel 2010, non era presente oppure aumentare l’importo
di alcune indennita` accessorie, quale il disagio.
In quest’ottica, sembra, altresı`, ancora maggiormente
difficile sostenere l’inserimento nel fondo
per le risorse decentrate di somme ai sensi dell’art.
15, c. 2 e 5, del Ccnl 1º aprile 1999, in quanto trovano
il loro fondamento nella progettualita`, che va
oltre l’ordinaria attivita` dell’amministrazione.
In ogni caso, e` assolutamente opportuno un intervento
chiarificatore dell’organo deputato alla interpretazione
della norma; intervento che si auspica
possa vedersi in tempi rapidissimi, al fine di consentire
alle amministrazioni la necessaria programmazione
in tema di gestione del personale.
Tagli agli stipendi alti -
Art. 9, c. 2, D.L. n. 78
In considerazione della eccezionalita` della situazione economica
internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie
di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede
europea, a decorrere dal 1º gennaio
2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici
complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale,
previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni
pubbliche, inserite nel conto economico consolidato
della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto
nazionale di statistica (Istat), ai sensi del comma 3,
dell’art. 1, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, superiori
a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del 5 per cento per la
parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro,
nonche´ del 10 per cento per la parte eccedente 150.000
euro; a seguito della predetta riduzione il trattamento economico
complessivo non puo` essere comunque inferiore a
90.000 euro lordi annui; (...)
La riduzione prevista dal primo periodo del presente comma
non opera ai fini previdenziali.
Altra norma che interessa il triennio 2011-2013.
Impone alle amministrazione di procedere alla riduzione
del trattamento economico complessivo nella
misura del 5% per la parte che eccede i 90.000 annui
lordi e del 10% per la parte che eccede i
150.000 euro annui lordi. Il riferimento e`, ancora
una volta, al trattamento economico complessivo
del singolo dipendente e, quindi, comprensivo di
tutte le voci stipendiali. E ` da sottolineare che, per
i segretari comunali e provinciali, tale trattamento
comprende sia i diritti di segreteria che la retribuzione
aggiuntiva per sedi convenzionate. A questo
proposito, giova evidenziare che, in caso di convenzione
di segreteria, e` necessario che un ente appartenente
alla convenzione, di solito il capofila,
mantenga monitorata la retribuzione del segretario,
al fine di determinare il momento in cui detto stipendio
superi gli importi dei 90.000 euro e dei
150.000 euro. Sara`, poi, l’accordo fra le amministrazione
a stabilire come si procedera` alla riduzione.
Due sono le possibilita`:
_ ciascun ente procede alla riduzione sulle somme
direttamente corrisposte al segretario;
_ l’ente capofila effettua un ‘‘conguaglio’’ e applica
la riduzione nel suo intero importo.
Un altro problema riguarda le voci sulle quali si va
ad incidere. Anche in questo caso, due sono i percorsi
che si possono seguire:
_ viene ridotto solo il salario accessorio, ed in questo
caso bisogna predeterminare un criterio per l’individuazione
della voce stipendiale da decurtare;
_ si applica la riduzione, in misura proporzionale, a
tutte le voci stipendiali.
Il taglio opera per i trattamenti economici complessivi
superiori a 90.000 euro annui lordi. Per la determinazione
di detto trattamento, dovendosi far riferimento
ad importi lordi, si deve considerare
l’ammontare dello stipendio prima di aver operato
le trattenute previdenziali ed assistenziali e le ritenute
erariali. Non risulta chiaro se, nella determinazione,
si deve considerare l’importo del trattamento
pagato ovvero di competenza. Trattandosi, poi, di
limite annuo, appare necessario procedere al suo riproporzionamento
nel caso di assunzione o cessazione
intervenuta in corso d’anno.
La riduzione si applica al superamento dei 90.000
euro e dei 150.000 euro annui. Non si ritiene che
tali importi debbano essere mensilizzati e, quindi,
di dover applicare la riduzione a livello mensile,
ma solo nel momento in cui gli importi suddetti
vengano superati.
Un esempio puo` aiutare a chiarire: si ipotizzi un segretario
comunale che percepisca uno stipendio
mensile lordo di 15.000,00 euro:
— da gennaio a giugno non si effettua alcun abbattimento,
(15.000 x 6 = 90.000);
— da luglio a ottobre si riduce del 5%, (15.000 x 4
= 60.000);
— novembre e dicembre si riduce del 10%.
La norma precisa, infine, che la riduzione in commento
non opera ai fini previdenziali. Ne consegue
che, nel calcolo dell’imponibile sul quale determinare
i contributi da versare, si deve neutralizzare l’importo
della decurtazione. Proseguendo l’esempio sopra riportato,
con riferimento al mese di ottobre, si avra`:
— stipendio mensile lordo: 15.000,00;
— riduzione 5%: 750,00;
— stipendio lordo spettante: 14.250,00;
— aumento figurativo imp. previdenziale: 750,00;
— imponibile previdenziale: 15.000,00;
— contributi previdenziali (8,85% + 0,35% + 2%):
1.680,00;
— imponibile fiscale (14.250 - 1.680): 12.570,00.
Stante la premessa, dovrebbe risultare logica conseguenza
che, nella certificazione modello PA04, sia
ai fini pensionistici che per il calcolo del trattamento
di fine servizio e di fine rapporto, si debba indicare
l’importo della retribuzione piena, senza considerare
le riduzioni in commento.
Vincolo al trattamento accessorio
complessivo - Art. 9, c. 2 bis, D.L. n. 78
A decorrere dal 1º gennaio 2011 e sino al 31 dicembre
2013 l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente
al trattamento accessorio del personale, anche
di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni di
cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, non puo` superare il corrispondente importo
dell’anno 2010 ed e` , comunque, automaticamente ridotto
in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio.
Rappresenta, questo, un vincolo a livello di ente, e
non piu` sul singolo dipendente. Le risorse destinate al trattamento
accessorio, sempre negli anni 2011,
2012 e 2013, non possono assumere un importo superiore
a quello del 2010. Un primo problema e` rappresentato
dalla definizione di ‘‘ammontare complessivo
delle risorse destinate annualmente al trattamento
accessorio del personale’’. Da un lato puo` essere
rappresentato dal fondo per le risorse decentrate,
disciplinato dall’art. 31 del Ccnl 22 gennaio
2004. In questo caso, nessun problema nella quantificazione
in quanto risulta dal relativo atto assunto
dall’ente. Ma, in senso tecnico, trattamento accessorio
ha un altro significato, vale a dire quell’insieme
di componenti la retribuzione che il contratto collettivo
definisce come accessorio. Per la determinazione
di tali voci si deve far riferimento, oltre al Ccnl
stesso, anche ai vari interventi esplicativi a suo tempo
emanati in materia di trattenuta nei primi dieci
giorni di malattia (3). Le due quantita` non coincidono
esattamente: ad esempio, la retribuzione di posizione,
negli enti privi di dirigenza, non grava sul
fondo, pur essendo trattamento accessorio, cosı` come
le progressioni economiche fanno parte del trattamento
fondamentale, ma trovano il loro finanziamento
all’intero delle risorse decentrate.
Un altro dubbio interpretativo e` rappresentato dal
criterio da applicare per la determinazione del limite,
vale a dire se si deve far riferimento alla cassa o
alla competenza. Stante il tenore della norma, la locuzione
‘‘destinate’’ sembra richiamare il criterio
della competenza. In questa ipotesi, sorgerebbe
un’ulteriore complicazione, costituita dal caso in
cui il fondo per le risorse decentrate (se cosı` si deve
intendere il trattamento accessorio) sia costituito
con un anno di ritardo, ipotesi tutt’altro che infrequente.
Ancora: la norma afferma che il vincolo si applica
al trattamento accessorio del personale, anche di livello
dirigenziale. Non risulta chiaro se nella determinazione
del tetto si debbano considerare tutti e
solo i dipendenti o, al contrario, si debba aggiungere
anche il segretario comunale o provinciale. Se da
un lato la retribuzione di quest’ultimo viene corrisposta
dall’ente nel quale e` stato assegnato, dall’altro
lo stesso segretario dipende giuridicamente dal
Ministero dell’interno, dopo l’avvenuta soppressione
dell’Agenzia autonoma per la gestione dell’albo
dei segretari comunali e provinciali. Per quest’ultimo
motivo, si potrebbe ritenere che lo stesso non
debba partecipare alla determinazione del limite
per le risorse da destinare al trattamento accessorio.
Anche nell’ipotesi di esclusione del segretario comunale
o provinciale, la norma dispone la quantificazione
di un unico limite a livello di ente e, quindi,
a tale limite contribuisce sia il personale dirigente
che quello non dirigente. In altre parole, sembra
escluso che si possa procedere alla determinazione
di due tetti distinti, di cui uno facente capo ai dirigenti
e l’altro per i restanti dipendenti.
Nel quadro delineato, alcune norme contrattuali
troveranno difficolta` di attuazione nei prossimi tre
anni. In particolare:
— l’art. 4, c. 2, del Ccnl 5 ottobre 2001, che vuole
incrementare le risorse del fondo per gli importi
della retribuzione individuale di anzianita` e degli
assegni ad personam del personale cessato;
— l’art. 15, c. 2 e 5, del Ccnl 1º aprile 1999, per
importi che dovessero superare quanto gia` destinato
nel 2010;
— l’art. 17 del Ccnl 1º aprile 1999, che consente
di riportare all’anno successivo le somme non spese
dell’anno precedente (4);
— l’art. 15, c. 1, lett. k) del Ccnl 1º aprile 1999
(compensi Merloni, Ici, avvocatura) in quanto anche
tali importi dovrebbero rientrare nel limite e,
di conseguenza, non potrebbero superare l’importo
destinato nel 2010. Ma la sola applicazione delle
disposizioni contenute nel collegato lavoro alla finanziaria
2009, che riporta la percentuale dei compensi
per progettazione dallo 0,50% al 2% comporta
un incremento delle risorse destinate a tale scopo.
La norma impone, infine, la decurtazione del limite
in caso di riduzione del personale dipendente. Risulta
impensabile procedere alla predetta riduzione
al verificarsi di ogni cessazione dal servizio, a qualunque
titolo essa avvenga, in quanto, se tale cessazione
venisse seguita dalla relativa sostituzione, il
nuovo assunto non si troverebbe il suo bagaglio
di ‘‘trattamento accessorio’’. Si ritiene piu` opportuno
accantonare la somma di salario accessorio relativa
alla cessazione, al fine di non procedere al pagamento
della stessa, e di dar corso alla riduzione
reale del limite del trattamento accessorio solo a fine
anno, in relazione al saldo fra cessazioni e assunzioni.
Per quanto riguardo il calcolo della riduzione, si
profila una modalita` di determinazione assai semplice,
vale a dire una media matematica, suddividendo
l’importo complessivo del trattamento accessorio
per il numero di soggetti ai quali lo stesso
trattamento si riferisce.
Nessun dubbio in merito alla competenza dell’atto di accertamento
del limite massimo del trattamento
accessorio e della sua eventuale riduzione: trattasi
di atto tecnico e, quindi, la relativa adozione spetta
al dirigente o, in assenza della dirigenza, al responsabile
a cui e` assegnata la titolarita` della gestione
del personale.
Aumento massimo per il Ccnl 2008-
2009 - Art. 9, c. 4, D.L. n. 78
I rinnovi contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche
amministrazioni per il biennio 2008-2009 ed i miglioramenti
economici del rimanente personale in regime di diritto
pubblico per il medesimo biennio non possono, in ogni
caso, determinare aumenti retributivi superiori al 3,2 per
cento. La disposizione di cui al presente comma si applica
anche ai contratti ed accordi stipulati prima della data di entrata
in vigore del presente decreto; le clausole difformi
contenute nei predetti contratti ed accordi sono inefficaci;
a decorrere dalla mensilita` successiva alla data di entrata
in vigore del presente decreto i trattamenti retributivi saranno
conseguentemente adeguati. La disposizione di cui al
primo periodo del presente comma non si applica al comparto
sicurezza-difesa ed ai Vigili del fuoco.
Per i dipendenti pubblici, gli aumenti derivanti dai
Ccnl riferiti al biennio 2008-2009 devono rispettare
il limite imposto dagli strumenti di programmazione
economico-finanziaria e, quindi, non possono
eccedere la misura del 3,20%. Qualora siano gia`
stati sottoscritti, alla data del 31 maggio 2010, accordi
che contengano clausole difformi, quest’ultime
sono inefficaci e i maggiori benefici vanno recuperati
con decorrenza giugno 2010. Andando a
leggere la relazione tecnica al decreto legge in esame,
si evince che ‘‘la previsione ivi contenuta (secondo
periodo del c. 4) trova applicazione esclusivamente
nei confronti del personale del comparto
regioni ed enti locali (personale non dirigente) e
di quello degli enti del SSN (personale dirigente
e non)’’. Quindi sono interessati i dipendenti non
dirigenti di regioni, comuni e province. Ma l’ipotesi
di contratto di tale comparto, relativo al biennio
2008-2009 era stata, a suo tempo, certificata dalla
Corte dei conti (5), la quale aveva affermato che
‘‘per quanto riguarda la valutazione di compatibilita`
economica, correlata al rispetto del tasso di inflazione
programmato, l’incremento delle retribuzioni
risulta pari al 3,2%, in linea con gli incrementi negoziali
previsti nei documenti di programmazione
economico-finanziaria’’. La situazione non puo`
che destare perplessita` e induce a far di conto. Considerando
lo stipendio base delle singole posizioni
economiche, all’inizio e alla fine del biennio in
questione, e calcolando l’incidenza dell’incremento
rispetto al tabellare iniziale, si rileva che, effettivamente,
gli incrementi sono superiori al 3,20%, in
misura variabile per ogni posizione. Alcuni interpreti
sostengono che, al posto di confrontare i
due tabellari, si debba procedere a calcolare le somme
effettivamente percepite, negli anni 2008 e
2009, a titolo di incrementi contrattuali. Queste
somme, confrontate con lo stipendio base all’inizio
del biennio, danno la misura dell’aumento. Ma anche
in questo caso, viene superato il tetto del
3,20%, anche se, quantitativamente, in misura inferiore.
A conferma della prima modalita` di calcolo
vi e` il Ccnl del comparto regioni ed autonomie locali,
per il medesimo biennio, ma riferito alla dirigenza,
la cui ipotesi e` stata sottoscritta dopo l’entrata
in vigore del D.L. n. 78/2010 e che e` stato riconosciuto,
anche da parte della Corte dei conti (6),
in linea con la previsione della norma in commento.
Prendendo lo stipendio tabellare dei dirigenti
all’1 gennaio 2008 (euro 41.968,00), dividendolo
per 13, si ottiene uno stipendio mensile di euro
3.228,30; applicando la percentuale del 3,20% risulta
un importo pari a euro 103,30, che coincide
con l’incremento a regime del predetto tabellare.
In ogni caso, risulta assodato che l’incremento del
tabellare, nel biennio 2008-2009, e` stato superiore
al limite in questione. Un’ulteriori tesi, pero`, si
sta profilando. Secondo quest’ultima interpretazione,
al fine del rispetto del vincolo del 3,20% non
bisogna considerare solo lo stipendio base, ma si
deve prendere a riferimento anche l’incremento
del salario accessorio. Ai sensi dell’art. 4 del Ccnl
31 luglio 2009, l’incremento delle risorse decentrate
poteva variare, nel solo anno 2009, fino ad un
massimo dell’1,50% del monte salari 2007, qualora
fossero rispettati alcuni parametri di virtuosita`. Tale
incremento risulta molto inferiore del tetto del
3,20% indicato dalla norma in commento. Ne consegue
che il minor incremento del salario accessorio
assorbe il maggior incremento dello stipendio
tabellare e, quindi, nulla si dovrebbe recuperare.
L’inserimento del salario accessorio per la verifica
del tetto viene affermato anche dalla Corte dei conti
Toscana (7), la quale aggiunge, pero` , che le risorse
incrementative del fondo 2009, pari al limite massimo
dell’1,50% suddetto, se corrisposte entro
maggio 2010, non possono, in alcun caso, formare
oggetto di richiesta di restituzione. Dopo l’entrata
in vigore del D.L. n. 78/2010, non e` possibile procedere
al pagamento di tali risorse, anche se gia` accantonate
nel fondo.
In questa situazione abbastanza confusa, e` urgente
un intervento da parte degli organi istituzionali, al
fine di sancire se i dipendenti delle amministrazioni
locali debbano restituire parte dei benefici contrattuali
2008-2009 e, in caso di risposta affermativa,
in quale misura. Fino a tale pronuncia, e` opportuno
non procedere ad alcun recupero, al fine di non
creare situazioni di disparita` di trattamento.
Blocco del contratto collettivo - Art. 9,
c. 17, D.L. n. 78
Non si da` luogo, senza possibilita` di recupero, alle procedure
contrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012 del
personale di cui all’articolo 2, comma 2 e articolo 3 del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni.
E`
fatta salva l’erogazione dell’indennita` di vacanza
contrattuale nelle misure previste a decorrere dall’anno
2010 in applicazione dell’articolo 2, comma 35, della legge
22 dicembre 2008, n. 203.
Il legislatore ha sospeso la tornata contrattuale 2010-
2012 facendo salva esclusivamente l’erogazione dell’indennita`
di vacanza contrattuale. La mancata sottoscrizione
del Ccnl per il triennio non pone particolari
problemi interpretativi ed operativi in merito allo stipendio
tabellare: non vi e` alcun aumento se non l’autonomo
riconoscimento dell’Ivc, che, con ogni probabilita`,
verra` assorbito con la successiva tornata
contrattuale. Poiche´ l’Ivc ha le stesse caratteristiche
del trattamento tabellare, puo` essere opportuno calcolare
il valore del trattamento accessorio collegato al
tabellare (quali straordinario, turno e maggiorazioni)
anche sull’Ivc onde evitare di dover effettuare ricalcali
a distanza di parecchi anni.
L’impossibilita` di effettuare ‘‘procedure contrattuali
e negoziali’’ dovrebbe, almeno dal punto di vista
letterale, precludere la possibilita` di addivenire anche
ad accordi di natura decentrata, atteso che il
dettato normativo non limita il divieto alla contrattazione
nazionale. Per altro verso non si comprende
come si possa gestire il trattamento accessorio collegato
alle risorse del fondo in assenza di un contratto
decentrato. Inoltre, la norma non sospende
esplicitamente l’applicazione delle norme contrattuali
in materia di contrattazione decentrata.
La mancanza del Ccnl pone problemi difficilmente
superabili in merito all’applicazione della riforma
Brunetta con particolare riferimento al sistema premiale
contenuto nel Titolo III del D.Lgs. n. 150/
2009. La stessa circolare n. 7/2010 della Funzione
pubblica, a firma del Ministro, al par. 5 prevede che
‘‘altre norme del D.Lgs. n. 150/2009 non risultano,
invece, applicabili se non a partire dalla stipulazione
dei contratti collettivi relativi al periodo contrattuale
2010-2012, in quanto ne presuppongono l’entrata
in vigore’’. Il contratto nazionale deve definire
la nuova struttura della retribuzione come presupposto
per poter ‘‘destinare alla produttivita` individuale
la quota prevalente della retribuzione accessoria’’
ai sensi dell’art. 40, c. 3 bis, del D.Lgs. n.
165/2001, cosı` come modificato dal D.Lgs. n.
150/2009.
Il Ccnl deve, inoltre, intervenire sulla retribuzione
dei dirigenti collegata ai risultati, ai sensi dell’art.
24 del nuovo D.Lgs. n. 165/2001 sulla scorta del
quale ‘‘il trattamento accessorio collegato ai risultati
deve costituire almeno il 30 per cento della retribuzione
complessiva del dirigente considerata al
netto della retribuzione individuale di anzianita` e
degli incarichi aggiuntivi soggetti al regime dell’onnicomprensivita`’’.
In altre parole, il contratto
nazionale doveva incrementare progressione le risorse
disponibili per la retribuzione di risultato al
fine di rendere applicabile il vincolo del 30% dal
2013, ovvero dalla tornata contrattuale successiva
a quella decorrente dall’1 gennaio 2010.
Il sistema premiale prevede due nuovi istituti, il bonus
annuale delle eccellenze ed il premio per l’innovazione,
il cui importo e` quantificato dal Ccnl all’interno
delle risorse messe a disposizione per la
contrattazione nazionale (art. 45, c. 3 bis, D.Lgs.
n. 165/2001). Per lo stesso motivo sono inapplicabili
i premi per il c.d. ranking, che doveva trovare
finanziamento sempre nella contrattazione nazionale
(art. 45, c. 3 bis, D.Lgs. n. 165/2001).
Anche se la circolare citata si limita ad evidenziare
le problematiche suesposte, che gia`, da sole, fanno
seriamente dubitare dell’effettiva possibilita` di applicare
la riforma, numerosi altri problemi dovevano
trovare soluzione nel Ccnl. In primo luogo ci si
chiede se possa considerarsi ancora compatibile
con il bonus annuale collegato alla performance individuale
la retribuzione di risultato del personale
non dirigente cosı` come definita nel Ccnl, il quale
prevede che possa variare tra il 10 ed il 25% della
retribuzione di posizione. Nella logica della riforma
si dovrebbero determinare le risorse disponibili ed
individuare un sistema di fasce cosı` come indicato
nell’art. 31, c. 2, del D.Lgs. n. 150/2009. In applicazione
dei principi dettati dagli artt. 17 e 18 anche
l’attribuzione della retribuzione di risultato deve
avvenire in modo ‘‘selettivo, secondo logiche meritocratiche’’
e quindi potendo premiare i migliori
anche con importi che eccedono la soglia, effettivamente
oggi non proprio motivante, del 25% della
retribuzione di posizione. Tuttavia il contratto collettivo
rimane ancora vigente anche se palesemente
incompatibile con la riforma. Sulla scorta dell’art. 31 del D.Lgs. n. 150/2009 gli
enti dovranno redigere al massimo tre graduatorie
di dipendenti, in base alle quali assegnare il bonus
annuale sulle performance: una per i dirigenti, una
per i non dirigenti titolari di posizione organizzativa
ed una per i rimanenti dipendenti. Evidentemente
presenta non pochi problemi ipotizzare che un
dipendente di categoria A possa essere inserito nella
stessa graduatoria di un dipendente di categoria
D e che il relativo premio non possa essere differenziato.
Ma in assenza di un Ccnl risulta difficile
pensare a soluzioni diverse.
Inoltre, il famoso e dolente istituto dell’art. 15, c. 5,
del Ccnl 1º aprile 1999 e` ancora compatibile con il
bonus collegato alla performance? Se da una parte
il miglioramento dei servizi e` collegato a specifici
obiettivi che un gruppo di dipendenti deve raggiungere,
dall’altro il sistema delle performance prevede
un’unica graduatoria con fasce di merito differenziate
su tutti i dipendenti; ancora una volta
una norma contrattuale vigente ma incompatibile
con la riforma.
Conclusione
Se da una parte la riforma Brunetta detta un’agenda
di tempi ben cadenzati per la sua applicazione dall’altra
parte la manovra Tremonti ha sostanzialmente
tagliato le gambe a questa riforma. La dimostrazione
sta proprio nel blocco del trattamento economico individuale,
nel blocco del trattamento accessorio a livello
di ente e non per ultimo nel blocco del Ccnl, e
forse anche dei Ccdi, del triennio 2010-2012.
di Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan
Esperti in gestione e organizzazione del personale degli enti locali
complessivo - Art. 9, c. 1, D.L. n. 78
‘‘Per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico
complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale,
ivi compreso il trattamento accessorio, previsto
dai rispettivi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche
inserite nel conto economico consolidato della pubblica
amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale
di statistica (Istat) ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della
legge 31 dicembre 2009, n. 196, non puo` superare, in ogni
caso, il trattamento ordinariamente spettante per l’anno
2010, al netto degli effetti derivanti da eventi straordinari
della dinamica retributiva, ivi incluse le variazioni dipendenti
da eventuali arretrati, conseguimento di funzioni diverse in
corso d’anno, fermo in ogni caso quanto previsto dal comma
21, 3º e 4º periodo, per le progressioni di carriera comunque
denominate, maternita` , malattia, missioni svolte
all’estero, effettiva presenza in servizio, fatto salvo quanto
previsto dal comma 17, secondo periodo e dall’art. 8, comma
14.’’
La norma impone, quindi, il confronto fra due
quantita`: il trattamento economico complessivo e
il trattamento ordinariamente spettante e il primo,
relativo agli anni 2011, 2012 e 2013, non puo` superare
l’ammontare del secondo, calcolato con riferimento
al 2010. Entrambe vanno riferite al singolo
dipendente, come ribadito dalla Corte dei conti (1).
L’identificazione del trattamento economico complessivo
risulta abbastanza agevole, in quanto rappresenta
l’insieme di tutte le voci stipendiali che
compongono la retribuzione dei dipendenti pubblici.
Si potrebbe pensare di escludere alcuni elementi,
ma il loro valore risulta marginale. Ne potrebbero
essere esempi l’assegno per il nucleo familiare,
in quanto generalmente non viene considerato trattamento
economico e perche´ la sua normativa ne
mantiene avulso l’andamento da quello dello stipendio,
eventuali rimborsi spese presenti nonche´
l’equo indennizzo, perche´ qualificato come prestazione
previdenziale.
Maggiori problemi sorgono nella quantificazione
del trattamento ordinariamente spettante in quanto
siamo di fronte ad una delle formule usate dal legislatore,
che non trova la sua definizione nel nostro
ordinamento giuridico. In questa incertezza, si ritiene
di poter affermare che nella quantita` in questione
non dovrebbe rientrare il compenso per lavoro straordinario,
in quanto lo stesso presuppone eventi
eccezionali e non prevedibili. Allo stesso modo,
non dovrebbero rientrare in tale quantita` i compensi
attribuiti a seguito del verificarsi di fenomeni naturali
eccezionali, quali le calamita` naturali (alluvioni,
terremoti, ecc.) Per quanto attiene al ‘‘fenomeno
neve’’, lo stesso deve essere contestualizzato. Infatti,
mentre a Catania, lo si puo` ritenere eccezionale,
non si puo` dire altrettanto per una nevicata a Sondrio.
Oltre a questo, la norma fornisce alcune indicazioni
utili per la sua definizione. Specifica, infatti,
che trattasi di quel trattamento che si ottiene neutralizzando
gli effetti derivanti da eventi straordinari
della dinamica retributiva. Anche questa non rappresenta
una locuzione che trova fondamento nel
nostro ordinamento e, quindi, vengono in rilievo
problemi interpretativi. Si pensa possano rientrare
in tali fattispecie le assunzioni, in quanto non sarebbe
pensabile dover confrontare la retribuzione
relativa ad alcuni mesi del 2010, perche´ il dipendente
e` stato assunto in corso d’anno, con quella
dell’intero 2011. L’ente che assuma per mobilita`,
sia volontaria che obbligatoria, dovra` aver cura di
richiedere all’amministrazione cedente il bagaglio
di trattamento ordinariamente spettante che il dipendente
porta con se´ e sommarla con quanto maturato
presso lo stesso ente, se l’assunzione avviene
nel 2010, ovvero considerarlo gia` come limite, se
l’assunzione avviene nel triennio 2011-2013. Analogamente,
negli eventi straordinari, si puo` far rientrare
la trasformazione da part-time a tempo pieno
del rapporto di lavoro, in quanto non risulterebbe
confrontabile lo stipendio relativo a 18 ore settimanali
del 2010 con quello a tempo pieno del 2011
quando, per esempio, il dipendente in part-time al
50% ritorna a tempo pieno l’1 gennaio 2011. In altre
parole, la norma consente di omogeneizzare, sia
sotto il profilo temporale che sotto l’aspetto dell’impegno
lavorativo, le quantita` che vanno comparate
nel 2011, 2012 e 2013 rispetto al 2010.
La disposizione chiarisce che sono eventi straordinari
della dinamica retributiva:
_ le variazioni dipendenti da eventuali arretrati. Oltre
all’ipotesi di emolumenti dovuti a sentenza, la
fattispecie puo` riguardare, eventualmente, solo gli
arretrati per l’applicazione del Ccnl ai segretari comunali
e provinciali relativo ai bienni economici
2006-2007 e 2008-2009, stante il blocco generalizzato
dei contratti collettivi per il personale dipendente
per il triennio 2010-2012;
_ il conseguimento di funzioni diverse in corso
d’anno. Anche in questo caso i confini non sono
molto delineati. Si puo` ritenere di ricomprendere
nell’accezione in questione il conferimento della titolarita`
della posizione organizzativa, in quanto
trattasi di un aumento retributivo conseguente a
nuove e piu` ampie responsabilita`. Nello stesso senso,
e` ipotizzabile che in tale contesto rientri anche il
conferimento della responsabilita` di procedimento
ed eventuale relativa indennita`. Spingendosi ancora
oltre, si potrebbe dire che il conseguimento di funzioni
diverse abbraccia tutte quelle ipotesi in cui, a
seguito di modifica di profilo professionale, si debba
riconoscere una particolare indennita`. Si pensi,
ad esempio, ad un istruttore amministrativo, categoria
C, che nel corso del 2010, per mobilita` interna,
vada a ricoprire un posto di istruttore di vigilanza,
all’interno della medesima categoria. Nell’esempio
esposto, la disposizione fa salvo il conseguente
riconoscimento dell’indennita` di vigilanza
anche per gli anni 2011, 2012 e 2013, che, in caso
contrario, andrebbe a ‘‘gonfiare’’ il trattamento
economico complessivo.
Leggendo al contrario la disposizione in commento,
non sono fatti salvi tutti gli aumenti retributivi
non derivanti dal conseguimento di funzioni diverse.
L’esempio principe e` rappresentato dalle progressioni
economiche (ex progressioni orizzontali),
le quali, se effettuate con decorrenza 2011, entreranno
nel coacervo del trattamento economico
complessivo, ma non sono presenti nel trattamento
ordinariamente spettante del 2010 e, quindi, comporteranno
il mancato rispetto del limite. Sembra,
in pratica, che la disposizione blocchi il ricorso alle
predette progressioni come strumenti premianti.
La norma, oltre ai casi suesposti, fa salve le disposizioni
contenute nel c. 21, periodo 3 e 4, in tema di
progressioni di carriera, le quali dispongono che le
ex progressioni verticali, effettuate sempre nel
triennio 2011-2013, hanno effetti solo giuridici,
ma non economici. In altre parole, viene stabilito
che, nel caso in cui il dipendente, con progressione
di carriera, passi dalla categoria C alla categoria D,
lo stesso debba svolgere le funzioni previste per il
profilo professionale ascritto alla categoria D, ma la
sua retribuzione resta quella della categoria C. Al di
la` dei forti dubbi di incostituzionalita` che la norma
presenta, non si comprende la disposizione inserita
in questo contesto, stante la sua ‘‘indifferenza’’
economica.
Il comma in questione fa, altresı`, salve tutte quelle
ipotesi in cui il dipendente ha usufruito di istituti
contrattuali che hanno comportato la riduzione dello
stipendio (malattia, maternita`, missione all’estero,
effettiva presenza in servizio). Il legislatore ha
voluto, anche in questi casi, neutralizzare gli effetti
distorsivi che le predette assenze avrebbero avuto
sul trattamento ordinariamente spettante. Si pensi,
ad esempio, ad una dipendente la quale, nel corso
del 2010, abbia usufruito di tutto il congedo parentale
e, quindi, per il periodo che va oltre i primi 30
giorni e fino ai sei mesi, la stessa abbia percepito una
retribuzione ridotta al 30%. Per calcolare l’importo
della retribuzione ordinariamente spettante
per l’anno 2010 si deve procedere al calcolo di
quanto la stessa avrebbe percepito se non avesse
usufruito del predetto congedo parentale. E cosı`
per tutte le ipotesi in cui l’effettiva presenza in servizio
possa aver inciso sul trattamento economico
del dipendente. Si pensi alle ipotesi di assenza
per malattia nei primi dieci giorni, di corresponsione
dell’indennita` rischio, e cosı` via.
In ogni caso, viene fatta salva la corresponsione
dell’indennita` di vacanza contrattuale, che risulta
non intaccata dalla disposizione in commento.
Da quanto sin qui detto, risulta evidente che il trattamento
ordinariamente spettante per l’anno 2010
non coincide necessariamente con quanto percepito
dal dipendente nel medesimo anno, ma bisogna
procedere alla ricostruzione di una retribuzione
‘‘virtuale’’, per neutralizzare gli effetti di tutte
quelle ipotesi che la stessa norma fa salvi. La Corte
dei conti parla di retribuzione giuridicamente spettante.
Ricostruzione che dovrebbe seguire il criterio di
competenza, in quanto la locuzione ‘‘spettante’’ sembra
richiamare tutto quello che e` riferito al 2010 piuttosto
che quanto pagato nel medesimo anno.
Il trattamento ordinariamente spettante, quindi, rappresenta
una quantita` che dovrebbe essere inferiore
al trattamento economico complessivo, se non per i
casi prima esposti (compenso per lavoro straordinario,
reperibilita` per neve, ecc.). Una lettura restrittiva
della norma, che porti a ‘‘fotografare’’ quanto
avvenuto, di ordinario, nel 2010 e a replicarlo esattamente
negli anni 2011, 2012 e 2013 comporta,
quantomeno, tre problemi:
1) conseguenze negative a livello di gestione e organizzazione
del personale. Stante la non comprimibilita`
del trattamento economico fondamentale,
eventuali necessita` di prestazioni ulteriori nel
2011 rispetto al 2010, che comportino la corresponsione
di maggiori compensi, non possono essere richieste
se non ricorrendo alla riduzione di altre voci.
In altre parole, se si presenta la necessita` di far
fare ad un vigile, nel 2011, un turno in piu` rispetto
al 2010, si dovra` procedere alla corrispondente decurtazione
di altre voci (ad esempio, il rischio) per
non andare oltre il limite;
2) non si comprende il valore della norma contenuta
nel c. 2 bis del medesimo art. 9, che impone un
tetto al trattamento accessorio complessivo di ente.
Sussistendo un limite al trattamento accessorio individuale,
il vincolo sul trattamento economico
complessivo non e` altro che la somma dei limiti individuali
e, quindi, la disposizione del c. 2 bis sembra
non avere significato;
3) sussistono forti perplessita` nell’ambito dell’applicazione
della riforma Brunetta: come si fa a premiare
i piu` bravi, attraverso le famose fasce, quando
sussiste un limite alla retribuzione complessiva?
Per queste motivazioni, si ritiene sia necessario andar
oltre alla mera interpretazione letterale. Alcuni
interpreti propongono di considerare nel trattamento
accessorio solo quelle voci che presentano il carattere
di ricorrenza. Si parla, infatti, di ‘‘accessorio
fisso’’. Ne consegue che rimarrebbero fuori dalla
portata della norma tutti gli emolumenti che presentano
una spiccata variabilita`, quale, tipicamente,
la vecchia produttivita`, oggi bonus annuale collegato
alla performance. Altri interpreti spostano l’attenzione
dal singolo dipendente al suo profilo professionale
e ragionano in termini di trattamento ordinariamente
spettante per tale profilo, ammettendo
che possa rientrare nel suddetto trattamento ordinariamente
spettante anche una quota di straordinario,
di turno, di reperibilita`, in quanto ‘‘normalmente’’
percepito dal profilo in questione. Seguendo tale linea
e forzando un po’’ la mano, si potrebbe arrivare
a dire che anche un importo di produttivita` puo` essere
considerato ordinariamente spettante, in quanto,
ancora, normalmente percepito dal lavoratore
che presti, con diligenza, la propria opera.
Qualunque sia l’interpretazione seguita, appaiono
comportamenti censurabili iniziative volte ad inserire,
nel 2011, l’istituto del turno in un settore dove,
nel 2010, non era presente oppure aumentare l’importo
di alcune indennita` accessorie, quale il disagio.
In quest’ottica, sembra, altresı`, ancora maggiormente
difficile sostenere l’inserimento nel fondo
per le risorse decentrate di somme ai sensi dell’art.
15, c. 2 e 5, del Ccnl 1º aprile 1999, in quanto trovano
il loro fondamento nella progettualita`, che va
oltre l’ordinaria attivita` dell’amministrazione.
In ogni caso, e` assolutamente opportuno un intervento
chiarificatore dell’organo deputato alla interpretazione
della norma; intervento che si auspica
possa vedersi in tempi rapidissimi, al fine di consentire
alle amministrazioni la necessaria programmazione
in tema di gestione del personale.
Tagli agli stipendi alti -
Art. 9, c. 2, D.L. n. 78
In considerazione della eccezionalita` della situazione economica
internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie
di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede
europea, a decorrere dal 1º gennaio
2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici
complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale,
previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni
pubbliche, inserite nel conto economico consolidato
della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto
nazionale di statistica (Istat), ai sensi del comma 3,
dell’art. 1, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, superiori
a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del 5 per cento per la
parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro,
nonche´ del 10 per cento per la parte eccedente 150.000
euro; a seguito della predetta riduzione il trattamento economico
complessivo non puo` essere comunque inferiore a
90.000 euro lordi annui; (...)
La riduzione prevista dal primo periodo del presente comma
non opera ai fini previdenziali.
Altra norma che interessa il triennio 2011-2013.
Impone alle amministrazione di procedere alla riduzione
del trattamento economico complessivo nella
misura del 5% per la parte che eccede i 90.000 annui
lordi e del 10% per la parte che eccede i
150.000 euro annui lordi. Il riferimento e`, ancora
una volta, al trattamento economico complessivo
del singolo dipendente e, quindi, comprensivo di
tutte le voci stipendiali. E ` da sottolineare che, per
i segretari comunali e provinciali, tale trattamento
comprende sia i diritti di segreteria che la retribuzione
aggiuntiva per sedi convenzionate. A questo
proposito, giova evidenziare che, in caso di convenzione
di segreteria, e` necessario che un ente appartenente
alla convenzione, di solito il capofila,
mantenga monitorata la retribuzione del segretario,
al fine di determinare il momento in cui detto stipendio
superi gli importi dei 90.000 euro e dei
150.000 euro. Sara`, poi, l’accordo fra le amministrazione
a stabilire come si procedera` alla riduzione.
Due sono le possibilita`:
_ ciascun ente procede alla riduzione sulle somme
direttamente corrisposte al segretario;
_ l’ente capofila effettua un ‘‘conguaglio’’ e applica
la riduzione nel suo intero importo.
Un altro problema riguarda le voci sulle quali si va
ad incidere. Anche in questo caso, due sono i percorsi
che si possono seguire:
_ viene ridotto solo il salario accessorio, ed in questo
caso bisogna predeterminare un criterio per l’individuazione
della voce stipendiale da decurtare;
_ si applica la riduzione, in misura proporzionale, a
tutte le voci stipendiali.
Il taglio opera per i trattamenti economici complessivi
superiori a 90.000 euro annui lordi. Per la determinazione
di detto trattamento, dovendosi far riferimento
ad importi lordi, si deve considerare
l’ammontare dello stipendio prima di aver operato
le trattenute previdenziali ed assistenziali e le ritenute
erariali. Non risulta chiaro se, nella determinazione,
si deve considerare l’importo del trattamento
pagato ovvero di competenza. Trattandosi, poi, di
limite annuo, appare necessario procedere al suo riproporzionamento
nel caso di assunzione o cessazione
intervenuta in corso d’anno.
La riduzione si applica al superamento dei 90.000
euro e dei 150.000 euro annui. Non si ritiene che
tali importi debbano essere mensilizzati e, quindi,
di dover applicare la riduzione a livello mensile,
ma solo nel momento in cui gli importi suddetti
vengano superati.
Un esempio puo` aiutare a chiarire: si ipotizzi un segretario
comunale che percepisca uno stipendio
mensile lordo di 15.000,00 euro:
— da gennaio a giugno non si effettua alcun abbattimento,
(15.000 x 6 = 90.000);
— da luglio a ottobre si riduce del 5%, (15.000 x 4
= 60.000);
— novembre e dicembre si riduce del 10%.
La norma precisa, infine, che la riduzione in commento
non opera ai fini previdenziali. Ne consegue
che, nel calcolo dell’imponibile sul quale determinare
i contributi da versare, si deve neutralizzare l’importo
della decurtazione. Proseguendo l’esempio sopra riportato,
con riferimento al mese di ottobre, si avra`:
— stipendio mensile lordo: 15.000,00;
— riduzione 5%: 750,00;
— stipendio lordo spettante: 14.250,00;
— aumento figurativo imp. previdenziale: 750,00;
— imponibile previdenziale: 15.000,00;
— contributi previdenziali (8,85% + 0,35% + 2%):
1.680,00;
— imponibile fiscale (14.250 - 1.680): 12.570,00.
Stante la premessa, dovrebbe risultare logica conseguenza
che, nella certificazione modello PA04, sia
ai fini pensionistici che per il calcolo del trattamento
di fine servizio e di fine rapporto, si debba indicare
l’importo della retribuzione piena, senza considerare
le riduzioni in commento.
Vincolo al trattamento accessorio
complessivo - Art. 9, c. 2 bis, D.L. n. 78
A decorrere dal 1º gennaio 2011 e sino al 31 dicembre
2013 l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente
al trattamento accessorio del personale, anche
di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni di
cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, non puo` superare il corrispondente importo
dell’anno 2010 ed e` , comunque, automaticamente ridotto
in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio.
Rappresenta, questo, un vincolo a livello di ente, e
non piu` sul singolo dipendente. Le risorse destinate al trattamento
accessorio, sempre negli anni 2011,
2012 e 2013, non possono assumere un importo superiore
a quello del 2010. Un primo problema e` rappresentato
dalla definizione di ‘‘ammontare complessivo
delle risorse destinate annualmente al trattamento
accessorio del personale’’. Da un lato puo` essere
rappresentato dal fondo per le risorse decentrate,
disciplinato dall’art. 31 del Ccnl 22 gennaio
2004. In questo caso, nessun problema nella quantificazione
in quanto risulta dal relativo atto assunto
dall’ente. Ma, in senso tecnico, trattamento accessorio
ha un altro significato, vale a dire quell’insieme
di componenti la retribuzione che il contratto collettivo
definisce come accessorio. Per la determinazione
di tali voci si deve far riferimento, oltre al Ccnl
stesso, anche ai vari interventi esplicativi a suo tempo
emanati in materia di trattenuta nei primi dieci
giorni di malattia (3). Le due quantita` non coincidono
esattamente: ad esempio, la retribuzione di posizione,
negli enti privi di dirigenza, non grava sul
fondo, pur essendo trattamento accessorio, cosı` come
le progressioni economiche fanno parte del trattamento
fondamentale, ma trovano il loro finanziamento
all’intero delle risorse decentrate.
Un altro dubbio interpretativo e` rappresentato dal
criterio da applicare per la determinazione del limite,
vale a dire se si deve far riferimento alla cassa o
alla competenza. Stante il tenore della norma, la locuzione
‘‘destinate’’ sembra richiamare il criterio
della competenza. In questa ipotesi, sorgerebbe
un’ulteriore complicazione, costituita dal caso in
cui il fondo per le risorse decentrate (se cosı` si deve
intendere il trattamento accessorio) sia costituito
con un anno di ritardo, ipotesi tutt’altro che infrequente.
Ancora: la norma afferma che il vincolo si applica
al trattamento accessorio del personale, anche di livello
dirigenziale. Non risulta chiaro se nella determinazione
del tetto si debbano considerare tutti e
solo i dipendenti o, al contrario, si debba aggiungere
anche il segretario comunale o provinciale. Se da
un lato la retribuzione di quest’ultimo viene corrisposta
dall’ente nel quale e` stato assegnato, dall’altro
lo stesso segretario dipende giuridicamente dal
Ministero dell’interno, dopo l’avvenuta soppressione
dell’Agenzia autonoma per la gestione dell’albo
dei segretari comunali e provinciali. Per quest’ultimo
motivo, si potrebbe ritenere che lo stesso non
debba partecipare alla determinazione del limite
per le risorse da destinare al trattamento accessorio.
Anche nell’ipotesi di esclusione del segretario comunale
o provinciale, la norma dispone la quantificazione
di un unico limite a livello di ente e, quindi,
a tale limite contribuisce sia il personale dirigente
che quello non dirigente. In altre parole, sembra
escluso che si possa procedere alla determinazione
di due tetti distinti, di cui uno facente capo ai dirigenti
e l’altro per i restanti dipendenti.
Nel quadro delineato, alcune norme contrattuali
troveranno difficolta` di attuazione nei prossimi tre
anni. In particolare:
— l’art. 4, c. 2, del Ccnl 5 ottobre 2001, che vuole
incrementare le risorse del fondo per gli importi
della retribuzione individuale di anzianita` e degli
assegni ad personam del personale cessato;
— l’art. 15, c. 2 e 5, del Ccnl 1º aprile 1999, per
importi che dovessero superare quanto gia` destinato
nel 2010;
— l’art. 17 del Ccnl 1º aprile 1999, che consente
di riportare all’anno successivo le somme non spese
dell’anno precedente (4);
— l’art. 15, c. 1, lett. k) del Ccnl 1º aprile 1999
(compensi Merloni, Ici, avvocatura) in quanto anche
tali importi dovrebbero rientrare nel limite e,
di conseguenza, non potrebbero superare l’importo
destinato nel 2010. Ma la sola applicazione delle
disposizioni contenute nel collegato lavoro alla finanziaria
2009, che riporta la percentuale dei compensi
per progettazione dallo 0,50% al 2% comporta
un incremento delle risorse destinate a tale scopo.
La norma impone, infine, la decurtazione del limite
in caso di riduzione del personale dipendente. Risulta
impensabile procedere alla predetta riduzione
al verificarsi di ogni cessazione dal servizio, a qualunque
titolo essa avvenga, in quanto, se tale cessazione
venisse seguita dalla relativa sostituzione, il
nuovo assunto non si troverebbe il suo bagaglio
di ‘‘trattamento accessorio’’. Si ritiene piu` opportuno
accantonare la somma di salario accessorio relativa
alla cessazione, al fine di non procedere al pagamento
della stessa, e di dar corso alla riduzione
reale del limite del trattamento accessorio solo a fine
anno, in relazione al saldo fra cessazioni e assunzioni.
Per quanto riguardo il calcolo della riduzione, si
profila una modalita` di determinazione assai semplice,
vale a dire una media matematica, suddividendo
l’importo complessivo del trattamento accessorio
per il numero di soggetti ai quali lo stesso
trattamento si riferisce.
Nessun dubbio in merito alla competenza dell’atto di accertamento
del limite massimo del trattamento
accessorio e della sua eventuale riduzione: trattasi
di atto tecnico e, quindi, la relativa adozione spetta
al dirigente o, in assenza della dirigenza, al responsabile
a cui e` assegnata la titolarita` della gestione
del personale.
Aumento massimo per il Ccnl 2008-
2009 - Art. 9, c. 4, D.L. n. 78
I rinnovi contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche
amministrazioni per il biennio 2008-2009 ed i miglioramenti
economici del rimanente personale in regime di diritto
pubblico per il medesimo biennio non possono, in ogni
caso, determinare aumenti retributivi superiori al 3,2 per
cento. La disposizione di cui al presente comma si applica
anche ai contratti ed accordi stipulati prima della data di entrata
in vigore del presente decreto; le clausole difformi
contenute nei predetti contratti ed accordi sono inefficaci;
a decorrere dalla mensilita` successiva alla data di entrata
in vigore del presente decreto i trattamenti retributivi saranno
conseguentemente adeguati. La disposizione di cui al
primo periodo del presente comma non si applica al comparto
sicurezza-difesa ed ai Vigili del fuoco.
Per i dipendenti pubblici, gli aumenti derivanti dai
Ccnl riferiti al biennio 2008-2009 devono rispettare
il limite imposto dagli strumenti di programmazione
economico-finanziaria e, quindi, non possono
eccedere la misura del 3,20%. Qualora siano gia`
stati sottoscritti, alla data del 31 maggio 2010, accordi
che contengano clausole difformi, quest’ultime
sono inefficaci e i maggiori benefici vanno recuperati
con decorrenza giugno 2010. Andando a
leggere la relazione tecnica al decreto legge in esame,
si evince che ‘‘la previsione ivi contenuta (secondo
periodo del c. 4) trova applicazione esclusivamente
nei confronti del personale del comparto
regioni ed enti locali (personale non dirigente) e
di quello degli enti del SSN (personale dirigente
e non)’’. Quindi sono interessati i dipendenti non
dirigenti di regioni, comuni e province. Ma l’ipotesi
di contratto di tale comparto, relativo al biennio
2008-2009 era stata, a suo tempo, certificata dalla
Corte dei conti (5), la quale aveva affermato che
‘‘per quanto riguarda la valutazione di compatibilita`
economica, correlata al rispetto del tasso di inflazione
programmato, l’incremento delle retribuzioni
risulta pari al 3,2%, in linea con gli incrementi negoziali
previsti nei documenti di programmazione
economico-finanziaria’’. La situazione non puo`
che destare perplessita` e induce a far di conto. Considerando
lo stipendio base delle singole posizioni
economiche, all’inizio e alla fine del biennio in
questione, e calcolando l’incidenza dell’incremento
rispetto al tabellare iniziale, si rileva che, effettivamente,
gli incrementi sono superiori al 3,20%, in
misura variabile per ogni posizione. Alcuni interpreti
sostengono che, al posto di confrontare i
due tabellari, si debba procedere a calcolare le somme
effettivamente percepite, negli anni 2008 e
2009, a titolo di incrementi contrattuali. Queste
somme, confrontate con lo stipendio base all’inizio
del biennio, danno la misura dell’aumento. Ma anche
in questo caso, viene superato il tetto del
3,20%, anche se, quantitativamente, in misura inferiore.
A conferma della prima modalita` di calcolo
vi e` il Ccnl del comparto regioni ed autonomie locali,
per il medesimo biennio, ma riferito alla dirigenza,
la cui ipotesi e` stata sottoscritta dopo l’entrata
in vigore del D.L. n. 78/2010 e che e` stato riconosciuto,
anche da parte della Corte dei conti (6),
in linea con la previsione della norma in commento.
Prendendo lo stipendio tabellare dei dirigenti
all’1 gennaio 2008 (euro 41.968,00), dividendolo
per 13, si ottiene uno stipendio mensile di euro
3.228,30; applicando la percentuale del 3,20% risulta
un importo pari a euro 103,30, che coincide
con l’incremento a regime del predetto tabellare.
In ogni caso, risulta assodato che l’incremento del
tabellare, nel biennio 2008-2009, e` stato superiore
al limite in questione. Un’ulteriori tesi, pero`, si
sta profilando. Secondo quest’ultima interpretazione,
al fine del rispetto del vincolo del 3,20% non
bisogna considerare solo lo stipendio base, ma si
deve prendere a riferimento anche l’incremento
del salario accessorio. Ai sensi dell’art. 4 del Ccnl
31 luglio 2009, l’incremento delle risorse decentrate
poteva variare, nel solo anno 2009, fino ad un
massimo dell’1,50% del monte salari 2007, qualora
fossero rispettati alcuni parametri di virtuosita`. Tale
incremento risulta molto inferiore del tetto del
3,20% indicato dalla norma in commento. Ne consegue
che il minor incremento del salario accessorio
assorbe il maggior incremento dello stipendio
tabellare e, quindi, nulla si dovrebbe recuperare.
L’inserimento del salario accessorio per la verifica
del tetto viene affermato anche dalla Corte dei conti
Toscana (7), la quale aggiunge, pero` , che le risorse
incrementative del fondo 2009, pari al limite massimo
dell’1,50% suddetto, se corrisposte entro
maggio 2010, non possono, in alcun caso, formare
oggetto di richiesta di restituzione. Dopo l’entrata
in vigore del D.L. n. 78/2010, non e` possibile procedere
al pagamento di tali risorse, anche se gia` accantonate
nel fondo.
In questa situazione abbastanza confusa, e` urgente
un intervento da parte degli organi istituzionali, al
fine di sancire se i dipendenti delle amministrazioni
locali debbano restituire parte dei benefici contrattuali
2008-2009 e, in caso di risposta affermativa,
in quale misura. Fino a tale pronuncia, e` opportuno
non procedere ad alcun recupero, al fine di non
creare situazioni di disparita` di trattamento.
Blocco del contratto collettivo - Art. 9,
c. 17, D.L. n. 78
Non si da` luogo, senza possibilita` di recupero, alle procedure
contrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012 del
personale di cui all’articolo 2, comma 2 e articolo 3 del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni.
E`
fatta salva l’erogazione dell’indennita` di vacanza
contrattuale nelle misure previste a decorrere dall’anno
2010 in applicazione dell’articolo 2, comma 35, della legge
22 dicembre 2008, n. 203.
Il legislatore ha sospeso la tornata contrattuale 2010-
2012 facendo salva esclusivamente l’erogazione dell’indennita`
di vacanza contrattuale. La mancata sottoscrizione
del Ccnl per il triennio non pone particolari
problemi interpretativi ed operativi in merito allo stipendio
tabellare: non vi e` alcun aumento se non l’autonomo
riconoscimento dell’Ivc, che, con ogni probabilita`,
verra` assorbito con la successiva tornata
contrattuale. Poiche´ l’Ivc ha le stesse caratteristiche
del trattamento tabellare, puo` essere opportuno calcolare
il valore del trattamento accessorio collegato al
tabellare (quali straordinario, turno e maggiorazioni)
anche sull’Ivc onde evitare di dover effettuare ricalcali
a distanza di parecchi anni.
L’impossibilita` di effettuare ‘‘procedure contrattuali
e negoziali’’ dovrebbe, almeno dal punto di vista
letterale, precludere la possibilita` di addivenire anche
ad accordi di natura decentrata, atteso che il
dettato normativo non limita il divieto alla contrattazione
nazionale. Per altro verso non si comprende
come si possa gestire il trattamento accessorio collegato
alle risorse del fondo in assenza di un contratto
decentrato. Inoltre, la norma non sospende
esplicitamente l’applicazione delle norme contrattuali
in materia di contrattazione decentrata.
La mancanza del Ccnl pone problemi difficilmente
superabili in merito all’applicazione della riforma
Brunetta con particolare riferimento al sistema premiale
contenuto nel Titolo III del D.Lgs. n. 150/
2009. La stessa circolare n. 7/2010 della Funzione
pubblica, a firma del Ministro, al par. 5 prevede che
‘‘altre norme del D.Lgs. n. 150/2009 non risultano,
invece, applicabili se non a partire dalla stipulazione
dei contratti collettivi relativi al periodo contrattuale
2010-2012, in quanto ne presuppongono l’entrata
in vigore’’. Il contratto nazionale deve definire
la nuova struttura della retribuzione come presupposto
per poter ‘‘destinare alla produttivita` individuale
la quota prevalente della retribuzione accessoria’’
ai sensi dell’art. 40, c. 3 bis, del D.Lgs. n.
165/2001, cosı` come modificato dal D.Lgs. n.
150/2009.
Il Ccnl deve, inoltre, intervenire sulla retribuzione
dei dirigenti collegata ai risultati, ai sensi dell’art.
24 del nuovo D.Lgs. n. 165/2001 sulla scorta del
quale ‘‘il trattamento accessorio collegato ai risultati
deve costituire almeno il 30 per cento della retribuzione
complessiva del dirigente considerata al
netto della retribuzione individuale di anzianita` e
degli incarichi aggiuntivi soggetti al regime dell’onnicomprensivita`’’.
In altre parole, il contratto
nazionale doveva incrementare progressione le risorse
disponibili per la retribuzione di risultato al
fine di rendere applicabile il vincolo del 30% dal
2013, ovvero dalla tornata contrattuale successiva
a quella decorrente dall’1 gennaio 2010.
Il sistema premiale prevede due nuovi istituti, il bonus
annuale delle eccellenze ed il premio per l’innovazione,
il cui importo e` quantificato dal Ccnl all’interno
delle risorse messe a disposizione per la
contrattazione nazionale (art. 45, c. 3 bis, D.Lgs.
n. 165/2001). Per lo stesso motivo sono inapplicabili
i premi per il c.d. ranking, che doveva trovare
finanziamento sempre nella contrattazione nazionale
(art. 45, c. 3 bis, D.Lgs. n. 165/2001).
Anche se la circolare citata si limita ad evidenziare
le problematiche suesposte, che gia`, da sole, fanno
seriamente dubitare dell’effettiva possibilita` di applicare
la riforma, numerosi altri problemi dovevano
trovare soluzione nel Ccnl. In primo luogo ci si
chiede se possa considerarsi ancora compatibile
con il bonus annuale collegato alla performance individuale
la retribuzione di risultato del personale
non dirigente cosı` come definita nel Ccnl, il quale
prevede che possa variare tra il 10 ed il 25% della
retribuzione di posizione. Nella logica della riforma
si dovrebbero determinare le risorse disponibili ed
individuare un sistema di fasce cosı` come indicato
nell’art. 31, c. 2, del D.Lgs. n. 150/2009. In applicazione
dei principi dettati dagli artt. 17 e 18 anche
l’attribuzione della retribuzione di risultato deve
avvenire in modo ‘‘selettivo, secondo logiche meritocratiche’’
e quindi potendo premiare i migliori
anche con importi che eccedono la soglia, effettivamente
oggi non proprio motivante, del 25% della
retribuzione di posizione. Tuttavia il contratto collettivo
rimane ancora vigente anche se palesemente
incompatibile con la riforma. Sulla scorta dell’art. 31 del D.Lgs. n. 150/2009 gli
enti dovranno redigere al massimo tre graduatorie
di dipendenti, in base alle quali assegnare il bonus
annuale sulle performance: una per i dirigenti, una
per i non dirigenti titolari di posizione organizzativa
ed una per i rimanenti dipendenti. Evidentemente
presenta non pochi problemi ipotizzare che un
dipendente di categoria A possa essere inserito nella
stessa graduatoria di un dipendente di categoria
D e che il relativo premio non possa essere differenziato.
Ma in assenza di un Ccnl risulta difficile
pensare a soluzioni diverse.
Inoltre, il famoso e dolente istituto dell’art. 15, c. 5,
del Ccnl 1º aprile 1999 e` ancora compatibile con il
bonus collegato alla performance? Se da una parte
il miglioramento dei servizi e` collegato a specifici
obiettivi che un gruppo di dipendenti deve raggiungere,
dall’altro il sistema delle performance prevede
un’unica graduatoria con fasce di merito differenziate
su tutti i dipendenti; ancora una volta
una norma contrattuale vigente ma incompatibile
con la riforma.
Conclusione
Se da una parte la riforma Brunetta detta un’agenda
di tempi ben cadenzati per la sua applicazione dall’altra
parte la manovra Tremonti ha sostanzialmente
tagliato le gambe a questa riforma. La dimostrazione
sta proprio nel blocco del trattamento economico individuale,
nel blocco del trattamento accessorio a livello
di ente e non per ultimo nel blocco del Ccnl, e
forse anche dei Ccdi, del triennio 2010-2012.
di Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan
Esperti in gestione e organizzazione del personale degli enti locali
Incarichi dirigenziali a soggetti esterni (art. 110 267/2000) - Sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
FATTO
L'Amministrazione comunale di Firenze ha conferito diversi incarichi dirigenziali a soggetti esterni
alla propria organizzazione in base all’art. 18 del Regolamento comunale sull'ordinamento degli
uffici e dei servizi, e tra questi l'arch. Stefania Fanfani è stata incaricata quale responsabile
dell'ufficio di pianificazione urbanistica con deliberazione di Giunta 2009/G/534. Tale
provvedimento è stato impugnato dal ricorrente, collocato al secondo posto della graduatoria di un
concorso pubblico per un posto di dirigente tecnico dell’Amministrazione, con gravame notificato il
22 gennaio 2010 e depositato il 28 gennaio 2010 per violazione di legge, incompetenza ed eccesso
di potere sotto diversi profili.
Si sono costituiti il Comune di Firenze e la controinteressata chiedendo l'inammissibilità e
comunque il rigetto del ricorso nel merito.
La controinteressata, con ricorso incidentale notificato l'8 febbraio 2010 e depositato il 9 febbraio
2010, ha impugnato la procedura concorsuale all'esito della quale il ricorrente si è utilmente
collocato nella relativa graduatoria.
Con ordinanza n. 112 del 10 febbraio 2010 è stata accolta la domanda incidentale di sospensione.
L'Amministrazione intimata, con deliberazione giuntale 2010/G/31, ha annullato la deliberazione
impugnata e con ordinanza sindacale 12 febbraio 2010 n. 65 ha nuovamente affidato alla
controinteressata l’incarico in discussione. Anche tali provvedimenti sono stati impugnati con
motivi aggiunti, notificati il 9 marzo 2010 e depositati l'11 marzo 2010, chiedendone la sospensione
interinale.
Con ordinanza n. 231 del 24 marzo 2010 la domanda incidentale di sospensione è stata accolta
censurando il mancato svolgimento di una procedura selettiva preceduta da pubblico avviso per
l’individuazione del soggetto cui conferire l’incarico in esame.
L'Amministrazione, in ottemperanza, con delibera giuntale 13 aprile 2010 n. 72 ha disposto
l'indizione di una pubblica selezione per la copertura dell'incarico. L’indizione è avvenuta con
avviso pubblico in data 15 aprile 2010 specificando che la selezione sarebbe stata svolta mediante
l'esame comparativo dei curricula professionali ed eventuale colloquio ad opera di una apposita
commissione giudicatrice. Alla procedura ha partecipato anche il ricorrente. All'esito dell'istruttoria
l'incarico è stato nuovamente conferito alla controinteressata con ordinanza sindacale 8 settembre
2010, n. 419.
All'udienza del 20 ottobre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. La presente vicenda trae origine dalla scelta dell’intimata Amministrazione di conferire l’incarico
di responsabile dell'ufficio di pianificazione urbanistica mediante ricorso alle potestà di cui all’art.
110 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 anziché con indizione di pubblico concorso o scorrimento
della graduatoria concorsuale tuttora in corso di validità, nella quale il ricorrente è il primo degli
idonei1.1 Con il ricorso originario il ricorrente impugna la deliberazione di Giunta 2009/G/534 e, in parte
qua, il presupposto regolamento comunale sull’ordinamento degli uffici e dei servizi lamentando
con primo motivo incompetenza e violazione dei principi costituzionali in materia di accesso ai
pubblici impieghi, poiché il conferimento dell’incarico non è stato preceduto dalla svolgimento di
una procedura concorsuale pubblica. Deduce inoltre che l'incarico non sarebbe destinato a ricoprire
una funzione di alta specializzazione ma di responsabilità dirigenziale, tipologia per la quale lo
stesso regolamento comunale prevede che l'affidamento avvenga in seguito alla pubblicazione di un
avviso.
Con secondo motivo deduce che l'incarico affidato alla controinteressata supererebbe il limite del
totale della dotazione organica della dirigenza e dell'area direttiva entro il quale è consentita
l'assunzione di soggetti esterni all'amministrazione. A suo dire infatti la percentuale di incarichi che
possono essere affidati all'esterno, stabilita nella misura del 4% dal regolamento comunale
sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, dovrebbe essere calcolata sulla base oltre che del
personale dirigenziale, dei soli funzionari titolari di posizioni organizzative.
1.2 Con motivi aggiunti il ricorrente impugna la delibera giuntale 2010/G/31 che ha annullato la
deliberazione originariamente gravata e l’ordinanza sindacale 12 febbraio 2010 n. 65 che ha
nuovamente affidato alla controinteressata l’incarico in discussione, reiterando i motivi del ricorso
originario con esclusione della doglianza di incompetenza.
1.3 L'Amministrazione intimata eccepisce l’improcedibilità del ricorso poiché il ricorrente è stato
messo nelle condizioni di partecipare ad una selezione pubblica, come chiedeva, e l’accoglimento
del ricorso non potrebbe quindi apportargli alcuna utilità atteso che l’Amministrazione si è
determinata nel senso di ricoprire l’incarico in questione mediante contratto a tempo determinato e
non con lo scorrimento di precedenti graduatorie.
A suo dire il ricorso sarebbe anche inammissibile poiché l'aspettativa dello scorrimento della
graduatoria in cui il ricorrente è inserito ha il carattere di una mera aspettativa di fatto, impingendo
su valutazioni amministrative discrezionali. Nel merito, replica puntualmente alle deduzioni del
ricorrente.
1.4 La controinteressata si associa alle repliche della difesa comunale e con ricorso incidentale
impugna la procedura concorsuale all'esito della quale il ricorrente si è utilmente collocato nella
relativa graduatoria. Evidenzia che l'incarico assegnatole è a tempo determinato e il ricorrente non
potrebbe vantare alcuna posizione tutelata in base al suo inserimento in una graduatoria per
l’assunzione, invece, a tempo indeterminato.
Il ricorrente eccepisce l’irricevibilità e l’inammissibilità del ricorso incidentale stante la diversità
del procedimento cui afferiscono gli atti con lo stesso gravati, nonché difetto di interesse, genericità
e assenza di specifiche censure avverso gli atti impugnati.
2. Il ricorso originario deve essere dichiarato improcedibile per difetto di interesse, stante l'avvenuto
l'annullamento da parte dell’Amministrazione intimata del provvedimento con il medesimo
impugnato.
3. La controversia si concentra quindi sul primo ricorso per motivi aggiunti che, analogamente a
quello originario, lamenta che non sia stata espletata una procedura comparativa ai fini
dell'individuazione del titolare dell'incarico in discussione, che peraltro non potrebbe qualificarsi
nei termini di “alta specializzazione” ma sarebbe un incarico di responsabilità dirigenziale. Inoltre
deduce che l’affidamento dell’incarico sarebbe comunque avvenuto in soprannumero rispetto al limite percentuale indicato dal regolamento comunale sull'ordinamento degli uffici e dei servizi e
comunque dall’art. 110, d.lgs. 267/00.
3.1 Il primo motivo deve essere dichiarato improcedibile poiché l'Amministrazione, ponendo in
essere una procedura comparativa, ha soddisfatto l'interesse strumentale del ricorrente a partecipare
ad una selezione per il conferimento dell'incarico de quo. In tal modo é quindi venuta a cessare la
materia del contendere.
Ai fini della pronuncia sulle spese, in applicazione del criterio della soccombenza virtuale, il
Collegio rileva che il motivo dedotto appariva fondato poiché l’art. 110 del d.lgs. 267/00, nel
consentire agli enti locali di affidare incarichi di responsabilità dirigenziale con contratti a tempo
determinato, non li esonera dallo svolgere procedure concorsuali. Ne segue quindi che in
applicazione del generale principio, di rilevanza costituzionale, in base al quale l'accesso ai pubblici
impieghi può avvenire solo per concorso, l'affidamento di detti incarichi non può non essere
preceduto da una procedura selettiva adeguatamente pubblicizzata (T.A.R. Campania Napoli V, 9
dicembre 2002 n. 7887).
3.2 Il Collegio ritiene che il ricorrente conservi comunque interesse alla decisione sul secondo
motivo di ricorso, poiché il suo accoglimento determinerebbe la caducazione della procedura
effettuata e dell'affidamento dell'incarico de quo.
La difesa comunale sostiene che la nomina di idonei nei posti vacanti mediante scorrimento di una
graduatoria efficace costituisce una facoltà e non un obbligo per l'amministrazione, rientra nella
discrezionalità dell'ente e non può essere oggetto di sindacato giurisdizionale. Il Collegio concorda
su tale ricostruzione, conformemente alla giurisprudenza del giudice di appello (C.d.S. V, 18
dicembre 2009 n. 8369), e tuttavia ritiene che il ricorrente abbia interesse alla decisione poiché
l’accoglimento del motivo avrebbe come esito, quantomeno, l'indizione di una nuova procedura
concorsuale per la copertura del posto in questione. In tal modo verrebbero ricostruite le sue
chances di accedere all’incarico. Sotto questo profilo il ricorrente fa valere un interesse strumentale,
di cui la giurisprudenza ha affermato da tempo la rilevanza giuridica. L’accoglimento del motivo, se
non è in grado di determinare l’accesso al bene della vita agognato ossia l’affidamento dell’incarico
in discussione, è tuttavia suscettibile di incrementare il suo patrimonio giuridico mediante l’apporto
di nuove chanches di ottenerne la fruizione.
Il motivo di ricorso in esame è però infondato.
L’art. 110 del d.lgs. 267/00 individua la base su cui calcolare la percentuale di incarichi conferiti a
tempo determinato nella “dotazione organica della dirigenza e dell'area direttiva”. Non essendo in
contestazione il significato del primo termine, il ricorrente sostiene che l'area direttiva da prendere
in considerazione a tal fine consisterebbe nei soli funzionari con responsabilità di posizione
organizzativa.
Il Collegio non concorda con questa ricostruzione.
La norma deve essere interpretata alla luce dell'inquadramento del personale effettuato dal
Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del 31 marzo 1999, che ha istituito la categoria “D”
prevedendo all’art. 8 che al suo interno possano essere istituite posizioni di lavoro “che richiedono,
con assunzione diretta di elevata responsabilità di prodotto e di risultato:
a) lo svolgimento di funzioni di direzione di unità organizzative di particolare complessità,
caratterizzate da elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa; b) lo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione correlate a
diplomi di laurea e/o di scuole universitarie e/o alla iscrizione ad albi professionali;
c) lo svolgimento di attività di staff e/o di studio, ricerca, ispettive, di vigilanza e controllo
caratterizzate da elevate autonomia ed esperienza”.
Si tratta delle “posizioni organizzative” che non costituiscono però una categoria a sé stante, ma una
specificazione dei compiti e delle responsabilità attribuite a taluni dipendenti inquadrati nella
generale categoria D. L’art. 110 del d.lgs. 267/00 non fa riferimento a posizioni organizzative ma ad
una generale “area direttiva”, alludendo quindi ad una categoria generale di inquadramento del
personale, che alla luce delle previsioni del suddetto C.C.N.L. non può che identificarsi nella
categoria D.
L’interpretazione appare coerente con il dato letterale della legge, e consente anche di contemperare
le esigenze di flessibilità proprie delle moderne amministrazioni con la necessità di salvaguardare i
principi della trasparenza nella provvista di risorse umane. Le amministrazioni, in base a tale
interpretazione, hanno una disponibilità relativamente ampia nell'individuazione di incarichi da
attribuire con contratto a tempo determinato per rispondere ad obiettivi ed esigenze transitorie;
tuttavia ciò possono fare solo rispettando il principio concorsuale, e pertanto i soggetti cui conferire
gli incarichi devono essere individuati tramite procedure selettive da pubblicizzare adeguatamente.
Nel computo degli incarichi affidati ai sensi dell'art. 110 del d.lgs. 267/00 non rientrano poi quelli
relativi agli uffici posti alle dirette dipendenze degli organi politici per l'esercizio delle loro funzioni
di indirizzo e controllo. Per questi vige infatti una disciplina specifica, come correttamente deduce
l'intimata Amministrazione, contenuta nell’art. 90 del medesimo d.lgs. 267/00. Trattasi di diversa
ipotesi che (infatti) viene disciplinata da una norma di specie; l'art. 110 del d.lgs. 267/00 trova
invece il suo ambito di applicazione relativamente all’affidamento di incarichi all'interno della
struttura amministrativa dell'ente.
Per le medesime motivazioni non rientra nel computo suddetto nemmeno l’affidamento
dell’incarico di direttore generale, disciplinato dall’art. 108 del d.lgs. 267/00.
Non sono contestati i calcoli effettuati dalla difesa comunale relativamente alla propria dotazione
organica dirigenziale, computata in 92 unità cui devono aggiungersi direttore generale e segretario
dell’ente, ed ad alla propria dotazione nell’ottava qualifica computata in 235 unità. La loro
sommatoria porta a un totale di 329 unità, di cui la percentuale del 4% ammissibile per il
conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato equivale a 13,16 unità. Seguendo i
calcoli del ricorrente contenuti nella memoria finale ne deriva che, escludendo gli incarichi presso
gli uffici di staff e quello di direttore generale, il numero degli incarichi attribuiti ex art. 110 del
d.lgs. 267/00 ammonta ad undici unità, comprensivo di quello affidato all’odierna controinteressata.
I limiti di legge, come rettamente interpretati, risultano quindi rispettati e il motivo in esame deve
essere pertanto respinto.
5. La reiezione delle censure avanzate del ricorrente avverso i provvedimenti gravati rende
inammissibile il ricorso incidentale presentato dalla controinteressata.
6. In conclusione il ricorso principale deve essere dichiarato improcedibile; il ricorso per motivi
aggiunti deve essere respinto e deve essere dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.
Le spese possono essere integralmente compensate tra le parti in ragione della reciproca
soccombenza.
L'Amministrazione comunale di Firenze ha conferito diversi incarichi dirigenziali a soggetti esterni
alla propria organizzazione in base all’art. 18 del Regolamento comunale sull'ordinamento degli
uffici e dei servizi, e tra questi l'arch. Stefania Fanfani è stata incaricata quale responsabile
dell'ufficio di pianificazione urbanistica con deliberazione di Giunta 2009/G/534. Tale
provvedimento è stato impugnato dal ricorrente, collocato al secondo posto della graduatoria di un
concorso pubblico per un posto di dirigente tecnico dell’Amministrazione, con gravame notificato il
22 gennaio 2010 e depositato il 28 gennaio 2010 per violazione di legge, incompetenza ed eccesso
di potere sotto diversi profili.
Si sono costituiti il Comune di Firenze e la controinteressata chiedendo l'inammissibilità e
comunque il rigetto del ricorso nel merito.
La controinteressata, con ricorso incidentale notificato l'8 febbraio 2010 e depositato il 9 febbraio
2010, ha impugnato la procedura concorsuale all'esito della quale il ricorrente si è utilmente
collocato nella relativa graduatoria.
Con ordinanza n. 112 del 10 febbraio 2010 è stata accolta la domanda incidentale di sospensione.
L'Amministrazione intimata, con deliberazione giuntale 2010/G/31, ha annullato la deliberazione
impugnata e con ordinanza sindacale 12 febbraio 2010 n. 65 ha nuovamente affidato alla
controinteressata l’incarico in discussione. Anche tali provvedimenti sono stati impugnati con
motivi aggiunti, notificati il 9 marzo 2010 e depositati l'11 marzo 2010, chiedendone la sospensione
interinale.
Con ordinanza n. 231 del 24 marzo 2010 la domanda incidentale di sospensione è stata accolta
censurando il mancato svolgimento di una procedura selettiva preceduta da pubblico avviso per
l’individuazione del soggetto cui conferire l’incarico in esame.
L'Amministrazione, in ottemperanza, con delibera giuntale 13 aprile 2010 n. 72 ha disposto
l'indizione di una pubblica selezione per la copertura dell'incarico. L’indizione è avvenuta con
avviso pubblico in data 15 aprile 2010 specificando che la selezione sarebbe stata svolta mediante
l'esame comparativo dei curricula professionali ed eventuale colloquio ad opera di una apposita
commissione giudicatrice. Alla procedura ha partecipato anche il ricorrente. All'esito dell'istruttoria
l'incarico è stato nuovamente conferito alla controinteressata con ordinanza sindacale 8 settembre
2010, n. 419.
All'udienza del 20 ottobre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. La presente vicenda trae origine dalla scelta dell’intimata Amministrazione di conferire l’incarico
di responsabile dell'ufficio di pianificazione urbanistica mediante ricorso alle potestà di cui all’art.
110 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 anziché con indizione di pubblico concorso o scorrimento
della graduatoria concorsuale tuttora in corso di validità, nella quale il ricorrente è il primo degli
idonei1.1 Con il ricorso originario il ricorrente impugna la deliberazione di Giunta 2009/G/534 e, in parte
qua, il presupposto regolamento comunale sull’ordinamento degli uffici e dei servizi lamentando
con primo motivo incompetenza e violazione dei principi costituzionali in materia di accesso ai
pubblici impieghi, poiché il conferimento dell’incarico non è stato preceduto dalla svolgimento di
una procedura concorsuale pubblica. Deduce inoltre che l'incarico non sarebbe destinato a ricoprire
una funzione di alta specializzazione ma di responsabilità dirigenziale, tipologia per la quale lo
stesso regolamento comunale prevede che l'affidamento avvenga in seguito alla pubblicazione di un
avviso.
Con secondo motivo deduce che l'incarico affidato alla controinteressata supererebbe il limite del
totale della dotazione organica della dirigenza e dell'area direttiva entro il quale è consentita
l'assunzione di soggetti esterni all'amministrazione. A suo dire infatti la percentuale di incarichi che
possono essere affidati all'esterno, stabilita nella misura del 4% dal regolamento comunale
sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, dovrebbe essere calcolata sulla base oltre che del
personale dirigenziale, dei soli funzionari titolari di posizioni organizzative.
1.2 Con motivi aggiunti il ricorrente impugna la delibera giuntale 2010/G/31 che ha annullato la
deliberazione originariamente gravata e l’ordinanza sindacale 12 febbraio 2010 n. 65 che ha
nuovamente affidato alla controinteressata l’incarico in discussione, reiterando i motivi del ricorso
originario con esclusione della doglianza di incompetenza.
1.3 L'Amministrazione intimata eccepisce l’improcedibilità del ricorso poiché il ricorrente è stato
messo nelle condizioni di partecipare ad una selezione pubblica, come chiedeva, e l’accoglimento
del ricorso non potrebbe quindi apportargli alcuna utilità atteso che l’Amministrazione si è
determinata nel senso di ricoprire l’incarico in questione mediante contratto a tempo determinato e
non con lo scorrimento di precedenti graduatorie.
A suo dire il ricorso sarebbe anche inammissibile poiché l'aspettativa dello scorrimento della
graduatoria in cui il ricorrente è inserito ha il carattere di una mera aspettativa di fatto, impingendo
su valutazioni amministrative discrezionali. Nel merito, replica puntualmente alle deduzioni del
ricorrente.
1.4 La controinteressata si associa alle repliche della difesa comunale e con ricorso incidentale
impugna la procedura concorsuale all'esito della quale il ricorrente si è utilmente collocato nella
relativa graduatoria. Evidenzia che l'incarico assegnatole è a tempo determinato e il ricorrente non
potrebbe vantare alcuna posizione tutelata in base al suo inserimento in una graduatoria per
l’assunzione, invece, a tempo indeterminato.
Il ricorrente eccepisce l’irricevibilità e l’inammissibilità del ricorso incidentale stante la diversità
del procedimento cui afferiscono gli atti con lo stesso gravati, nonché difetto di interesse, genericità
e assenza di specifiche censure avverso gli atti impugnati.
2. Il ricorso originario deve essere dichiarato improcedibile per difetto di interesse, stante l'avvenuto
l'annullamento da parte dell’Amministrazione intimata del provvedimento con il medesimo
impugnato.
3. La controversia si concentra quindi sul primo ricorso per motivi aggiunti che, analogamente a
quello originario, lamenta che non sia stata espletata una procedura comparativa ai fini
dell'individuazione del titolare dell'incarico in discussione, che peraltro non potrebbe qualificarsi
nei termini di “alta specializzazione” ma sarebbe un incarico di responsabilità dirigenziale. Inoltre
deduce che l’affidamento dell’incarico sarebbe comunque avvenuto in soprannumero rispetto al limite percentuale indicato dal regolamento comunale sull'ordinamento degli uffici e dei servizi e
comunque dall’art. 110, d.lgs. 267/00.
3.1 Il primo motivo deve essere dichiarato improcedibile poiché l'Amministrazione, ponendo in
essere una procedura comparativa, ha soddisfatto l'interesse strumentale del ricorrente a partecipare
ad una selezione per il conferimento dell'incarico de quo. In tal modo é quindi venuta a cessare la
materia del contendere.
Ai fini della pronuncia sulle spese, in applicazione del criterio della soccombenza virtuale, il
Collegio rileva che il motivo dedotto appariva fondato poiché l’art. 110 del d.lgs. 267/00, nel
consentire agli enti locali di affidare incarichi di responsabilità dirigenziale con contratti a tempo
determinato, non li esonera dallo svolgere procedure concorsuali. Ne segue quindi che in
applicazione del generale principio, di rilevanza costituzionale, in base al quale l'accesso ai pubblici
impieghi può avvenire solo per concorso, l'affidamento di detti incarichi non può non essere
preceduto da una procedura selettiva adeguatamente pubblicizzata (T.A.R. Campania Napoli V, 9
dicembre 2002 n. 7887).
3.2 Il Collegio ritiene che il ricorrente conservi comunque interesse alla decisione sul secondo
motivo di ricorso, poiché il suo accoglimento determinerebbe la caducazione della procedura
effettuata e dell'affidamento dell'incarico de quo.
La difesa comunale sostiene che la nomina di idonei nei posti vacanti mediante scorrimento di una
graduatoria efficace costituisce una facoltà e non un obbligo per l'amministrazione, rientra nella
discrezionalità dell'ente e non può essere oggetto di sindacato giurisdizionale. Il Collegio concorda
su tale ricostruzione, conformemente alla giurisprudenza del giudice di appello (C.d.S. V, 18
dicembre 2009 n. 8369), e tuttavia ritiene che il ricorrente abbia interesse alla decisione poiché
l’accoglimento del motivo avrebbe come esito, quantomeno, l'indizione di una nuova procedura
concorsuale per la copertura del posto in questione. In tal modo verrebbero ricostruite le sue
chances di accedere all’incarico. Sotto questo profilo il ricorrente fa valere un interesse strumentale,
di cui la giurisprudenza ha affermato da tempo la rilevanza giuridica. L’accoglimento del motivo, se
non è in grado di determinare l’accesso al bene della vita agognato ossia l’affidamento dell’incarico
in discussione, è tuttavia suscettibile di incrementare il suo patrimonio giuridico mediante l’apporto
di nuove chanches di ottenerne la fruizione.
Il motivo di ricorso in esame è però infondato.
L’art. 110 del d.lgs. 267/00 individua la base su cui calcolare la percentuale di incarichi conferiti a
tempo determinato nella “dotazione organica della dirigenza e dell'area direttiva”. Non essendo in
contestazione il significato del primo termine, il ricorrente sostiene che l'area direttiva da prendere
in considerazione a tal fine consisterebbe nei soli funzionari con responsabilità di posizione
organizzativa.
Il Collegio non concorda con questa ricostruzione.
La norma deve essere interpretata alla luce dell'inquadramento del personale effettuato dal
Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del 31 marzo 1999, che ha istituito la categoria “D”
prevedendo all’art. 8 che al suo interno possano essere istituite posizioni di lavoro “che richiedono,
con assunzione diretta di elevata responsabilità di prodotto e di risultato:
a) lo svolgimento di funzioni di direzione di unità organizzative di particolare complessità,
caratterizzate da elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa; b) lo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione correlate a
diplomi di laurea e/o di scuole universitarie e/o alla iscrizione ad albi professionali;
c) lo svolgimento di attività di staff e/o di studio, ricerca, ispettive, di vigilanza e controllo
caratterizzate da elevate autonomia ed esperienza”.
Si tratta delle “posizioni organizzative” che non costituiscono però una categoria a sé stante, ma una
specificazione dei compiti e delle responsabilità attribuite a taluni dipendenti inquadrati nella
generale categoria D. L’art. 110 del d.lgs. 267/00 non fa riferimento a posizioni organizzative ma ad
una generale “area direttiva”, alludendo quindi ad una categoria generale di inquadramento del
personale, che alla luce delle previsioni del suddetto C.C.N.L. non può che identificarsi nella
categoria D.
L’interpretazione appare coerente con il dato letterale della legge, e consente anche di contemperare
le esigenze di flessibilità proprie delle moderne amministrazioni con la necessità di salvaguardare i
principi della trasparenza nella provvista di risorse umane. Le amministrazioni, in base a tale
interpretazione, hanno una disponibilità relativamente ampia nell'individuazione di incarichi da
attribuire con contratto a tempo determinato per rispondere ad obiettivi ed esigenze transitorie;
tuttavia ciò possono fare solo rispettando il principio concorsuale, e pertanto i soggetti cui conferire
gli incarichi devono essere individuati tramite procedure selettive da pubblicizzare adeguatamente.
Nel computo degli incarichi affidati ai sensi dell'art. 110 del d.lgs. 267/00 non rientrano poi quelli
relativi agli uffici posti alle dirette dipendenze degli organi politici per l'esercizio delle loro funzioni
di indirizzo e controllo. Per questi vige infatti una disciplina specifica, come correttamente deduce
l'intimata Amministrazione, contenuta nell’art. 90 del medesimo d.lgs. 267/00. Trattasi di diversa
ipotesi che (infatti) viene disciplinata da una norma di specie; l'art. 110 del d.lgs. 267/00 trova
invece il suo ambito di applicazione relativamente all’affidamento di incarichi all'interno della
struttura amministrativa dell'ente.
Per le medesime motivazioni non rientra nel computo suddetto nemmeno l’affidamento
dell’incarico di direttore generale, disciplinato dall’art. 108 del d.lgs. 267/00.
Non sono contestati i calcoli effettuati dalla difesa comunale relativamente alla propria dotazione
organica dirigenziale, computata in 92 unità cui devono aggiungersi direttore generale e segretario
dell’ente, ed ad alla propria dotazione nell’ottava qualifica computata in 235 unità. La loro
sommatoria porta a un totale di 329 unità, di cui la percentuale del 4% ammissibile per il
conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato equivale a 13,16 unità. Seguendo i
calcoli del ricorrente contenuti nella memoria finale ne deriva che, escludendo gli incarichi presso
gli uffici di staff e quello di direttore generale, il numero degli incarichi attribuiti ex art. 110 del
d.lgs. 267/00 ammonta ad undici unità, comprensivo di quello affidato all’odierna controinteressata.
I limiti di legge, come rettamente interpretati, risultano quindi rispettati e il motivo in esame deve
essere pertanto respinto.
5. La reiezione delle censure avanzate del ricorrente avverso i provvedimenti gravati rende
inammissibile il ricorso incidentale presentato dalla controinteressata.
6. In conclusione il ricorso principale deve essere dichiarato improcedibile; il ricorso per motivi
aggiunti deve essere respinto e deve essere dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.
Le spese possono essere integralmente compensate tra le parti in ragione della reciproca
soccombenza.
Incremento delle risrise decentrate - Sentenza della Corte dei Conti Lombardia/972/2010/PAR
FATTO
Con nota n. 29043 di protocollo del 15 ottobre 2010, l’amministrazione comunale di
Gussago (MI) ha posto un quesito in ordine alla composizione del fondo delle risorse
decentrate per l’anno 2011.
Il comune di Gussago non ha rispettato il patto di stabilità per l’esercizio finanziario
2009 e conseguentemente nel 2010 non ha incrementato il fondo per le risorse
decentrate nella parte variabile; nel corso dello stesso anno è intervenuto il D.L.
78/2010 convertito in Legge 122/2010 la quale all’art. 9, comma 2 bis, ha previsto per il
triennio 2011-2013 il blocco dell’ammontare complessivo delle risorse decentrate
prendendo come riferimento proprio l’anno 2010.
Il Sindaco precisa che l’Ente rispetterà il patto di stabilità per l’anno 2010 e che per
l’anno 2011 prevede economie sulle spese del personale. Ciò premesso, chiede se sia
possibile incrementare il fondo per le risorse decentrate per l’anno 2011, nel rispetto del
tetto di spesa del personale dell’anno precedente. La mancata possibilità di tale
adeguamento determinerebbe di fatto il consolidarsi nel tempo di una delle sanzioni
previste per il mancato rispetto del patto di stabilità che ricadrebbe solo sui dipendenti,
con l’effetto di rendere inefficace qualsiasi strumento di incentivazione del personale
previsto dal D. Lgs. n. 150/2009.
AMMISSIBILITA’ SOGGETTIVA
La richiesta di parere di cui sopra è intesa ad avvalersi della facoltà prevista dalla
norma contenuta nell’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131, la quale
dispone che le Regioni, i Comuni, le Province e le Città metropolitane possono chiedere
alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti “pareri in materia di contabilità
pubblica”.
La funzione consultiva delle Sezioni regionali è inserita nel quadro delle competenze
che la legge 131/2003, recante adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha attribuito alla Corte dei conti. La Sezione, preliminarmente, è chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità della
richiesta, con riferimento ai parametri derivanti dalla natura della funzione consultiva
prevista dalla normazione sopra indicata.
Con particolare riguardo all’individuazione dell’organo legittimato a inoltrare le
richieste di parere dei Comuni, si osserva che il Sindaco del comune è l’organo
istituzionalmente legittimato a richiedere il parere in quanto riveste il ruolo di
rappresentante dell’ente ai sensi dell’art. 50 T.U.E.L.
Pertanto, la richiesta di parere è ammissibile soggettivamente poiché proviene
dall’organo legittimato a proporla.
AMMISSIBILITA’ OGGETTIVA
Con riguardo alle condizioni di ammissibilità oggettiva, la richiesta di parere, allo
stato degli atti, non interferisce con le funzioni di controllo o giurisdizionali svolte dalla
magistratura contabile e neppure con alcun altro giudizio civile o amministrativo che sia
in corso.
Inoltre, il quesito riveste “carattere generale” in quanto è diretto ad ottenere
indicazioni relative alla corretta applicazione di norme valide per la generalità degli enti
di tipologia simile al comune richiedente; nonché, rientra nella materia della contabilità
pubblica, poiché attiene alla disciplina contenuta in leggi finanziarie, sul contenimento e
sull’equilibrio della spesa pubblica, incidente sulla formazione e gestione del bilancio
dell’ente, in relazione alle norme che disciplinano la spesa per il personale.
Si osserva che i limiti alla legittimazione oggettiva vanno stabiliti solo in negativo. In
proposito va, infatti, posto in luce che la nozione di “contabilità pubblica” deve essere
intesa nell’ampia accezione che emerge anche dalla giurisprudenza della Corte di
Cassazione in tema di giurisdizione della Corte dei conti; la nozione di contabilità
pubblica in senso lato, dunque, investe tutte le ipotesi di impiego di denaro pubblico,
oltre che tutte le materie di bilanci pubblici, di procedimenti di entrate e di spesa, di
contrattualistica che tradizionalmente e pacificamente rientrano nella nozione.
In senso ostativo alla resa del parere, senza peraltro voler esaurire la casistica, va
posta parimenti in luce l’inammissibilità di richieste interferenti con altre funzioni
intestate alla Corte ed in particolare con l’attività giurisdizionale; richieste che si
risolvono in scelte gestionali, come si è detto di esclusiva competenza degli
amministratori degli enti; richieste che attengono a giudizi in corso; richieste che
riguardano attività già svolte, dal momento che i pareri sono propedeutici all’esercizio
dei poteri intestati agli amministratori e non possono essere utilizzati per asseverare o
contestare provvedimenti già adottati. Nel caso di specie, la richiesta attiene alla possibilità di incrementare il fondo per le
risorse decentrate per l’anno 2011, ovvero investe una questione di diretto impatto, sia
finanziario che contabile, in materia di spese di personale dell’ente locale.
Per i suesposti motivi, la richiesta di parere proveniente dal sindaco del comune di
Gussago è ammissibile e può essere esaminata nel merito.
MERITO
La richiesta di parere sottende una duplice questione che deve essere affrontata in
ordine logico. La prima concerne le conseguenze sulle scelte dell’ente locale in materia di
spesa di personale qualora non si sia rispettato il Patto di stabilità nell’anno precedente.
La seconda investe il cumulo di strumenti vincolistici sulla dinamica retributiva e sugli
incentivi ai dipendenti per il triennio 2011-2013.
Quanto al primo profilo, l’Ente interessato dichiara nelle premesse della richiesta di
non aver rispettato il patto di stabilità interno per l’anno 2009.
Sotto tale aspetto il quesito richiama le considerazioni giuridiche già ripetutamente
espresse in sede consultiva da questa Sezione con numerose deliberazioni, tra le quali si
annoverano, proprio in materia di possibilità d’incrementare il fondo per le risorse
decentrate conseguentemente alla violazione del Patto nell’anno precedente, le decisioni
nn. 68/2010/PAR, 596/2010/PAR e 724/2010/PAR.
Giova ancora una volta richiamare i principi di diritto che sostengono le
argomentazioni della Sezione in ragione del divieto di aumentare risorse decentrate
nell’anno successivo alla violazione del Patto di stabilità quale conseguenza
dell’applicazione delle sanzioni previste dalla legge finanziaria.
In particolare, il Collegio ha tenuto a precisare come il rispetto degli obiettivi e dei
vincoli del patto di stabilità interno, le cui disposizioni attuative “costituiscono principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica” ai sensi degli art. 117, terzo
comma, e 119, secondo comma, della Costituzione, rappresenti per l’ente locale un
ineludibile obbligo giuridico, la cui violazione concreta comunque un illecito.
Conseguentemente il legislatore ha definito il quadro delle limitazioni che devono
essere applicate agli enti locali nell’anno successivo a quello dell’inadempienza (art. 61,
comma 10, e 77 bis, commi 20 e 21, del D.L. 112 convertito nella L. 133/08), fra le
quali rileva il divieto di procedere a qualunque forma di assunzione del personale,
comprese le modalità alternative all’assunzione.
Si determina in tal modo la corretta estensione normativa connessa con
l’applicazione della sanzione al fine di evitare pratiche elusive dell’obbligo di
contenimento delle spese di personale.
Ne consegue ulteriormente che la limitazione amministrativa investe anche le
maggiori prestazioni lavorative o il maggior impegno professionale delle risorse umane in servizio, i cui maggiori oneri sono coperti dalle risorse decentrate di parte variabile.
Infatti, rappresenta un principio incontrastato presso la magistratura contabile
subordinare le possibilità concrete di integrare le risorse finanziare destinate alla
contrattazione decentrata integrativa al rispetto dei vincoli di finanza pubblica, quindi del
patto di Stabilità, in coerenza, altresì, con i vincoli del quadro normativo delineato
dall’art. 1, comma 557, della legge n. 296/2006 (Legge finanziaria 2007).
Tale interpretazione trova ulteriore conferma nell’art. 40, comma 3 quinquies, T.U.
Pubbl. Imp., il quale recita testualmente che “gli enti locali possono destinare risorse
aggiuntive alla contrattazione integrativa nei limiti stabiliti dalla contrattazione nazionale
e nei limiti dei parametri di virtuosità fissati per la spesa di personale dalle vigenti
disposizioni, in ogni caso nel rispetto dei vincoli di bilancio e del patto di stabilità e di
analoghi strumenti del contenimento della spesa”.
Come già affermato da questa Sezione nel parere n. 596/2010/PAR, la limitazione
amministrativa, conseguente alla violazione del patto di stabilità interno per l’anno 2009,
opera nell’anno 2010 anche per la contrattazione integrativa che ha ad oggetto le risorse
contenute nel fondo destinato alle risorse incentivanti connesse con la contrattazione
decentrata che soggiace ai vincoli di finanza pubblica alla stregua del nesso normativo
fra patto di stabilità e principio della riduzione della spesa del personale di cui all’art. 1,
comma 557, legge 296/06.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, il predetto fondo rientra nel novero delle
risorse aggiuntive di cui all’art. 40, comma 3 quinquies, T.U. Pubbl. Imp. Che fissa quale
presupposto della loro destinazione alla contrattazione integrativa “in ogni caso” il
rispetto del patto di stabilità (Lombardia/596/2010/PAR dell’11 maggio 2010).
In tale contesto normativo si sono inserite le disposizioni di invarianza contrattuale
connesse con l’entrata in vigore del D.L. 31 maggio 2010 n.78, convertito con
modificazioni nella legge finanziaria 30 luglio 2010, n.122.
Per quel che concerne la seconda questione da affrontare nel contesto del parere,
l’art. 9, comma 2 bis, ha previsto per il triennio 2011-2013 il blocco dell’ammontare
complessivo delle risorse decentrate prendendo come riferimento proprio l’anno 2010.
Il legislatore, muovendo da un’ottica diversa rispetto al regime sanzionatorio irrogato
per il mancato rispetto del Patto di stabilità, ha inteso congelare la dinamica retributiva
del pubblico impiego per un triennio al fine di contenere la spesa pubblica per esigenze
di stabilità economica-finanziaria della Nazione.
In altri termini, in presenza di enti locali che non hanno rispettato il Patto di stabilità
nell’anno 2009, i due effetti (sanzionatorio e vincolistico) si cumulano, pur operando su
piani e finalità diverse.
Le due normative contengono disposizioni cogenti e fortemente incisive
sull’autonomia dell’amministrazione locale. La disciplina vincolistica introdotta con la legge 30 luglio 2010, n.122 non ammette
deroghe in virtù del coordinamento della finanza pubblica aggregata e dell’eccezionalità
della crisi finanziaria che avvolge l’attuale ciclo economico.
Pertanto l’obiezione mossa al sistema vincolistico afferente il consolidarsi nel tempo
di una delle sanzioni previste per il mancato rispetto del Patto di stabilità non ha pregio
giuridico, poiché non considera la connessione temporale fra i due sistemi normativi volti
al contenimento della spesa di personale.
Quanto poi all’effetto negativo sulla dinamica retributiva dei dipendenti, attesa
l’impossibilità attuare qualsiasi strumento di incentivazione del personale previsto dal D.
Lgs. n. 150/2009, l’affermazione resta relegata a una circostanza fattuale rientrante
nella tipica sfera di valutazione della politica finanziaria compiuta dal legislatore e non
assurge a criterio per orientare l’interpretazione delle norme in gioco.
In sintesi, il comune di Gussago in materia di trattamento del fondo per le risorse
decentrate nella quota variabile è soggetto alla disciplina sanzionatoria connessa alla
violazione dei vincoli del Patto di stabilità nell’anno 2009 e al regime d’invarianza della
dinamica retributiva per il triennio 2011-2013 prescritto dalla legge 30 luglio 2010,
n.122.
Con nota n. 29043 di protocollo del 15 ottobre 2010, l’amministrazione comunale di
Gussago (MI) ha posto un quesito in ordine alla composizione del fondo delle risorse
decentrate per l’anno 2011.
Il comune di Gussago non ha rispettato il patto di stabilità per l’esercizio finanziario
2009 e conseguentemente nel 2010 non ha incrementato il fondo per le risorse
decentrate nella parte variabile; nel corso dello stesso anno è intervenuto il D.L.
78/2010 convertito in Legge 122/2010 la quale all’art. 9, comma 2 bis, ha previsto per il
triennio 2011-2013 il blocco dell’ammontare complessivo delle risorse decentrate
prendendo come riferimento proprio l’anno 2010.
Il Sindaco precisa che l’Ente rispetterà il patto di stabilità per l’anno 2010 e che per
l’anno 2011 prevede economie sulle spese del personale. Ciò premesso, chiede se sia
possibile incrementare il fondo per le risorse decentrate per l’anno 2011, nel rispetto del
tetto di spesa del personale dell’anno precedente. La mancata possibilità di tale
adeguamento determinerebbe di fatto il consolidarsi nel tempo di una delle sanzioni
previste per il mancato rispetto del patto di stabilità che ricadrebbe solo sui dipendenti,
con l’effetto di rendere inefficace qualsiasi strumento di incentivazione del personale
previsto dal D. Lgs. n. 150/2009.
AMMISSIBILITA’ SOGGETTIVA
La richiesta di parere di cui sopra è intesa ad avvalersi della facoltà prevista dalla
norma contenuta nell’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131, la quale
dispone che le Regioni, i Comuni, le Province e le Città metropolitane possono chiedere
alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti “pareri in materia di contabilità
pubblica”.
La funzione consultiva delle Sezioni regionali è inserita nel quadro delle competenze
che la legge 131/2003, recante adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha attribuito alla Corte dei conti. La Sezione, preliminarmente, è chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità della
richiesta, con riferimento ai parametri derivanti dalla natura della funzione consultiva
prevista dalla normazione sopra indicata.
Con particolare riguardo all’individuazione dell’organo legittimato a inoltrare le
richieste di parere dei Comuni, si osserva che il Sindaco del comune è l’organo
istituzionalmente legittimato a richiedere il parere in quanto riveste il ruolo di
rappresentante dell’ente ai sensi dell’art. 50 T.U.E.L.
Pertanto, la richiesta di parere è ammissibile soggettivamente poiché proviene
dall’organo legittimato a proporla.
AMMISSIBILITA’ OGGETTIVA
Con riguardo alle condizioni di ammissibilità oggettiva, la richiesta di parere, allo
stato degli atti, non interferisce con le funzioni di controllo o giurisdizionali svolte dalla
magistratura contabile e neppure con alcun altro giudizio civile o amministrativo che sia
in corso.
Inoltre, il quesito riveste “carattere generale” in quanto è diretto ad ottenere
indicazioni relative alla corretta applicazione di norme valide per la generalità degli enti
di tipologia simile al comune richiedente; nonché, rientra nella materia della contabilità
pubblica, poiché attiene alla disciplina contenuta in leggi finanziarie, sul contenimento e
sull’equilibrio della spesa pubblica, incidente sulla formazione e gestione del bilancio
dell’ente, in relazione alle norme che disciplinano la spesa per il personale.
Si osserva che i limiti alla legittimazione oggettiva vanno stabiliti solo in negativo. In
proposito va, infatti, posto in luce che la nozione di “contabilità pubblica” deve essere
intesa nell’ampia accezione che emerge anche dalla giurisprudenza della Corte di
Cassazione in tema di giurisdizione della Corte dei conti; la nozione di contabilità
pubblica in senso lato, dunque, investe tutte le ipotesi di impiego di denaro pubblico,
oltre che tutte le materie di bilanci pubblici, di procedimenti di entrate e di spesa, di
contrattualistica che tradizionalmente e pacificamente rientrano nella nozione.
In senso ostativo alla resa del parere, senza peraltro voler esaurire la casistica, va
posta parimenti in luce l’inammissibilità di richieste interferenti con altre funzioni
intestate alla Corte ed in particolare con l’attività giurisdizionale; richieste che si
risolvono in scelte gestionali, come si è detto di esclusiva competenza degli
amministratori degli enti; richieste che attengono a giudizi in corso; richieste che
riguardano attività già svolte, dal momento che i pareri sono propedeutici all’esercizio
dei poteri intestati agli amministratori e non possono essere utilizzati per asseverare o
contestare provvedimenti già adottati. Nel caso di specie, la richiesta attiene alla possibilità di incrementare il fondo per le
risorse decentrate per l’anno 2011, ovvero investe una questione di diretto impatto, sia
finanziario che contabile, in materia di spese di personale dell’ente locale.
Per i suesposti motivi, la richiesta di parere proveniente dal sindaco del comune di
Gussago è ammissibile e può essere esaminata nel merito.
MERITO
La richiesta di parere sottende una duplice questione che deve essere affrontata in
ordine logico. La prima concerne le conseguenze sulle scelte dell’ente locale in materia di
spesa di personale qualora non si sia rispettato il Patto di stabilità nell’anno precedente.
La seconda investe il cumulo di strumenti vincolistici sulla dinamica retributiva e sugli
incentivi ai dipendenti per il triennio 2011-2013.
Quanto al primo profilo, l’Ente interessato dichiara nelle premesse della richiesta di
non aver rispettato il patto di stabilità interno per l’anno 2009.
Sotto tale aspetto il quesito richiama le considerazioni giuridiche già ripetutamente
espresse in sede consultiva da questa Sezione con numerose deliberazioni, tra le quali si
annoverano, proprio in materia di possibilità d’incrementare il fondo per le risorse
decentrate conseguentemente alla violazione del Patto nell’anno precedente, le decisioni
nn. 68/2010/PAR, 596/2010/PAR e 724/2010/PAR.
Giova ancora una volta richiamare i principi di diritto che sostengono le
argomentazioni della Sezione in ragione del divieto di aumentare risorse decentrate
nell’anno successivo alla violazione del Patto di stabilità quale conseguenza
dell’applicazione delle sanzioni previste dalla legge finanziaria.
In particolare, il Collegio ha tenuto a precisare come il rispetto degli obiettivi e dei
vincoli del patto di stabilità interno, le cui disposizioni attuative “costituiscono principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica” ai sensi degli art. 117, terzo
comma, e 119, secondo comma, della Costituzione, rappresenti per l’ente locale un
ineludibile obbligo giuridico, la cui violazione concreta comunque un illecito.
Conseguentemente il legislatore ha definito il quadro delle limitazioni che devono
essere applicate agli enti locali nell’anno successivo a quello dell’inadempienza (art. 61,
comma 10, e 77 bis, commi 20 e 21, del D.L. 112 convertito nella L. 133/08), fra le
quali rileva il divieto di procedere a qualunque forma di assunzione del personale,
comprese le modalità alternative all’assunzione.
Si determina in tal modo la corretta estensione normativa connessa con
l’applicazione della sanzione al fine di evitare pratiche elusive dell’obbligo di
contenimento delle spese di personale.
Ne consegue ulteriormente che la limitazione amministrativa investe anche le
maggiori prestazioni lavorative o il maggior impegno professionale delle risorse umane in servizio, i cui maggiori oneri sono coperti dalle risorse decentrate di parte variabile.
Infatti, rappresenta un principio incontrastato presso la magistratura contabile
subordinare le possibilità concrete di integrare le risorse finanziare destinate alla
contrattazione decentrata integrativa al rispetto dei vincoli di finanza pubblica, quindi del
patto di Stabilità, in coerenza, altresì, con i vincoli del quadro normativo delineato
dall’art. 1, comma 557, della legge n. 296/2006 (Legge finanziaria 2007).
Tale interpretazione trova ulteriore conferma nell’art. 40, comma 3 quinquies, T.U.
Pubbl. Imp., il quale recita testualmente che “gli enti locali possono destinare risorse
aggiuntive alla contrattazione integrativa nei limiti stabiliti dalla contrattazione nazionale
e nei limiti dei parametri di virtuosità fissati per la spesa di personale dalle vigenti
disposizioni, in ogni caso nel rispetto dei vincoli di bilancio e del patto di stabilità e di
analoghi strumenti del contenimento della spesa”.
Come già affermato da questa Sezione nel parere n. 596/2010/PAR, la limitazione
amministrativa, conseguente alla violazione del patto di stabilità interno per l’anno 2009,
opera nell’anno 2010 anche per la contrattazione integrativa che ha ad oggetto le risorse
contenute nel fondo destinato alle risorse incentivanti connesse con la contrattazione
decentrata che soggiace ai vincoli di finanza pubblica alla stregua del nesso normativo
fra patto di stabilità e principio della riduzione della spesa del personale di cui all’art. 1,
comma 557, legge 296/06.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, il predetto fondo rientra nel novero delle
risorse aggiuntive di cui all’art. 40, comma 3 quinquies, T.U. Pubbl. Imp. Che fissa quale
presupposto della loro destinazione alla contrattazione integrativa “in ogni caso” il
rispetto del patto di stabilità (Lombardia/596/2010/PAR dell’11 maggio 2010).
In tale contesto normativo si sono inserite le disposizioni di invarianza contrattuale
connesse con l’entrata in vigore del D.L. 31 maggio 2010 n.78, convertito con
modificazioni nella legge finanziaria 30 luglio 2010, n.122.
Per quel che concerne la seconda questione da affrontare nel contesto del parere,
l’art. 9, comma 2 bis, ha previsto per il triennio 2011-2013 il blocco dell’ammontare
complessivo delle risorse decentrate prendendo come riferimento proprio l’anno 2010.
Il legislatore, muovendo da un’ottica diversa rispetto al regime sanzionatorio irrogato
per il mancato rispetto del Patto di stabilità, ha inteso congelare la dinamica retributiva
del pubblico impiego per un triennio al fine di contenere la spesa pubblica per esigenze
di stabilità economica-finanziaria della Nazione.
In altri termini, in presenza di enti locali che non hanno rispettato il Patto di stabilità
nell’anno 2009, i due effetti (sanzionatorio e vincolistico) si cumulano, pur operando su
piani e finalità diverse.
Le due normative contengono disposizioni cogenti e fortemente incisive
sull’autonomia dell’amministrazione locale. La disciplina vincolistica introdotta con la legge 30 luglio 2010, n.122 non ammette
deroghe in virtù del coordinamento della finanza pubblica aggregata e dell’eccezionalità
della crisi finanziaria che avvolge l’attuale ciclo economico.
Pertanto l’obiezione mossa al sistema vincolistico afferente il consolidarsi nel tempo
di una delle sanzioni previste per il mancato rispetto del Patto di stabilità non ha pregio
giuridico, poiché non considera la connessione temporale fra i due sistemi normativi volti
al contenimento della spesa di personale.
Quanto poi all’effetto negativo sulla dinamica retributiva dei dipendenti, attesa
l’impossibilità attuare qualsiasi strumento di incentivazione del personale previsto dal D.
Lgs. n. 150/2009, l’affermazione resta relegata a una circostanza fattuale rientrante
nella tipica sfera di valutazione della politica finanziaria compiuta dal legislatore e non
assurge a criterio per orientare l’interpretazione delle norme in gioco.
In sintesi, il comune di Gussago in materia di trattamento del fondo per le risorse
decentrate nella quota variabile è soggetto alla disciplina sanzionatoria connessa alla
violazione dei vincoli del Patto di stabilità nell’anno 2009 e al regime d’invarianza della
dinamica retributiva per il triennio 2011-2013 prescritto dalla legge 30 luglio 2010,
n.122.
Aumenti di spesa dei rinnovi contrattuali - Sentenza della Corte dei Conti Toscana Del. n. 123/2010/PAR
PREMESSO
1. Il Consiglio delle autonomie locali ha inoltrato alla Sezione, con nota in data 30 luglio 2010 prot. n. 10203/1.13.9, una richiesta di parere formulata dal Sindaco del comune di Monteriggioni, con cui si chiede “un’interpretazione dell’art. 9 comma 4 del D.L. 78/10 laddove prevede che i rinnovi contrattuali del personale per il biennio 2008-09 non possano prevedere aumenti che superino il 3,2%, chiedendo se tale previsione si riferisca: a) agli aumenti retributivi individualmente considerati; b) ai soli aumenti venutisi a determinare sul trattamento tabellare dei dipendenti; c) anche alla quota riconoscibile ai sensi dell’art. 4, comma 2, del CCNL 31/07/09, facente parte del trattamento accessorio”.
L’ente inoltre chiede se con la frase “i trattamenti retributivi saranno conseguentemente adeguati” si presuppone necessariamente un recupero forzoso da parte dell’amministrazione ed, eventualmente, quale sia la corretta modalità per procedervi e se sia corretto per l’ente erogare ai dipendenti la somma riconosciuta ai sensi dell’art. 4 CCNL approvato prima dell’entrata in vigore del suddetto decreto.
CONSIDERATO
In via preliminare
Secondo ormai consolidati orientamenti assunti dalla Corte dei Conti in tema di pareri da esprimere ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge n. 131 del 2003, occorre verificare in via preliminare se la richiesta di parere formulata presenti i necessari requisiti di ammissibilità, sia sotto il profilo soggettivo, che riguarda la legittimazione dell’organo richiedente, sia sotto il profilo oggettivo, che concerne l’attinenza dei quesiti alla materia della contabilità pubblica, come espressamente previsto dalla legge, e la coerenza dell’espressione di un parere con la posizione costituzionale assegnata alla Corte dei conti ed il ruolo specifico delle Sezioni regionali di controllo. Nella valutazione dei requisiti di ammissibilità, inoltre, questa Sezione tiene anche conto della possibilità legislativamente prevista di concordare, con le autonomie locali, ulteriori forme di collaborazione e, conseguentemente, di quanto previsto nella Convenzione del 16 giugno 2006, citata in premesse.
Nel caso in esame, la richiesta di parere è ammissibile sotto il profilo soggettivo, provenendo essa dal Sindaco del comune interessato, tramite il Consiglio delle autonomie.
In ordine al requisito oggettivo, occorre preliminarmente accertare se la richiesta di parere sia riconducibile alla materia della contabilità pubblica, se sussistano i requisiti di generalità ed astrattezza, se il quesito non implichi valutazione di comportamenti amministrativi, ancor più se connessi ad atti già adottati o comportamenti espletati, se l’ambito in concreto sia oggetto di indagini della Procura regionale o di giudizio innanzi alla Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti, ovvero oggetto di contenzioso penale, civile o amministrativo. La funzione consultiva delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti ha natura necessariamente propedeutica all’esercizio dei poteri intestati agli amministratori e può riguardare solo questioni di carattere generale giuridico-contabile.
Al riguardo, si ritiene che la materia, sulla quale verte la richiesta di parere, sia riconducibile al profilo della contabilità, poiché attiene all’interpretazione di norme di coordinamento di finanza pubblica, in particolare all’ambito delle misure per il contenimento della spesa di personale, e quindi all’osservanza dei vincoli introdotti dalla legge, che hanno riflessi sulla formazione e gestione dei bilanci pubblici.
E’, pertanto, da ritenersi ammissibile la richiesta di quesito anche sotto questo profilo.
Il Collegio, inoltre, valuta la questione suscettibile di risposta, senza necessità di investire le Sezioni Riunite della Corte dei conti, in sede di controllo, che possono adottare una pronuncia di orientamento generale, in funzione di nomofilachia, come previsto dall’art. 17 comma 31 della legge n. 102/2009, secondo gli orientamenti espressi con delibera n.8/CONTR/2010 delle Sezioni Riunite adottata nell’adunanza del 26 marzo 2010.
Nel merito
Il decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010, convertito con modificazioni dalla Legge n. 122 del 30 luglio 2010, all’art. 9 comma 4 stabilisce che “I rinnovi contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per il biennio 2008-2009 ed i miglioramenti economici del rimanente personale in regime di diritto pubblico per il medesimo biennio non possono, in ogni caso, determinare aumenti retributivi superiori al 3,2 per cento. La disposizione di cui al presente comma si applica anche ai contratti ed accordi stipulati prima della data di entrata in vigore del presente decreto; le clausole difformi contenute nei predetti contratti ed accordi sono inefficaci a decorrere dalla mensilità successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto; i trattamenti retributivi saranno conseguentemente adeguati”.
La Corte dei conti in sede di certificazione del CCNL comparto Regioni ed autonomie locali, per biennio economico 2008- 2009 sottoscritto il 31 luglio 2009 (deliberazione n. 31 del 30 luglio 2009 delle Sezioni Riunite in sede di controllo) aveva affermato come l’incremento delle retribuzioni previsto nell’ipotesi contrattuale, pari al 3,2%, fosse in linea con gliincrementi negoziali previsti nei documenti di programmazione economico-finanziaria e assentiti anche per gli altri comparti di contrattazione. Solo eventualmente e alle condizioni poste dall'art.4 del CCNL era attribuita agli enti locali la possibilità di aumentare tale incremento medio pro-capite fino al 4,35%, “in ragione della possibilità dell’attribuzione di risorse “ulteriori” fino ad un massimo dell’1,5%, correlate, però, a recuperi di produttività o a premiare professionalità e merito.”
Le Sezioni Riunite hanno sottolineato più volte, al fine di escludere ogni automatismo nell’incremento delle risorse decentrate e ribadire il concetto di premialità nel riconoscimento del salario accessorio, che le risorse aggiuntive per la contrattazione decentrata integrativa sono di natura variabile, ai sensi dell’art. 31, comma 3, del CCNL sottoscritto il 22 gennaio 2004, ossia non possono essere confermate e consolidarsi negli anni successivi, “per cui è precluso un impiego volto a finanziare emolumenti la cui misura costituisce diritto soggettivo incomprimibile”. Con tali accenti si era espresso anche il Comitato di settore, in data 29 maggio 2009, che aveva appunto ribadito che le risorse aggiuntive, che gli enti rendono disponibili devono avere,integralmente ed esclusivamente, natura di “variabilità”.
Il CCNL citato, quindi, aveva previsto per il biennio 2008-2009 risorse a regime commisurate al 3,2% del monte salari 2007 ed “incrementi delle risorse decentrate” fino all’1,5% del monte salari 2007, ancorandone comunque la corresponsione al riscontro di un parametro “esterno”, cioè il conseguimento dei requisiti di compatibilità finanziaria ed il rispetto del patto di stabilità interno, e di un parametro “interno”, costituito dal riscontro in concreto dell’effettivo miglioramento qualitativo e quantitativo dei servizi nonché della crescita professionale del personale.
Si riporta, in breve, un estratto della delibera su menzionata delle Sezioni Riunite, in cui, nel responsabilizzare le parti in sede negoziale e nel richiamare sul punto l’attenzione degli organi di controllo interno, richiede sempre maggior approfondimento, “per i noti e problematici profili di lievitazione della spesa corrente degli enti derivanti dalla crescita delle spese di personale, che sempre più mettono in tensione i bilanci degli enti; sicché, per giustificare l’attribuzione di incrementi percentuali delle retribuzioni che vadano oltre l’indicata misura del 3,2%, occorre che i “sistemi di valutazione” vengano realmente attivati non essendo giustificata nessuna somma aggiuntiva se non effettivamente correlata all’incremento reale della produttività (v., ancora, delib. n. 21/CONTR/CL/08 del 6 giugno 2008, paragrafo 4, ultimo capoverso)”
Con le misure per il contenimento della spesa di personale, previste nel citato decreto-legge n. 78 del 2010, nella c.d. manovra estiva, il legislatore ha posto un limite agli aumenti retributivi, nel biennio 2008-2009, prevedendo un tetto massimo del 3,2 per cento. L’odierno quesito chiede, in considerazione di quanto previsto nella citata norma, nella vigenza del CCNL di comparto certificato, quali debbano considerarsi, ai fini dell’applicazione della norma, gli aumenti retributivi che non possono superare il 3,2 per cento. Nello specifico il dubbio rappresentato dal Comune attiene ad una alternativa, cioè se la norma riguarda gli aumenti retributivi individualmente considerati, ovvero i soli aumenti venutisi a determinare sul trattamento tabellare dei dipendenti e se sia da considerare anche la quota riconoscibile ai sensi dell’art. 4, comma 2, del CCNL 31/07/09, facente parte del trattamento accessorio.
Al riguardo, in sede di Audizione innanzi alla Commissione Bilancio del Senato, in data 10 giugno 2010, sul decreto legge n. 78/2010 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività economica”, la Corte dei conti aveva rilevato, con riferimento ai limiti di crescita retributiva relativi alla contrattazione per il biennio 2008-2009, sulla base dei rapporti di certificazione dei diversi contratti collettivi, che risultavano concessi incrementi superiori alle previste percentuali ai dipendenti del comparto Regioni e autonomie locali. (per 214,6 milioni)1. Sottolineava anche che gli interventi del legislatore statale, destinati adincidere su scelte negoziali già compiute e produttive di effetti, vanno valutati alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha definito i presupposti ed i limiti per poter qualificare interventi anche settoriali su singole componenti della spesa di personale, come rientranti tra le misure di coordinamento della finanza pubblica; ciò in considerazione del fatto che la possibilità di utilizzare la leva del salario accessorio per incentivare la produttività del personale rappresenta, se rispettosa dei vincoli di compatibilità economico-finanziaria, esplicazione dell’autonomia organizzativa degli enti territoriali.
Ciò premesso, gli aumenti consentiti non devono complessivamente superare il tetto fissato dalla legge, cioè il 3,2%. Detti aumenti devono essere considerati in riferimento al trattamento retributivo complessivamente inteso.
Non si tratta, quindi, di prendere in esame il trattamento economico del singolo dipendente (il legislatore dispone al riguardo altro specifico limite al trattamento economico individuale, nel comma 1 del medesimo art. 9). La verifica del rispetto dei limiti agli aumenti contrattuali deve operare in relazione al contenimento entro il 3,2% rispetto alla precedente retribuzione media di riferimento. Le amministrazioni debbono, dunque, considerare anche l’accessorio, per il rispetto del tetto di incremento. In base a quanto previsto dal citato art.9, comma 4, il vincolo quantitativo si applica anche ai contratti ed accordi stipulati prima della data di entrata in vigore del decreto (31 maggio 2010); le eventuali clausole difformi contenute nei contratti ed accordi sono inefficaci , a decorrere dalla mensilità successiva (giugno 2010) alla data di entrata in vigore del presente decreto; i trattamenti retributivi saranno conseguentemente adeguati.
Dal tenore letterale della disposizione, si deduce che, dal mese di giugno 2010, le amministrazioni hanno il divieto di erogare trattamenti accessori finanziati con gli incrementi che superino il 3,2%: infatti la norma oltre a porre un tetto percentuale complessivo, sancisce l'inefficacia delle clausole difformi a decorrere dalla mensilità successiva alla data di entrata del Dl 78/2010, e prevede l’obbligo del conseguente adeguamento dei trattamenti retributivi.
Premesso quanto sopra, l’art. 4 comma 2 del CCNL citato prevede la possibilità di risorse aggiuntive per la contrattazione decentrata integrativa di natura variabile a decorrere dal 31 dicembre 2008, a valere per il 2009, nel limite massimo di incremento dell’1,5%, qualora l’ente dimostri di essere in possesso dei requisiti previsti, in base ai parametri di virtuosità su richiamati. Tali risorse riguardano dunque la consistenza del fondo 2009 e per la loro natura variabile non possono essere utilizzate per attribuire incrementi fissi e continuativi.
Qualora l’ente abbia provveduto ai sensi della citata disposizione contrattuale ed abbia erogato compensi concernenti incentivi alla produttività al personale, entro il mese di maggio 2010 a valere sul fondo 2009, non sussiste l’obbligo di procedere ad alcuna forma di recupero, perché la stessa norma di legge (art. 9 comma 4 citata) non dispone in tal senso. A decorrere dal mese di giugno 2010, non si potrà procedere ad alcuna integrazione del fondo e le eventuali integrazioni disposte ai sensi del citato art.4 non potranno essere distribuite e dovranno formare oggetto di riduzione del fondo medesimo.
Nelle sopra esposte considerazioni è il parere della Corte dei conti – Sezione regionale di controllo per la Toscana in relazione alla richiesta formulata dal Consiglio delle autonomie con nota Prot. n.10203/1.13.9.
1. Il Consiglio delle autonomie locali ha inoltrato alla Sezione, con nota in data 30 luglio 2010 prot. n. 10203/1.13.9, una richiesta di parere formulata dal Sindaco del comune di Monteriggioni, con cui si chiede “un’interpretazione dell’art. 9 comma 4 del D.L. 78/10 laddove prevede che i rinnovi contrattuali del personale per il biennio 2008-09 non possano prevedere aumenti che superino il 3,2%, chiedendo se tale previsione si riferisca: a) agli aumenti retributivi individualmente considerati; b) ai soli aumenti venutisi a determinare sul trattamento tabellare dei dipendenti; c) anche alla quota riconoscibile ai sensi dell’art. 4, comma 2, del CCNL 31/07/09, facente parte del trattamento accessorio”.
L’ente inoltre chiede se con la frase “i trattamenti retributivi saranno conseguentemente adeguati” si presuppone necessariamente un recupero forzoso da parte dell’amministrazione ed, eventualmente, quale sia la corretta modalità per procedervi e se sia corretto per l’ente erogare ai dipendenti la somma riconosciuta ai sensi dell’art. 4 CCNL approvato prima dell’entrata in vigore del suddetto decreto.
CONSIDERATO
In via preliminare
Secondo ormai consolidati orientamenti assunti dalla Corte dei Conti in tema di pareri da esprimere ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge n. 131 del 2003, occorre verificare in via preliminare se la richiesta di parere formulata presenti i necessari requisiti di ammissibilità, sia sotto il profilo soggettivo, che riguarda la legittimazione dell’organo richiedente, sia sotto il profilo oggettivo, che concerne l’attinenza dei quesiti alla materia della contabilità pubblica, come espressamente previsto dalla legge, e la coerenza dell’espressione di un parere con la posizione costituzionale assegnata alla Corte dei conti ed il ruolo specifico delle Sezioni regionali di controllo. Nella valutazione dei requisiti di ammissibilità, inoltre, questa Sezione tiene anche conto della possibilità legislativamente prevista di concordare, con le autonomie locali, ulteriori forme di collaborazione e, conseguentemente, di quanto previsto nella Convenzione del 16 giugno 2006, citata in premesse.
Nel caso in esame, la richiesta di parere è ammissibile sotto il profilo soggettivo, provenendo essa dal Sindaco del comune interessato, tramite il Consiglio delle autonomie.
In ordine al requisito oggettivo, occorre preliminarmente accertare se la richiesta di parere sia riconducibile alla materia della contabilità pubblica, se sussistano i requisiti di generalità ed astrattezza, se il quesito non implichi valutazione di comportamenti amministrativi, ancor più se connessi ad atti già adottati o comportamenti espletati, se l’ambito in concreto sia oggetto di indagini della Procura regionale o di giudizio innanzi alla Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti, ovvero oggetto di contenzioso penale, civile o amministrativo. La funzione consultiva delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti ha natura necessariamente propedeutica all’esercizio dei poteri intestati agli amministratori e può riguardare solo questioni di carattere generale giuridico-contabile.
Al riguardo, si ritiene che la materia, sulla quale verte la richiesta di parere, sia riconducibile al profilo della contabilità, poiché attiene all’interpretazione di norme di coordinamento di finanza pubblica, in particolare all’ambito delle misure per il contenimento della spesa di personale, e quindi all’osservanza dei vincoli introdotti dalla legge, che hanno riflessi sulla formazione e gestione dei bilanci pubblici.
E’, pertanto, da ritenersi ammissibile la richiesta di quesito anche sotto questo profilo.
Il Collegio, inoltre, valuta la questione suscettibile di risposta, senza necessità di investire le Sezioni Riunite della Corte dei conti, in sede di controllo, che possono adottare una pronuncia di orientamento generale, in funzione di nomofilachia, come previsto dall’art. 17 comma 31 della legge n. 102/2009, secondo gli orientamenti espressi con delibera n.8/CONTR/2010 delle Sezioni Riunite adottata nell’adunanza del 26 marzo 2010.
Nel merito
Il decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010, convertito con modificazioni dalla Legge n. 122 del 30 luglio 2010, all’art. 9 comma 4 stabilisce che “I rinnovi contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per il biennio 2008-2009 ed i miglioramenti economici del rimanente personale in regime di diritto pubblico per il medesimo biennio non possono, in ogni caso, determinare aumenti retributivi superiori al 3,2 per cento. La disposizione di cui al presente comma si applica anche ai contratti ed accordi stipulati prima della data di entrata in vigore del presente decreto; le clausole difformi contenute nei predetti contratti ed accordi sono inefficaci a decorrere dalla mensilità successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto; i trattamenti retributivi saranno conseguentemente adeguati”.
La Corte dei conti in sede di certificazione del CCNL comparto Regioni ed autonomie locali, per biennio economico 2008- 2009 sottoscritto il 31 luglio 2009 (deliberazione n. 31 del 30 luglio 2009 delle Sezioni Riunite in sede di controllo) aveva affermato come l’incremento delle retribuzioni previsto nell’ipotesi contrattuale, pari al 3,2%, fosse in linea con gliincrementi negoziali previsti nei documenti di programmazione economico-finanziaria e assentiti anche per gli altri comparti di contrattazione. Solo eventualmente e alle condizioni poste dall'art.4 del CCNL era attribuita agli enti locali la possibilità di aumentare tale incremento medio pro-capite fino al 4,35%, “in ragione della possibilità dell’attribuzione di risorse “ulteriori” fino ad un massimo dell’1,5%, correlate, però, a recuperi di produttività o a premiare professionalità e merito.”
Le Sezioni Riunite hanno sottolineato più volte, al fine di escludere ogni automatismo nell’incremento delle risorse decentrate e ribadire il concetto di premialità nel riconoscimento del salario accessorio, che le risorse aggiuntive per la contrattazione decentrata integrativa sono di natura variabile, ai sensi dell’art. 31, comma 3, del CCNL sottoscritto il 22 gennaio 2004, ossia non possono essere confermate e consolidarsi negli anni successivi, “per cui è precluso un impiego volto a finanziare emolumenti la cui misura costituisce diritto soggettivo incomprimibile”. Con tali accenti si era espresso anche il Comitato di settore, in data 29 maggio 2009, che aveva appunto ribadito che le risorse aggiuntive, che gli enti rendono disponibili devono avere,integralmente ed esclusivamente, natura di “variabilità”.
Il CCNL citato, quindi, aveva previsto per il biennio 2008-2009 risorse a regime commisurate al 3,2% del monte salari 2007 ed “incrementi delle risorse decentrate” fino all’1,5% del monte salari 2007, ancorandone comunque la corresponsione al riscontro di un parametro “esterno”, cioè il conseguimento dei requisiti di compatibilità finanziaria ed il rispetto del patto di stabilità interno, e di un parametro “interno”, costituito dal riscontro in concreto dell’effettivo miglioramento qualitativo e quantitativo dei servizi nonché della crescita professionale del personale.
Si riporta, in breve, un estratto della delibera su menzionata delle Sezioni Riunite, in cui, nel responsabilizzare le parti in sede negoziale e nel richiamare sul punto l’attenzione degli organi di controllo interno, richiede sempre maggior approfondimento, “per i noti e problematici profili di lievitazione della spesa corrente degli enti derivanti dalla crescita delle spese di personale, che sempre più mettono in tensione i bilanci degli enti; sicché, per giustificare l’attribuzione di incrementi percentuali delle retribuzioni che vadano oltre l’indicata misura del 3,2%, occorre che i “sistemi di valutazione” vengano realmente attivati non essendo giustificata nessuna somma aggiuntiva se non effettivamente correlata all’incremento reale della produttività (v., ancora, delib. n. 21/CONTR/CL/08 del 6 giugno 2008, paragrafo 4, ultimo capoverso)”
Con le misure per il contenimento della spesa di personale, previste nel citato decreto-legge n. 78 del 2010, nella c.d. manovra estiva, il legislatore ha posto un limite agli aumenti retributivi, nel biennio 2008-2009, prevedendo un tetto massimo del 3,2 per cento. L’odierno quesito chiede, in considerazione di quanto previsto nella citata norma, nella vigenza del CCNL di comparto certificato, quali debbano considerarsi, ai fini dell’applicazione della norma, gli aumenti retributivi che non possono superare il 3,2 per cento. Nello specifico il dubbio rappresentato dal Comune attiene ad una alternativa, cioè se la norma riguarda gli aumenti retributivi individualmente considerati, ovvero i soli aumenti venutisi a determinare sul trattamento tabellare dei dipendenti e se sia da considerare anche la quota riconoscibile ai sensi dell’art. 4, comma 2, del CCNL 31/07/09, facente parte del trattamento accessorio.
Al riguardo, in sede di Audizione innanzi alla Commissione Bilancio del Senato, in data 10 giugno 2010, sul decreto legge n. 78/2010 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività economica”, la Corte dei conti aveva rilevato, con riferimento ai limiti di crescita retributiva relativi alla contrattazione per il biennio 2008-2009, sulla base dei rapporti di certificazione dei diversi contratti collettivi, che risultavano concessi incrementi superiori alle previste percentuali ai dipendenti del comparto Regioni e autonomie locali. (per 214,6 milioni)1. Sottolineava anche che gli interventi del legislatore statale, destinati adincidere su scelte negoziali già compiute e produttive di effetti, vanno valutati alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha definito i presupposti ed i limiti per poter qualificare interventi anche settoriali su singole componenti della spesa di personale, come rientranti tra le misure di coordinamento della finanza pubblica; ciò in considerazione del fatto che la possibilità di utilizzare la leva del salario accessorio per incentivare la produttività del personale rappresenta, se rispettosa dei vincoli di compatibilità economico-finanziaria, esplicazione dell’autonomia organizzativa degli enti territoriali.
Ciò premesso, gli aumenti consentiti non devono complessivamente superare il tetto fissato dalla legge, cioè il 3,2%. Detti aumenti devono essere considerati in riferimento al trattamento retributivo complessivamente inteso.
Non si tratta, quindi, di prendere in esame il trattamento economico del singolo dipendente (il legislatore dispone al riguardo altro specifico limite al trattamento economico individuale, nel comma 1 del medesimo art. 9). La verifica del rispetto dei limiti agli aumenti contrattuali deve operare in relazione al contenimento entro il 3,2% rispetto alla precedente retribuzione media di riferimento. Le amministrazioni debbono, dunque, considerare anche l’accessorio, per il rispetto del tetto di incremento. In base a quanto previsto dal citato art.9, comma 4, il vincolo quantitativo si applica anche ai contratti ed accordi stipulati prima della data di entrata in vigore del decreto (31 maggio 2010); le eventuali clausole difformi contenute nei contratti ed accordi sono inefficaci , a decorrere dalla mensilità successiva (giugno 2010) alla data di entrata in vigore del presente decreto; i trattamenti retributivi saranno conseguentemente adeguati.
Dal tenore letterale della disposizione, si deduce che, dal mese di giugno 2010, le amministrazioni hanno il divieto di erogare trattamenti accessori finanziati con gli incrementi che superino il 3,2%: infatti la norma oltre a porre un tetto percentuale complessivo, sancisce l'inefficacia delle clausole difformi a decorrere dalla mensilità successiva alla data di entrata del Dl 78/2010, e prevede l’obbligo del conseguente adeguamento dei trattamenti retributivi.
Premesso quanto sopra, l’art. 4 comma 2 del CCNL citato prevede la possibilità di risorse aggiuntive per la contrattazione decentrata integrativa di natura variabile a decorrere dal 31 dicembre 2008, a valere per il 2009, nel limite massimo di incremento dell’1,5%, qualora l’ente dimostri di essere in possesso dei requisiti previsti, in base ai parametri di virtuosità su richiamati. Tali risorse riguardano dunque la consistenza del fondo 2009 e per la loro natura variabile non possono essere utilizzate per attribuire incrementi fissi e continuativi.
Qualora l’ente abbia provveduto ai sensi della citata disposizione contrattuale ed abbia erogato compensi concernenti incentivi alla produttività al personale, entro il mese di maggio 2010 a valere sul fondo 2009, non sussiste l’obbligo di procedere ad alcuna forma di recupero, perché la stessa norma di legge (art. 9 comma 4 citata) non dispone in tal senso. A decorrere dal mese di giugno 2010, non si potrà procedere ad alcuna integrazione del fondo e le eventuali integrazioni disposte ai sensi del citato art.4 non potranno essere distribuite e dovranno formare oggetto di riduzione del fondo medesimo.
Nelle sopra esposte considerazioni è il parere della Corte dei conti – Sezione regionale di controllo per la Toscana in relazione alla richiesta formulata dal Consiglio delle autonomie con nota Prot. n.10203/1.13.9.
Utilizzo del mezzo proprio - l’art. 6, c. 12 del D.L. n. 78/2010
Premessa
La disapplicazione delle norme di legge inerenti alla
possibilita` di utilizzare un proprio mezzo di trasporto
per recarsi in missione, da parte di un dipendente
pubblico, operato dall’art. 6 c. 12 del D.L. n.
78/2010, conv. in legge n. 122/2010, ha determinato
un forte sconcerto tra chi deve occuparsi della
gestione del personale dipendente, oltre che piu`
in generale, tra tutto il personale che piu` o meno
frequentemente ha fatto ricorso a questa particolare
forma di autorizzazione per svolgere le sue funzioni
al di fuori della normale sede di lavoro. Non v’e`
infatti chi non abbia riscontrato un palese contrasto
tra la disposizione di legge e le sue stesse finalita` di
contenimento dei costi degli apparati amministrativi,
essendo palese e concreto l’incremento in termini
di costi e/o il decremento in termini di efficienza,
che questo nuovo regime porta con se´.
Una recente pronuncia della Corte dei conti della
Lombardia (n. 949 del 1º ottobre 2010) porta un
po’ di luce su questa materia suggerendo una plausibile
soluzione interpretativa delle norme in questione
che salvaguardi contemporaneamente efficienza
e razionalizzazione dei costi.
La stretta sulle spese per missioni ...
L’art. 6 del D.L. 78 del 31 maggio 2010, convertito
in legge n. 122 del 30 luglio 2010, sotto la rubrica
‘‘Riduzione dei costi degli apparati amministrativi’’,
introduce limiti e restrizioni considerevoli in tema di
spesa per missioni e trasferte per tutte le amministrazioni
pubbliche. La norma ha dichiaratamente la finalita`
di ridurre la spesa degli apparati amministrativi,
come tutte le disposizioni dell’art. 6, e opera sia
nei confronti dei servizi che sporadicamente vengono
prestati al di fuori del territorio di competenza
dell’ente, che quelle connesse a spostamenti che il
dipendente e` chiamato a compiere nel territorio. In
particolare la norma prevede l’impossibilita` per le
singole amministrazioni di autorizzare spese per missioni,
anche all’estero, per un ammontare superiore
al 50% dell’analoga spesa sostenuta nell’anno 2009
determinata a consuntivo con il criterio di cassa.
Un taglio drastico alle risorse impegnabili per l’effettuazione
di tali servizi, che portera` con se´ la necessita`
di rivedere profondamente l’organizzazione
di ogni ente in questo ambito e certamente a effettuare
scelte per priorita`.
La norma esclude l’applicazione del taglio di spesa
per determinate tipologie di missione (missioni internazionali
di pace o connesse ad accordi internazionali
ovvero alla partecipazione a riunioni di organismi
internazionali o comunitari) nonche´ per le spese
sostenute per lo svolgimento di compiti ispettivi.
... e in particolare sull’utilizzo
del mezzo proprio
Il c. 12 della norma in esame, stabilisce con decorrenza
immediata dalla data di sua entrata in vigore, la disapplicazione nei confronti di tutto il personale
pubblico contrattualizzato di cui all’art. 3 del
D.Lgs. n. 165/2001, dell’art. 15 della legge 18 dicembre
1973, n. 836 e dell’art. 8 della legge n.
417 del 26 luglio 1978; analogamente e dalla stessa
data vengono caducati gli effetti di analoghe disposizioni
contenute nei contratti collettivi di lavoro.
Si tratta in sostanza delle norme che regolano la
possibilita` di autorizzare il dipendente all’utilizzo
del mezzo proprio per svolgere servizi fuori ufficio
e che ne quantificano i relativi rimborsi delle spese
sostenute.
Le due norme citate rappresentano l’unica fonte
normativa inerente al regime delle missioni e trasferte
in ambito pubblico, ed in particolare l’art.
15 della legge n. 836/1973 e` l’unico riferimento
normativo in cui e` prevista, previa autorizzazione,
la possibilita` del dipendente di spostarsi per ragioni
di servizio, utilizzando un mezzo di sua proprieta`, e
la conseguente possibilita` di ricevere un adeguato
rimborso delle spese sostenute, per cui la loro disapplicazione
ha indotto a considerare totalmente
abrogata ogni possibilita` non solo di ricevere specifici
rimborsi spese, ma addirittura di poter legittimamente
ricorrere a tale possibilita` per tutti gli spostamenti
per servizio.
Analisi della normativa disapplicata
Nell’ambito della regolamentazione generale del
‘‘trattamento economico di missione dei dipendenti
statali’’, disposto dalla legge n. 836/1973 ovvero
del quadro generale di regolamentazione delle casistiche
e delle situazioni in cui il dipendente pubblico
puo` essere chiamato a svolgere la sua attivita` lavorativa
al di fuori della ordinaria sede di lavoro e
dei conseguenti risvolti economici legati alla trasferta,
l’art. 15 detta una regolamentazione specifica
inerente la possibilita` da parte del dipendente di
utilizzare per gli spostamenti fuori ufficio, un proprio
mezzo di trasporto.
La norma in questione sembra dettare una regolamentazione
precisa e stringente limitando al c. 1
in modo preciso l’ambito soggettivo di applicazione,
ovvero si riferisce esplicitamente al personale
che eserciti funzioni ispettive, inoltre al comma
successivo definisce anche un preciso ambito territoriale
in cui tale modalita` di trasporto e` legittimamente
autorizzabile, ovvero l’ambito territoriale di
competenza dell’ente, comunque limitato al territorio
provinciale. Specifica inoltre una condizione
necessaria, ovvero l’accertamento della convenienza
economica rispetto ai normali servizi di trasporto
di linea.
La norma, oltre a definire le modalita` operative di
preventiva autorizzazione da parte del dirigente,
originariamente prevedeva la corresponsione a titolo
di indennita` onnicomprensiva di tutte le spese
sostenute per l’utilizzo del mezzo proprio, di un
importo pari a lire 43 per ogni chilometro percorso.
La stessa norma riconosce la possibilita` del dipendente
di farsi rimborsare anche spese accessorie all’utilizzo
del proprio mezzo quali quelle conseguenti
ai pedaggi autostradali
L’art. 8 della legge n. 417/1978 adegua l’importo
dell’indennita` chilometrica ragguagliandolo ad un
quinto del costo della benzina vigente nel tempo,
per ogni chilometro percorso.
Va notato che il successivo art. 9 della legge n.
417/1978 stabilisce una esplicita deroga all’ambito
territoriale suddetto; tale norma estende di fatto la
possibilita` di autorizzazione all’uso del mezzo proprio
alla generalita` dei dipendenti inviati in missione,
anche se non esercitanti funzioni ispettive, nei
casi in cui il luogo di missione non possa essere
raggiunto da mezzi pubblici, o comunque quando
l’orario dei mezzi esistenti non sia conciliabile
con lo svolgimento della missione (1).
L’estensione della disciplina
alla generalita` delle trasferte
Con successive disposizioni contrattuali i diversi
comparti di contrattazione pubblica, hanno declinato
tale disposizione alle peculiarita` del comparto,
estendendo in qualche modo l’ambito di applicazione
dell’Istituto. L’argomento del trattamento di
missione e trasferta fu infatti ripreso dall’accordo
intercompartimentale n. 395 del 23 agosto 1988 e
successivamente dall’art. 33 del D.P.R. n. 347 del
25 giugno 1983, recettivo dell’accordo nazionale
di lavoro del 29 aprile 1983 per il personale dipendente
dagli enti locali. E ` solo pero` con l’art. 41 c. 4
delle ‘‘Code contrattuali’’ CCNL 14 settembre
2000 che nella disciplina pattizia inerente agli enti
locali si introduce una piu` ampia possibilita` di utilizzo
del mezzo proprio per ragioni di servizio. Il
testo della norma recita infatti: ‘‘Il dipendente
puo` essere eccezionalmente autorizzato ad utilizzare
il proprio mezzo di trasporto, sempreche´ la trasferta
riguardi localita` distante piu` di 10 Km dalla
ordinaria sede di servizio e diversa dalla dimora
abituale, qualora l’uso di tale mezzo risulti piu` conveniente
dei normali servizi di linea. In tal caso ....
al dipendente ... il rimborso delle spese autostradali,
di parcheggio e dell’eventuale custodia del mezzo
ed una indennita` chilometrica pari ad un quinto
del costo di un litro di benzina verde per ogni
Km’’.
Seppure in un ambito piu` ampio, non ristretto
espressamente alle ipotesi di esercizio di funzioni
ispettive, la disposizione contrattuale rimarca comunque
l’eccezionalita` del ricorso all’utilizzo del
mezzo proprio, la possibilita` di utilizzarlo per spostamenti
non inferiori a 10 chilometri dalla sede di
lavoro, e la necessita` di comparare dal punto di vista
economico la convenienza di tale soluzione rispetto
al ricorso ai mezzi pubblici.
Gli effetti dell’art. 6 c. 12
del D.L. n. 78/2010
L’intervento abrogativo dell’art. 6 c. 12 del D.L. n.
78/2010 spazza via tali fonti normative e contrattuali
in modo inequivocabile; se sotto il profilo letterale
risulta difficile sostenere una qualche forma
di ultrattivita` dell’istituto dell’utilizzo del mezzo
proprio, sotto il profilo delle intenzioni del legislatore
ogni dubbio viene eliminato; dalla relazione illustrativa
del provvedimento D.L. n. 78/2010 presentata
al Senato, risulta infatti inequivocabilmente
la volonta` del legislatore di ... ‘‘sopprimere l’utilizzo
del mezzo proprio di trasporto... anche .. .nei casi
debitamente autorizzati’’.
Tale indirizzo, se da una parte ha reso chiara la volonta`
del legislatore, ha pero` aperto un forte dibattito
in merito alla sua efficacia in termini di riduzione
della spesa pubblica e in termini di efficienza
dell’azione amministrativa, con particolare riferimento
alle amministrazioni locali che spesso si sono
avvalse proficuamente della disponibilita` dei dipendenti
di utilizzare il proprio mezzo di trasporto;
si pensi che la maggioranza delle amministrazioni
locali deve gestire servizi su territori spesso molto
vasti in assenza di altri mezzi idonei a garantire
la presenza di propri addetti sul territorio. Siamo
quindi di fronte a un provvedimento che con l’intento
di ridurre i costi degli apparati amministrativi
(si veda in tal senso la rubrica dell’art. 6 del D.L. n.
78/2010), rende invece necessario, per non ridurre
l’efficacia dei servizi, ricorrere a soluzioni ben
piu` costose, quali l’acquisto di nuovi mezzi, o il noleggio
di mezzi di trasporto con conducente (taxi),
o anche semplicemente meno efficaci in termini di
utilizzo del tempo di lavoro del dipendente impegnato
fuori sede, come avverrebbe nel caso di sistematico
ricorso a mezzi pubblici di linea.
Di fronte a tale situazione molte amministrazioni si
sono temporaneamente orientate verso una soppressione/
sospensione delle autorizzazioni all’utilizzo
del mezzo di proprieta` del dipendente, ovvero,
in maniera decisamente meno elegante, alla soppressione
della sola liquidazione del rimborso delle
spese chilometriche sostenute dal personale in missione,
autorizzato all’utilizzo del mezzo proprio.
Del pari risulta diffusa la pratica di sospendere anche
il rimborso delle altre spese connesse all’utilizzo
del mezzo proprio in missione, quali il rimborso
dei pedaggi autostradali e le spese di rimessaggio e
parcheggio del mezzo di proprieta` del dipendente.
In ogni caso si tratta di provvedimenti cautelativi
finalizzati a evitare danni erariali, ma che non risolvono
il problema, scaricandolo sull’efficacia dei
servizi ovvero sul portafoglio del dipendente di
buona volonta` che si sobbarca i costi del proprio
mezzo per attivita` di servizio fuori sede. In ogni caso
si tratta di una situazione da cui occorrerebbe
uscire al piu` presto, prioritariamente con un intervento
abrogativo del legislatore, ma nell’emergenza
attraverso l’individuazione di linee interpretative
sostenibili, atte quanto meno a limitare i danni.
Le interpretazioni possibili
Sia lo stato della normativa scaturita dall’art. 6 c.
12 del D.L. n. 78/1973, che le intenzioni del legislatore
(esplicitate inequivocabilmente in sede di
relazione di presentazione del provvedimento al
Senato) non si prestano a letture diverse da quella
logico-letterale che comporta l’impossibilita` di applicare
le norme in esame dalla data di entrata in vigore
del D.L. n. 78/2010, tuttavia non sono mancati
tentativi di agire in via interpretativa sulla norma in
esame, con la finalita` di dare una sostenibilita` al
quadro normativo superstite anche sul piano dell’efficienza
ed efficacia dei servizi, e quindi tendenti
a limitare o annullare il blocco imposto dalla
Manovra estiva 2010.
Sostanzialmente i diversi sforzi interpretativi si
concretizzano in due distinte linee interpretative:
a) sulla base del testo letterale della norma, l’abrogazione
si riferisce esclusivamente al personale che
svolge attivita` ispettive, e non alla generalita` del
personale pubblico che puo` utilizzare il proprio
mezzo di trasporto, ricevendo l’adeguato rimborso
spese, per attivita` ordinarie (e quindi non ispettive!!).
Tale linea interpretativa e` stata sostenuta dalla
Regione Friuli-Venezia Giulia con parere prot. n.
10693 del 23 giugno 2010;
b) l’art. 6 c. 12 del D.L. n. 78/2010 disapplica l’art.
15 della legge n. 836/1973 e l’art. 8 della legge n.
417/1978, ma lascia vigente il successivo art. 9 legge
n. 417/1978. Tale norma consente, nel caso in
cui particolari esigenze di servizio lo impongano
e qualora risulti economicamente piu` conveniente,
l’uso del proprio mezzo di trasporto, comunque
autorizzato con provvedimento motivato, ‘‘anche
oltre i limiti della circoscrizione provinciale’’; di
conseguenza, la permanenza del corpo normativo
inerente la materia delle missioni e trasferte di questa
disposizione conferma la vigenza del ‘‘principio’’
della rimborsabilita` dei costi sostenuti per l’utilizzo
del mezzo proprio, seppure in casi particolari
e qualora sia economicamente piu` conveniente.
E `questa seconda la linea interpretativa che da piu`
parti si sta tentando di proporre quale via d’uscita
dallo stallo in cui l’art. 6 c. 12 ha messo il sistema.
Pur se l’argomento non e` stato affrontato nella Nota
Anci di piu` generale commento al D.L. n. 78/
2010 (2), si segnala che l’Associazione nazionale
comuni d’Italia, ha comunque fatto sentire la proprio
voce in materia con la nota della Sezione Emilia
Romagna prot. n. 15 del 13 luglio 2010. Con tale
pronuncia, seppure in forma dubitativa, si conclude
per l’autorizzabilita` dell’utilizzo del mezzo
proprio, in base al perdurare in vigenza dell’art. 9
della legge n. 417/1978.
Sulla stessa lunghezza d’onda, si registra l’intervento
del Dipartimento della Ragioneria generale
dello Stato, con circolare n. 36 prot. n. 89560 del
22 ottobre 2010 (3).
Secondo il Ministero dell’economia e finanze la disapplicazione
delle norme inerenti al mezzo proprio,
non si riferisce al personale che esercita funzioni
ispettive e piu` in generale attivita` istituzionali
di verifica e controllo sul territorio, in ragione della
particolare natura delle funzioni esercitate. Accogliere
la tesi inversa inficerebbe l’efficacia dell’azione
amministrativa degli uffici addetti a queste
attivita`. Deve comunque restare ferma la necessita`
di valutare in ogni caso con attenzione, e in chiave
di contenimento della spesa pubblica, se e quando
ricorrere a tale strumento attivando l’autorizzazione
all’uso del mezzo proprio solo nei casi in cui non
sia altrimenti possibile garantire le primarie funzioni
istituzionali di ispezione, verifica e controllo, e
in ogni caso, qualora la scelta del mezzo proprio
si rilevi economicamente piu` vantaggiosa.
La tesi sembra azzardata; se e` vero che le norme disapplicate
si riferiscono espressamente ‘‘al personale
che per lo svolgimento di funzioni ispettive
abbia frequente necessita`’’ per quale motivo, oltre
alla palese necessita` di proseguire efficacemente
nelle fondamentali attivita` ispettive, di verifica e
controllo del Ministero, si potrebbe concludere
per l’esclusione? La lettura acquista maggior senso
se la si legge in sintonia con un altro fondamentale
passaggio dell’art. 6 del D.L. n. 78/2010, ovvero la
disposizione, di cui si accennava in premessa, contenuta
nel terzo periodo del c. 12, che esclude
espressamente le attivita` di tipo ispettivo effettuate
fuori sede dalla limitazione delle spese di trasferta
in misura non superiore al 50% delle analoghe spese
sostenute nel corso dell’anno 2009. Risulterebbe
palese, nell’ottica del Ministero, anche nella volonta`
del legislatore, l’intento di salvaguardare comunque
le attivita` di tipo ispettivo, fondamentale, ad
esempio, per le attivita` di controllo e repressione
dell’evasione fiscale proprie del Dicastero delle Finanze.
Quanto invece alla generalita` del personale dipendente,
anche non esercitante funzioni ispettive, la
permanenza in vigore dell’art. 9 della legge n.
417/1978 giustifica il perdurare della possibilita`
di autorizzare legittimamente il personale in trasferta
all’utilizzo del mezzo proprio. Il Ministero su
questo punto da pero` una lettura fortemente orientata
alle finalita` di ‘‘riduzione dei costi degli apparati
amministrativi’’ dell’art. 6 della Manovra estiva
2010, e rimarca che le autorizzazioni rilasciate
in tal senso, potranno avere effetto esclusivamente
a garantire la copertura assicurativa. Si rammenta
in proposito che all’entrata in vigore del D.L. n.
78/2010 alcune compagnie di assicurazione avevano
immediatamente segnalato l’impossibilita` di coprire
i sinistri occorsi al personale dipendente inviato
in missione con il proprio mezzo, in assenza
di una legittimazione giuridica valida all’autorizzazione.
Di fatto, facendo una espressa deroga per il
personale addetto a funzioni ispettive, di verifica e
controllo, si vieta non gia` la possibilita` di autorizzazione
all’utilizzo del mezzo proprio, quanto il
rimborso delle spese conseguenti.
Piu` di recente si registra invece la voce autorevole
della Corte dei conti, Sezione regionale di controllo
per la Lombardia, che in risposta ad uno specifico
quesito sull’esatto ambito di applicazione dell’art. 6
c. 12 del D.L. n. 78/2010, e di conseguenza sull’ammissibilita`
di residue ipotesi di autorizzazione
all’uso del mezzo proprio dei dipendenti di enti locali
in trasferta, ha prodotto la delibera n. 949 del 1º
ottobre 2010 (4).
La pronuncia della Corte, che fa seguito ad uno
specifico quesito di un ente territoriale, riguarda
espressamente il caso di dipendenti che non svolgono
attivita` di tipo ispettivo, ma che devono comunque
effettuare frequenti spostamenti all’interno
del territorio di competenza dell’ente per ragioni
connesse al servizio. L’ente istante rappresenta la maggiore
dispendiosita` del servizio organizzato
con vetture di proprieta` dell’ente rispetto al riconoscimento
del rimborso chilometrico ai dipendenti
che usino il proprio mezzo.
Il Collegio incentra la sua analisi prima di tutto sull’esatta
individuazione dell’ambito di applicazione
della norma e sulla verifica eventuale residuale ipotesi
di autorizzazione dell’uso del mezzo proprio.
In questo senso la Corte preliminarmente sgombra
il campo da qualsiasi dubbio inerente possibili
esclusioni dall’ambito di applicazione dell’art. 6
c. 12, stabilendo inequivocabilmente che l’effetto
disapplicativo della norma in esame colpisce sia i
dipendenti che svolgono funzioni ispettive (art.
15 c. 1 legge n. 836/1973) che la generalita` dei dipendenti
esercitanti altre funzioni (c. 3), in ragione
della ratio di contenimento della spesa della p.a.
che pervade tutto il provvedimento in esame. Il secondo
luogo l’esame della Corte si spinge a verificare,
confermandola, la portata disapplicativa del
D.L. n. 78/2010 anche nei confronti delle analoghe
disposizioni contrattuali, e segnatamente, nell’ambito
del comparto regioni-enti locali, dell’art. 41
del CCNL 14 settembre 2000, avendo, entrambe
le disposizioni disapplicate, una ‘‘medesima portata
contenutistica’’. In questo senso siamo quindi di
fronte ad una dissonante diversita` di opinioni rispetto
a quanto sostenuto dal Ministero dell’economie
e delle finanze.
Nel piu` stringente merito della questione in esame,
la Corte, argomentando in base alla permanenza in
vigore dell’art. 9 della legge n. 17/1978, afferma
che nell’ambito delle Autonomie locali, tale disposizione
non riguarda direttamente la pura e semplice
razionalizzazione della spesa pubblica, bensı` in
una visione piu` ampia, l’autonomo potere di ogni
singola amministrazione di organizzazione dei propri
servizi. In quest’ottica l’ente territoriale legittimamente
puo` valutare le ‘‘particolari esigenze di
servizio’’ che impongano il ricorso all’autorizzazione
all’uso del mezzo proprio, previa verifica della
sua maggiore convenienza economica. E tale
esercizio dell’autonomia organizzativa degli enti
locali, sancito ormai inequivocabilmente dal nuovo
testo del Titolo V della Costituzione, potra` in ogni
caso determinare benefici effetti anche sul versante
della spesa pubblica.
La Sezione Lombardia conclude sposando una interpretazione
costituzionalmente orientata, in base
alla quale l’intervento disapplicativo dell’art. 6
del D.L. n. 78/2010 non puo` incidere sugli autonomi
poteri del singolo ente di organizzare autonomamente
i propri servizi. Tale lettura, conclude la
Corte, non solo porta a ritenere che l’uso del mezzo
proprio puo` essere legittimamente autorizzato, se
cio` incrementa efficacia, efficienza ed economicita`
dei servizi resi con tale particolare modalita`, ma anche
che la regolamentazione di tale fenomeno, con
propria autonoma regolamentazione, rende sostenibile
sia la rifusione delle spese effettivamente sostenute
in proprio dal dipendente, che la copertura
assicurativa dei mezzi privati attraverso polizze sottoscritte
dall’ente.
Tale tesi interpretativa porta a concludere per la necessita`
che ogni ente, in rispetto dei principi di contenimento
della spesa pubblica ribaditi in materia
dall’art. 6 della Manovra estiva 2010, organizzi
autonomamente, con proprio atto regolamentare,
le ipotesi di autorizzazione all’utilizzo del proprio
mezzo di trasporto per i propri dipendenti inviati
in missione, fuori o all’interno del proprio territorio
di competenza, non fosse altro per colmare un’ultima
lacuna del quadro complessivo: essendo stato
disapplicato l’art. 8 della legge n. 417/1978, e completamente
venuta meno una disciplina normativa
che regoli l’entita` economica del rimborso chilometrico.
Va comunque evidenziato che tale autonoma regolamentazione
non puo` prescindere da una attenta
valutazione in merito a:
_ l’essenzialita` dei servizi interessati e quindi una
pre-selezione degli ambiti di ricorso all’utilizzo
del mezzo proprio;
_ l’individuazione di ipotesi in cui sia certa l’opportunita`
organizzativa della modalita` di trasporto
prescelta;
_ il richiamo costante a criteri di economicita` e efficienza
in questo tipo di scelta;
_ la necessita` che tali considerazioni vengano convogliate
in un atto autorizzativo ben motivato e circostanziato.
Naturalmente la regolamentazione dovra` essere finalizzata
ad una complessiva riduzione dei costi,
in considerazione del fatto che, le spese per l’utilizzo
del mezzo proprio, al pari di tutte le spese di
missioni e trasferte, dovranno essere ricondotte
nel 2011 al 50% dell’analoga spesa sostenuta nel
2009.
In ogni caso l’art. 6 c. 12 del D.L. n. 78/2010 deve
essere un’occasione per ripensare il sistema per rifondarlo
su binari di efficienza ed efficacia, in
un’ottica di ottimale utilizzo delle risorse.
di Paolo Belli
Responsabile del servizio contabilita` e pensioni Comune di Cesena
La disapplicazione delle norme di legge inerenti alla
possibilita` di utilizzare un proprio mezzo di trasporto
per recarsi in missione, da parte di un dipendente
pubblico, operato dall’art. 6 c. 12 del D.L. n.
78/2010, conv. in legge n. 122/2010, ha determinato
un forte sconcerto tra chi deve occuparsi della
gestione del personale dipendente, oltre che piu`
in generale, tra tutto il personale che piu` o meno
frequentemente ha fatto ricorso a questa particolare
forma di autorizzazione per svolgere le sue funzioni
al di fuori della normale sede di lavoro. Non v’e`
infatti chi non abbia riscontrato un palese contrasto
tra la disposizione di legge e le sue stesse finalita` di
contenimento dei costi degli apparati amministrativi,
essendo palese e concreto l’incremento in termini
di costi e/o il decremento in termini di efficienza,
che questo nuovo regime porta con se´.
Una recente pronuncia della Corte dei conti della
Lombardia (n. 949 del 1º ottobre 2010) porta un
po’ di luce su questa materia suggerendo una plausibile
soluzione interpretativa delle norme in questione
che salvaguardi contemporaneamente efficienza
e razionalizzazione dei costi.
La stretta sulle spese per missioni ...
L’art. 6 del D.L. 78 del 31 maggio 2010, convertito
in legge n. 122 del 30 luglio 2010, sotto la rubrica
‘‘Riduzione dei costi degli apparati amministrativi’’,
introduce limiti e restrizioni considerevoli in tema di
spesa per missioni e trasferte per tutte le amministrazioni
pubbliche. La norma ha dichiaratamente la finalita`
di ridurre la spesa degli apparati amministrativi,
come tutte le disposizioni dell’art. 6, e opera sia
nei confronti dei servizi che sporadicamente vengono
prestati al di fuori del territorio di competenza
dell’ente, che quelle connesse a spostamenti che il
dipendente e` chiamato a compiere nel territorio. In
particolare la norma prevede l’impossibilita` per le
singole amministrazioni di autorizzare spese per missioni,
anche all’estero, per un ammontare superiore
al 50% dell’analoga spesa sostenuta nell’anno 2009
determinata a consuntivo con il criterio di cassa.
Un taglio drastico alle risorse impegnabili per l’effettuazione
di tali servizi, che portera` con se´ la necessita`
di rivedere profondamente l’organizzazione
di ogni ente in questo ambito e certamente a effettuare
scelte per priorita`.
La norma esclude l’applicazione del taglio di spesa
per determinate tipologie di missione (missioni internazionali
di pace o connesse ad accordi internazionali
ovvero alla partecipazione a riunioni di organismi
internazionali o comunitari) nonche´ per le spese
sostenute per lo svolgimento di compiti ispettivi.
... e in particolare sull’utilizzo
del mezzo proprio
Il c. 12 della norma in esame, stabilisce con decorrenza
immediata dalla data di sua entrata in vigore, la disapplicazione nei confronti di tutto il personale
pubblico contrattualizzato di cui all’art. 3 del
D.Lgs. n. 165/2001, dell’art. 15 della legge 18 dicembre
1973, n. 836 e dell’art. 8 della legge n.
417 del 26 luglio 1978; analogamente e dalla stessa
data vengono caducati gli effetti di analoghe disposizioni
contenute nei contratti collettivi di lavoro.
Si tratta in sostanza delle norme che regolano la
possibilita` di autorizzare il dipendente all’utilizzo
del mezzo proprio per svolgere servizi fuori ufficio
e che ne quantificano i relativi rimborsi delle spese
sostenute.
Le due norme citate rappresentano l’unica fonte
normativa inerente al regime delle missioni e trasferte
in ambito pubblico, ed in particolare l’art.
15 della legge n. 836/1973 e` l’unico riferimento
normativo in cui e` prevista, previa autorizzazione,
la possibilita` del dipendente di spostarsi per ragioni
di servizio, utilizzando un mezzo di sua proprieta`, e
la conseguente possibilita` di ricevere un adeguato
rimborso delle spese sostenute, per cui la loro disapplicazione
ha indotto a considerare totalmente
abrogata ogni possibilita` non solo di ricevere specifici
rimborsi spese, ma addirittura di poter legittimamente
ricorrere a tale possibilita` per tutti gli spostamenti
per servizio.
Analisi della normativa disapplicata
Nell’ambito della regolamentazione generale del
‘‘trattamento economico di missione dei dipendenti
statali’’, disposto dalla legge n. 836/1973 ovvero
del quadro generale di regolamentazione delle casistiche
e delle situazioni in cui il dipendente pubblico
puo` essere chiamato a svolgere la sua attivita` lavorativa
al di fuori della ordinaria sede di lavoro e
dei conseguenti risvolti economici legati alla trasferta,
l’art. 15 detta una regolamentazione specifica
inerente la possibilita` da parte del dipendente di
utilizzare per gli spostamenti fuori ufficio, un proprio
mezzo di trasporto.
La norma in questione sembra dettare una regolamentazione
precisa e stringente limitando al c. 1
in modo preciso l’ambito soggettivo di applicazione,
ovvero si riferisce esplicitamente al personale
che eserciti funzioni ispettive, inoltre al comma
successivo definisce anche un preciso ambito territoriale
in cui tale modalita` di trasporto e` legittimamente
autorizzabile, ovvero l’ambito territoriale di
competenza dell’ente, comunque limitato al territorio
provinciale. Specifica inoltre una condizione
necessaria, ovvero l’accertamento della convenienza
economica rispetto ai normali servizi di trasporto
di linea.
La norma, oltre a definire le modalita` operative di
preventiva autorizzazione da parte del dirigente,
originariamente prevedeva la corresponsione a titolo
di indennita` onnicomprensiva di tutte le spese
sostenute per l’utilizzo del mezzo proprio, di un
importo pari a lire 43 per ogni chilometro percorso.
La stessa norma riconosce la possibilita` del dipendente
di farsi rimborsare anche spese accessorie all’utilizzo
del proprio mezzo quali quelle conseguenti
ai pedaggi autostradali
L’art. 8 della legge n. 417/1978 adegua l’importo
dell’indennita` chilometrica ragguagliandolo ad un
quinto del costo della benzina vigente nel tempo,
per ogni chilometro percorso.
Va notato che il successivo art. 9 della legge n.
417/1978 stabilisce una esplicita deroga all’ambito
territoriale suddetto; tale norma estende di fatto la
possibilita` di autorizzazione all’uso del mezzo proprio
alla generalita` dei dipendenti inviati in missione,
anche se non esercitanti funzioni ispettive, nei
casi in cui il luogo di missione non possa essere
raggiunto da mezzi pubblici, o comunque quando
l’orario dei mezzi esistenti non sia conciliabile
con lo svolgimento della missione (1).
L’estensione della disciplina
alla generalita` delle trasferte
Con successive disposizioni contrattuali i diversi
comparti di contrattazione pubblica, hanno declinato
tale disposizione alle peculiarita` del comparto,
estendendo in qualche modo l’ambito di applicazione
dell’Istituto. L’argomento del trattamento di
missione e trasferta fu infatti ripreso dall’accordo
intercompartimentale n. 395 del 23 agosto 1988 e
successivamente dall’art. 33 del D.P.R. n. 347 del
25 giugno 1983, recettivo dell’accordo nazionale
di lavoro del 29 aprile 1983 per il personale dipendente
dagli enti locali. E ` solo pero` con l’art. 41 c. 4
delle ‘‘Code contrattuali’’ CCNL 14 settembre
2000 che nella disciplina pattizia inerente agli enti
locali si introduce una piu` ampia possibilita` di utilizzo
del mezzo proprio per ragioni di servizio. Il
testo della norma recita infatti: ‘‘Il dipendente
puo` essere eccezionalmente autorizzato ad utilizzare
il proprio mezzo di trasporto, sempreche´ la trasferta
riguardi localita` distante piu` di 10 Km dalla
ordinaria sede di servizio e diversa dalla dimora
abituale, qualora l’uso di tale mezzo risulti piu` conveniente
dei normali servizi di linea. In tal caso ....
al dipendente ... il rimborso delle spese autostradali,
di parcheggio e dell’eventuale custodia del mezzo
ed una indennita` chilometrica pari ad un quinto
del costo di un litro di benzina verde per ogni
Km’’.
Seppure in un ambito piu` ampio, non ristretto
espressamente alle ipotesi di esercizio di funzioni
ispettive, la disposizione contrattuale rimarca comunque
l’eccezionalita` del ricorso all’utilizzo del
mezzo proprio, la possibilita` di utilizzarlo per spostamenti
non inferiori a 10 chilometri dalla sede di
lavoro, e la necessita` di comparare dal punto di vista
economico la convenienza di tale soluzione rispetto
al ricorso ai mezzi pubblici.
Gli effetti dell’art. 6 c. 12
del D.L. n. 78/2010
L’intervento abrogativo dell’art. 6 c. 12 del D.L. n.
78/2010 spazza via tali fonti normative e contrattuali
in modo inequivocabile; se sotto il profilo letterale
risulta difficile sostenere una qualche forma
di ultrattivita` dell’istituto dell’utilizzo del mezzo
proprio, sotto il profilo delle intenzioni del legislatore
ogni dubbio viene eliminato; dalla relazione illustrativa
del provvedimento D.L. n. 78/2010 presentata
al Senato, risulta infatti inequivocabilmente
la volonta` del legislatore di ... ‘‘sopprimere l’utilizzo
del mezzo proprio di trasporto... anche .. .nei casi
debitamente autorizzati’’.
Tale indirizzo, se da una parte ha reso chiara la volonta`
del legislatore, ha pero` aperto un forte dibattito
in merito alla sua efficacia in termini di riduzione
della spesa pubblica e in termini di efficienza
dell’azione amministrativa, con particolare riferimento
alle amministrazioni locali che spesso si sono
avvalse proficuamente della disponibilita` dei dipendenti
di utilizzare il proprio mezzo di trasporto;
si pensi che la maggioranza delle amministrazioni
locali deve gestire servizi su territori spesso molto
vasti in assenza di altri mezzi idonei a garantire
la presenza di propri addetti sul territorio. Siamo
quindi di fronte a un provvedimento che con l’intento
di ridurre i costi degli apparati amministrativi
(si veda in tal senso la rubrica dell’art. 6 del D.L. n.
78/2010), rende invece necessario, per non ridurre
l’efficacia dei servizi, ricorrere a soluzioni ben
piu` costose, quali l’acquisto di nuovi mezzi, o il noleggio
di mezzi di trasporto con conducente (taxi),
o anche semplicemente meno efficaci in termini di
utilizzo del tempo di lavoro del dipendente impegnato
fuori sede, come avverrebbe nel caso di sistematico
ricorso a mezzi pubblici di linea.
Di fronte a tale situazione molte amministrazioni si
sono temporaneamente orientate verso una soppressione/
sospensione delle autorizzazioni all’utilizzo
del mezzo di proprieta` del dipendente, ovvero,
in maniera decisamente meno elegante, alla soppressione
della sola liquidazione del rimborso delle
spese chilometriche sostenute dal personale in missione,
autorizzato all’utilizzo del mezzo proprio.
Del pari risulta diffusa la pratica di sospendere anche
il rimborso delle altre spese connesse all’utilizzo
del mezzo proprio in missione, quali il rimborso
dei pedaggi autostradali e le spese di rimessaggio e
parcheggio del mezzo di proprieta` del dipendente.
In ogni caso si tratta di provvedimenti cautelativi
finalizzati a evitare danni erariali, ma che non risolvono
il problema, scaricandolo sull’efficacia dei
servizi ovvero sul portafoglio del dipendente di
buona volonta` che si sobbarca i costi del proprio
mezzo per attivita` di servizio fuori sede. In ogni caso
si tratta di una situazione da cui occorrerebbe
uscire al piu` presto, prioritariamente con un intervento
abrogativo del legislatore, ma nell’emergenza
attraverso l’individuazione di linee interpretative
sostenibili, atte quanto meno a limitare i danni.
Le interpretazioni possibili
Sia lo stato della normativa scaturita dall’art. 6 c.
12 del D.L. n. 78/1973, che le intenzioni del legislatore
(esplicitate inequivocabilmente in sede di
relazione di presentazione del provvedimento al
Senato) non si prestano a letture diverse da quella
logico-letterale che comporta l’impossibilita` di applicare
le norme in esame dalla data di entrata in vigore
del D.L. n. 78/2010, tuttavia non sono mancati
tentativi di agire in via interpretativa sulla norma in
esame, con la finalita` di dare una sostenibilita` al
quadro normativo superstite anche sul piano dell’efficienza
ed efficacia dei servizi, e quindi tendenti
a limitare o annullare il blocco imposto dalla
Manovra estiva 2010.
Sostanzialmente i diversi sforzi interpretativi si
concretizzano in due distinte linee interpretative:
a) sulla base del testo letterale della norma, l’abrogazione
si riferisce esclusivamente al personale che
svolge attivita` ispettive, e non alla generalita` del
personale pubblico che puo` utilizzare il proprio
mezzo di trasporto, ricevendo l’adeguato rimborso
spese, per attivita` ordinarie (e quindi non ispettive!!).
Tale linea interpretativa e` stata sostenuta dalla
Regione Friuli-Venezia Giulia con parere prot. n.
10693 del 23 giugno 2010;
b) l’art. 6 c. 12 del D.L. n. 78/2010 disapplica l’art.
15 della legge n. 836/1973 e l’art. 8 della legge n.
417/1978, ma lascia vigente il successivo art. 9 legge
n. 417/1978. Tale norma consente, nel caso in
cui particolari esigenze di servizio lo impongano
e qualora risulti economicamente piu` conveniente,
l’uso del proprio mezzo di trasporto, comunque
autorizzato con provvedimento motivato, ‘‘anche
oltre i limiti della circoscrizione provinciale’’; di
conseguenza, la permanenza del corpo normativo
inerente la materia delle missioni e trasferte di questa
disposizione conferma la vigenza del ‘‘principio’’
della rimborsabilita` dei costi sostenuti per l’utilizzo
del mezzo proprio, seppure in casi particolari
e qualora sia economicamente piu` conveniente.
E `questa seconda la linea interpretativa che da piu`
parti si sta tentando di proporre quale via d’uscita
dallo stallo in cui l’art. 6 c. 12 ha messo il sistema.
Pur se l’argomento non e` stato affrontato nella Nota
Anci di piu` generale commento al D.L. n. 78/
2010 (2), si segnala che l’Associazione nazionale
comuni d’Italia, ha comunque fatto sentire la proprio
voce in materia con la nota della Sezione Emilia
Romagna prot. n. 15 del 13 luglio 2010. Con tale
pronuncia, seppure in forma dubitativa, si conclude
per l’autorizzabilita` dell’utilizzo del mezzo
proprio, in base al perdurare in vigenza dell’art. 9
della legge n. 417/1978.
Sulla stessa lunghezza d’onda, si registra l’intervento
del Dipartimento della Ragioneria generale
dello Stato, con circolare n. 36 prot. n. 89560 del
22 ottobre 2010 (3).
Secondo il Ministero dell’economia e finanze la disapplicazione
delle norme inerenti al mezzo proprio,
non si riferisce al personale che esercita funzioni
ispettive e piu` in generale attivita` istituzionali
di verifica e controllo sul territorio, in ragione della
particolare natura delle funzioni esercitate. Accogliere
la tesi inversa inficerebbe l’efficacia dell’azione
amministrativa degli uffici addetti a queste
attivita`. Deve comunque restare ferma la necessita`
di valutare in ogni caso con attenzione, e in chiave
di contenimento della spesa pubblica, se e quando
ricorrere a tale strumento attivando l’autorizzazione
all’uso del mezzo proprio solo nei casi in cui non
sia altrimenti possibile garantire le primarie funzioni
istituzionali di ispezione, verifica e controllo, e
in ogni caso, qualora la scelta del mezzo proprio
si rilevi economicamente piu` vantaggiosa.
La tesi sembra azzardata; se e` vero che le norme disapplicate
si riferiscono espressamente ‘‘al personale
che per lo svolgimento di funzioni ispettive
abbia frequente necessita`’’ per quale motivo, oltre
alla palese necessita` di proseguire efficacemente
nelle fondamentali attivita` ispettive, di verifica e
controllo del Ministero, si potrebbe concludere
per l’esclusione? La lettura acquista maggior senso
se la si legge in sintonia con un altro fondamentale
passaggio dell’art. 6 del D.L. n. 78/2010, ovvero la
disposizione, di cui si accennava in premessa, contenuta
nel terzo periodo del c. 12, che esclude
espressamente le attivita` di tipo ispettivo effettuate
fuori sede dalla limitazione delle spese di trasferta
in misura non superiore al 50% delle analoghe spese
sostenute nel corso dell’anno 2009. Risulterebbe
palese, nell’ottica del Ministero, anche nella volonta`
del legislatore, l’intento di salvaguardare comunque
le attivita` di tipo ispettivo, fondamentale, ad
esempio, per le attivita` di controllo e repressione
dell’evasione fiscale proprie del Dicastero delle Finanze.
Quanto invece alla generalita` del personale dipendente,
anche non esercitante funzioni ispettive, la
permanenza in vigore dell’art. 9 della legge n.
417/1978 giustifica il perdurare della possibilita`
di autorizzare legittimamente il personale in trasferta
all’utilizzo del mezzo proprio. Il Ministero su
questo punto da pero` una lettura fortemente orientata
alle finalita` di ‘‘riduzione dei costi degli apparati
amministrativi’’ dell’art. 6 della Manovra estiva
2010, e rimarca che le autorizzazioni rilasciate
in tal senso, potranno avere effetto esclusivamente
a garantire la copertura assicurativa. Si rammenta
in proposito che all’entrata in vigore del D.L. n.
78/2010 alcune compagnie di assicurazione avevano
immediatamente segnalato l’impossibilita` di coprire
i sinistri occorsi al personale dipendente inviato
in missione con il proprio mezzo, in assenza
di una legittimazione giuridica valida all’autorizzazione.
Di fatto, facendo una espressa deroga per il
personale addetto a funzioni ispettive, di verifica e
controllo, si vieta non gia` la possibilita` di autorizzazione
all’utilizzo del mezzo proprio, quanto il
rimborso delle spese conseguenti.
Piu` di recente si registra invece la voce autorevole
della Corte dei conti, Sezione regionale di controllo
per la Lombardia, che in risposta ad uno specifico
quesito sull’esatto ambito di applicazione dell’art. 6
c. 12 del D.L. n. 78/2010, e di conseguenza sull’ammissibilita`
di residue ipotesi di autorizzazione
all’uso del mezzo proprio dei dipendenti di enti locali
in trasferta, ha prodotto la delibera n. 949 del 1º
ottobre 2010 (4).
La pronuncia della Corte, che fa seguito ad uno
specifico quesito di un ente territoriale, riguarda
espressamente il caso di dipendenti che non svolgono
attivita` di tipo ispettivo, ma che devono comunque
effettuare frequenti spostamenti all’interno
del territorio di competenza dell’ente per ragioni
connesse al servizio. L’ente istante rappresenta la maggiore
dispendiosita` del servizio organizzato
con vetture di proprieta` dell’ente rispetto al riconoscimento
del rimborso chilometrico ai dipendenti
che usino il proprio mezzo.
Il Collegio incentra la sua analisi prima di tutto sull’esatta
individuazione dell’ambito di applicazione
della norma e sulla verifica eventuale residuale ipotesi
di autorizzazione dell’uso del mezzo proprio.
In questo senso la Corte preliminarmente sgombra
il campo da qualsiasi dubbio inerente possibili
esclusioni dall’ambito di applicazione dell’art. 6
c. 12, stabilendo inequivocabilmente che l’effetto
disapplicativo della norma in esame colpisce sia i
dipendenti che svolgono funzioni ispettive (art.
15 c. 1 legge n. 836/1973) che la generalita` dei dipendenti
esercitanti altre funzioni (c. 3), in ragione
della ratio di contenimento della spesa della p.a.
che pervade tutto il provvedimento in esame. Il secondo
luogo l’esame della Corte si spinge a verificare,
confermandola, la portata disapplicativa del
D.L. n. 78/2010 anche nei confronti delle analoghe
disposizioni contrattuali, e segnatamente, nell’ambito
del comparto regioni-enti locali, dell’art. 41
del CCNL 14 settembre 2000, avendo, entrambe
le disposizioni disapplicate, una ‘‘medesima portata
contenutistica’’. In questo senso siamo quindi di
fronte ad una dissonante diversita` di opinioni rispetto
a quanto sostenuto dal Ministero dell’economie
e delle finanze.
Nel piu` stringente merito della questione in esame,
la Corte, argomentando in base alla permanenza in
vigore dell’art. 9 della legge n. 17/1978, afferma
che nell’ambito delle Autonomie locali, tale disposizione
non riguarda direttamente la pura e semplice
razionalizzazione della spesa pubblica, bensı` in
una visione piu` ampia, l’autonomo potere di ogni
singola amministrazione di organizzazione dei propri
servizi. In quest’ottica l’ente territoriale legittimamente
puo` valutare le ‘‘particolari esigenze di
servizio’’ che impongano il ricorso all’autorizzazione
all’uso del mezzo proprio, previa verifica della
sua maggiore convenienza economica. E tale
esercizio dell’autonomia organizzativa degli enti
locali, sancito ormai inequivocabilmente dal nuovo
testo del Titolo V della Costituzione, potra` in ogni
caso determinare benefici effetti anche sul versante
della spesa pubblica.
La Sezione Lombardia conclude sposando una interpretazione
costituzionalmente orientata, in base
alla quale l’intervento disapplicativo dell’art. 6
del D.L. n. 78/2010 non puo` incidere sugli autonomi
poteri del singolo ente di organizzare autonomamente
i propri servizi. Tale lettura, conclude la
Corte, non solo porta a ritenere che l’uso del mezzo
proprio puo` essere legittimamente autorizzato, se
cio` incrementa efficacia, efficienza ed economicita`
dei servizi resi con tale particolare modalita`, ma anche
che la regolamentazione di tale fenomeno, con
propria autonoma regolamentazione, rende sostenibile
sia la rifusione delle spese effettivamente sostenute
in proprio dal dipendente, che la copertura
assicurativa dei mezzi privati attraverso polizze sottoscritte
dall’ente.
Tale tesi interpretativa porta a concludere per la necessita`
che ogni ente, in rispetto dei principi di contenimento
della spesa pubblica ribaditi in materia
dall’art. 6 della Manovra estiva 2010, organizzi
autonomamente, con proprio atto regolamentare,
le ipotesi di autorizzazione all’utilizzo del proprio
mezzo di trasporto per i propri dipendenti inviati
in missione, fuori o all’interno del proprio territorio
di competenza, non fosse altro per colmare un’ultima
lacuna del quadro complessivo: essendo stato
disapplicato l’art. 8 della legge n. 417/1978, e completamente
venuta meno una disciplina normativa
che regoli l’entita` economica del rimborso chilometrico.
Va comunque evidenziato che tale autonoma regolamentazione
non puo` prescindere da una attenta
valutazione in merito a:
_ l’essenzialita` dei servizi interessati e quindi una
pre-selezione degli ambiti di ricorso all’utilizzo
del mezzo proprio;
_ l’individuazione di ipotesi in cui sia certa l’opportunita`
organizzativa della modalita` di trasporto
prescelta;
_ il richiamo costante a criteri di economicita` e efficienza
in questo tipo di scelta;
_ la necessita` che tali considerazioni vengano convogliate
in un atto autorizzativo ben motivato e circostanziato.
Naturalmente la regolamentazione dovra` essere finalizzata
ad una complessiva riduzione dei costi,
in considerazione del fatto che, le spese per l’utilizzo
del mezzo proprio, al pari di tutte le spese di
missioni e trasferte, dovranno essere ricondotte
nel 2011 al 50% dell’analoga spesa sostenuta nel
2009.
In ogni caso l’art. 6 c. 12 del D.L. n. 78/2010 deve
essere un’occasione per ripensare il sistema per rifondarlo
su binari di efficienza ed efficacia, in
un’ottica di ottimale utilizzo delle risorse.
di Paolo Belli
Responsabile del servizio contabilita` e pensioni Comune di Cesena
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