1. Premessa .
L’art. 52 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150,
ha modificato l’art. 53 del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, inserendo nel testo il comma 1 -bis . Questo
prevede che «Non possono essere conferiti incarichi di
direzione di strutture deputate alla gestione del personale
a soggetti che rivestano o abbiano rivestito negli ultimi
due anni cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali
o che abbiano avuto negli ultimi due anni rapporti
continuativi di collaborazione o di consulenza con le
predette organizzazioni». La disposizione è stata approvata
ai sensi dell’art. 6, comma 2, lettera m) , della legge
4 marzo 2009, n. 15, nell’esercizio della delega al Governo
a «rivedere la disciplina delle incompatibilità per i
dirigenti pubblici e rafforzarne l’autonomia rispetto alle
organizzazioni rappresentative dei lavoratori e all’autorità
politica».
Considerati i numerosi quesiti pervenuti sulla portata
della norma, si ritiene opportuno fornire alcune indicazioni
generali ai fini di un’omogenea applicazione della
disposizione.
2. Finalità della norma .
La norma introduce un impedimento ovvero una condizione
ostativa relativa al conferimento di incarichi di
direzione nelle amministrazioni con riferimento alla preposizione
a strutture che gestiscono il personale.
La finalità della disposizione è quella di perseguire
un’azione amministrativa imparziale e uno svolgimento
della funzione dirigenziale scevro da possibili condizionamenti
mediante il ricorso a strumenti organizzativi
formali. La norma pertanto si riconduce ai principi
di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 della
Costituzione, che, a prescindere dalla natura dell’attività
e anche in presenza di un rapporto di lavoro contrattualizzato,
debbono essere osservati dalla pubblica amministrazione,
la quale è tenuta «al rispetto dei principi costituzionali
di legalità, imparzialità e buon andamento cui è
estranea ogni logica speculativa» (Corte costituzionale,
sentenze n. 146 del 2008 e 82 del 2003).
Ciò che si vuole evitare è un’eventuale influenza sulla
gestione che può derivare dal coinvolgimento attuale
o passato del responsabile della struttura in particolari
e significative attività sindacali o politiche o dall’aver
avuto con tali organizzazioni particolari rapporti. In
quest’ottica, la disposizione pone una norma precettiva
che non prevede alternative, volta ad evitare un potenziale
conflitto di interessi tra due uffici o tra l’interesse
personale e l’interesse pubblico. La situazione di «incompatibilità
» dovuta alla circostanza di rivestire una carica
in organizzazioni sindacali o in partiti politici o di avere
collaborazioni continuative con tali organizzazioni non è
rimovibile, a nulla valendo il fatto che l’incaricato possa
eventualmente dimettersi. Solo il decorso del tempo previsto
può rendere possibile il conferimento dell’incarico
nell’amministrazione.
La disposizione si colloca nel quadro più generale delle
misure introdotte con la riforma finalizzate a rafforzare il
ruolo del dirigente e, soprattutto, l’autonomia della sua
gestione rispetto a possibili ingerenze della politica e del
sindacato. Si pensi alla nuova formulazione dell’art. 5 del
decreto legislativo n. 165 del 2001 (novellato dall’art. 34
del decreto legislativo n. 150 del 2009), nel quale chiaramente
si ribadisce che «… le determinazioni per l’organizzazione
degli uffi ci e le misure inerenti alla gestione
dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli
organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del
privato datore di lavoro, fatta salva la sola informazione
ai sindacati, ove prevista nei contratti di cui all’art. 9. Rientrano,
in particolare, nell’esercizio dei poteri dirigenziali
le misure inerenti la gestione delle risorse umane
nel rispetto del principio di pari opportunità, nonché la
direzione, l’organizzazione del lavoro nell’ambito degli
uffici». In questo contesto rientra anche la revisione della
disciplina del conferimento e della revoca degli incarichi
dirigenziali operata mediante la novella all’art. 19 del decreto
legislativo n. 165 del 2001 da parte dell’art. 40 del
decreto legislativo n. 150 del 2009, lì dove, in aderenza
all’orientamento della Corte costituzionale (Corte costituzionale,
sentenze n. 161 del 2008, numeri 103 e 104
del 2007), è stata eliminata la previsione della cessazione
automatica dell’incarico, decorsi 90 giorni dal voto sulla
fiducia al Governo, in precedenza prevista per gli incarichi
conferiti ai sensi dei commi 5 -bis e 6 del medesimo
articolo, con conseguente limitazione della caducazione
automatica agli incarichi di vertice.
3. Ambito soggettivo .
3.1. Le amministrazioni interessate.
Come detto, la norma concerne le modalità di conferimento
degli incarichi di responsabilità sulle strutture;
essa pertanto riguarda direttamente le amministrazioni
dello Stato. Tenuto conto del fatto che la norma persegue
i valori costituzionali dell’imparzialità e del buon
andamento, per le altre amministrazioni la norma vale
comunque come principio. Le amministrazioni non statali,
quindi, devono adeguare il proprio ordinamento al
principio enunciato nella disposizione operando secondo
quanto previsto dall’art. 27 del decreto legislativo n. 165
del 2001 e, per gli enti locali, dall’art. 111 del decreto
legislativo n. 267 del 2000.
3.2. I soggetti interessati. Per quanto riguarda le amministrazioni dello Stato,
l’impedimento concerne innanzi tutto gli incarichi dirigenziali
conferiti ai sensi dell’art. 19 del decreto legislativo
n. 165 del 2001. Il vincolo di incompatibilità sussiste
anche nei confronti di tutti i dirigenti che vengono preposti
in base al comma 5 -bis e ai soggetti incaricati ai sensi
del comma 6 del citato articolo. Stante l’ampia dizione
utilizzata nella disposizione e la finalità perseguita, la
norma si applica inoltre a tutte le ipotesi in cui sia conferito
con atto formale un incarico sulle strutture deputate
alla gestione del personale. Sono comprese nel campo di
applicazione anche le strutture prive di rilevanza esterna
e, quindi, la disposizione riguarda pure l’attribuzione di
posizioni organizzative e di competenza mediante delega.
4. Ambito oggettivo .
4.1. Individuazione delle «strutture deputate alla gestione
del personale».
La norma in esame pone il regime di vincolo in riferimento
agli incarichi di direzione di «strutture deputate
alla gestione del personale». Il termine «deputate» individua
in modo chiaro la «missione», ossia la competenza
specifica in materia di gestione «del» personale. Pertanto,
la locuzione è da riferirsi propriamente ai soli uffici
cui istituzionalmente, in base agli atti di organizzazione,
è attribuita la competenza sulla gestione del personale
in ciascuna amministrazione. Dunque, non è compresa
nella previsione la preposizione ad uffici che, tra le altre
competenze, svolgono anche l’attività di gestione del
personale (ad esempio, i Capi Dipartimento e i Segretari
generali preposti a strutture organizzative complesse nel
cui ambito sono collocati gli uffici dirigenziali generali
competenti in materia di affari generali e personale, mentre
rientrano nel regime restrittivo i Capi Dipartimento
degli affari generali e personale) e, in generale, la preposizione
alle strutture alle quali, specie in amministrazioni
di dimensioni ridotte, fanno capo tutte le competenze
generali di gestione, tra cui quella relativa al personale
interno (ad esempio, i dirigenti scolastici e, comunque,
tutti i dirigenti cui viene attribuito un incarico di funzione
su un ufficio, i quali, come noto, hanno competenza sulla
gestione del personale assegnato alla propria struttura). In
tali ipotesi, sarà cura di ciascun responsabile evitare la ricorrenza
di situazioni di conflitto di interesse, soprattutto
in occasione di trattative negoziali, adottando, se del caso,
le iniziative e gli atti organizzativi necessari. Si richiama
in proposito l’osservanza del codice di comportamento
dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni approvato
con decreto ministeriale 28 novembre 2000.
In sostanza, la prescrizione riguarda la preposizione
alle strutture del personale, siano esse di livello generale
o non generale, competenti in materia di reclutamento,
trattamento, gestione e sviluppo del personale, relazioni
sindacali, secondo le scelte e l’individuazione che ogni
amministrazione effettuerà in base alle competenze attribuite
dallo specifico ordinamento a ciascuna struttura.
Nella valutazione, fra gli altri aspetti, saranno considerati
anche il potere di rappresentanza quale delegazione
trattante per l’amministrazione attribuito all’ufficio ed il
grado di discrezionalità insito nell’esercizio di ciascuna
competenza.
Al fine di un’applicazione quanto più oggettiva della
norma, sarebbe opportuno che ciascuna amministrazione
individuasse, per mezzo del regolamento di organizzazione
o mediante altro atto ministeriale generale, le strutture
per le quali sussiste il regime di limitazione in base alla
norma. Ciò si rivela tanto più utile in quanto le nuove
norme sul conferimento degli incarichi ai dirigenti, in osservanza
ad un principio di trasparenza, prevedono che il
conferimento dell’incarico sia preceduto dalla pubblicizzazione
dei posti vacanti e dalla valutazione delle disponibilità
dei candidati (art. 19, comma 1 -bis , del decreto
legislativo n. 165 del 2001, introdotto dal decreto legislativo
n. 150 del 2009). L’individuazione a priori e in generale
delle posizioni la cui copertura richiede la sussistenza
di particolari requisiti contribuisce ad evitare che soggetti
che non rispondono alle condizioni di legge possano
manifestare all’amministrazione la propria disponibilità
verso posti per i quali vige la preclusione.
4.2. Concetto di carica in organizzazione sindacale e in
partiti politici ai fini dell’applicazione della norma.
La norma, come detto, introduce una condizione ostativa
per il conferimento di incarichi rispetto allo svolgimento
attuale o passato di certe attività. Trattandosi di disposizione
che interferisce con libertà costituzionalmente
tutelate (articoli 18, 39 e 49 Cost.), la sua portata va interpretata
in maniera strettamente attinente alla finalità
perseguita.
4.2.1. Il concetto di carica in organizzazioni sindacali.
Premesso che la mera iscrizione quale associato ad un
sindacato o ad un partito politico non ha alcun rilievo ai
fini dell’applicazione della disposizione, per il concetto
di carica sindacale si ritiene coerente con le predette finalità
attribuire rilievo all’aspetto del ruolo che il soggetto
assume e svolge nell’ambito dell’organizzazione sindacale.
Tale ruolo non può essere quello di semplice partecipazione
priva di funzione direzionale. Sono richiesti
invece la partecipazione alle scelte dell’organizzazione e
lo svolgimento, come da statuto o da atto costitutivo, di
compiti di reale impulso all’attività mediante la decisione,
l’adozione e l’esternazione di atti gestionali secondo
quanto previsto negli atti costitutivi e negli statuti delle
organizzazioni o quanto risultante dalle eventuali comunicazioni
dei sindacati. Nell’ottica dell’introduzione in
via legislativa di precauzioni formali finalizzate ad assicurare
un esercizio della funzione scevro da possibili
condizionamenti, la circostanza che il dipendente ricopra
o abbia ricoperto nel biennio precedente questo tipo di
carica è un fattore di interferenza che si intende escludere
a priori poiché il soggetto, in quanto organo che è stato
recentemente munito di mandato per realizzare i fini del
sindacato, potrebbe essere coinvolto anche nell’espletamento
dell’incarico di gestione all’interno dell’amministrazione.
Coerentemente con l’intento sopra enunciato
di interpretare la norma in senso stretto ed in linea con la
finalità, non si ritiene rientri nel concetto di carica sindacale
la circostanza di svolgere attività nell’associazione
in mancanza della titolarità delle funzioni sopra indicate,
poiché in tal caso risulta assente il potere di assumere
decisioni autonomamente rilevanti nell’organizzazione e
per l’organizzazione. In sostanza, ai fini della norma in esame è rilevante la
circostanza di essere o di essere stato dirigente sindacale,
nonché di agire — in virtù di un atto formale — in nome
e per conto dell’associazione quale funzionario delegato.
Un conforto normativo all’utilizzo di questi criteri può
essere rintracciato nell’art. 3, comma 2, del decreto legislativo
n. 564 del 1996, che, nell’ambito di una disciplina
relativa alla contribuzione figurativa per le posizioni di
aspettativa sindacale e politica, definisce cariche sindacali
«quelle previste dalle norme statutarie e formalmente
attribuite per lo svolgimento di funzioni rappresentative e
dirigenziali a livello nazionale, regionale e provinciale o
di comprensorio, anche in qualità di componenti di organi
collegiali dell’organizzazione sindacale».
La rilevanza della carica nel senso sopra indicato si
verifica in qualsiasi tipo di organizzazione sia essa una
confederazione, una federazione o un’organizzazione di
categoria.
Inoltre, la rilevanza della carica si realizza a qualsiasi
livello dell’organizzazione, sia esso nazionale, locale o
aziendale. Quindi, rientra nel concetto di carica anche la
funzione di dirigente sindacale nell’ambito delle R.S.A.,
operanti per i dirigenti delle aree, le quali, nel settore del
lavoro pubblico, sono costituite dalle organizzazioni sindacali
rappresentative e si presentano come articolazioni
periferiche del sindacato (art. 42, comma 2, del decreto
legislativo n. 165 del 2001).
Ai fini della norma si deve ritenere compreso nel regime
di impedimento anche l’essere componente della
R.S.U.. Infatti, la R.S.U. è costituita a seguito di elezione
di candidati in liste presentate dalle organizzazioni sindacali
(art. 42, comma 4, del decreto legislativo n. 165 del
2001), i suoi componenti sono equiparati ai dirigenti delle
R.S.A. (art. 42, comma 6, del decreto legislativo n. 165
del 2001) e l’organismo subentra «alle RSA o alle analoghe
strutture sindacali esistenti comunque denominate
ed ai loro dirigenti nella titolarità dei diritti sindacali e
dei poteri riguardanti l’esercizio delle competenze contrattuali
ad esse spettanti» (art. 5, CCNQ 7 agosto 1998).
Si segnala che un repertorio delle organizzazioni sindacali
presenti nei vari comparti di contrattazione è elaborato
e pubblicato periodicamente dall’ARAN (www.
aranagenzia.it), che cura l’accertamento della rappresentatività
sindacale ai sensi dell’art. 43 del decreto legislativo
n. 165 del 2001. Tale documento non ha carattere
esaustivo, ma può essere un utile punto di riferimento per
conoscere i sindacati che operano nell’ambito dei diversi
comparti ed aree.
4.2.2. Il concetto di carica in partiti politici.
Anche per l’individuazione del concetto di carica in
partito politico è necessario utilizzare criteri rispettosi
e non eccedenti la finalità della legge. Il riferimento al
criterio direttivo, utilizzato per l’individuazione delle cariche
sindacali rilevanti, è utile anche per delimitare le
cariche in partito politico. Infatti, attraverso la condizione
ostativa posta dalla norma si elimina a priori il rischio
del conflitto di interesse che si può creare tra il soggetto
che opera nell’amministrazione come dirigente preposto
alla direzione del personale e il soggetto che opera o ha
operato nell’organizzazione politica con poteri direttivi.
Pertanto, l’impedimento al conferimento dell’incarico
sulle strutture del personale sussiste ogni qual volta nei
confronti dell’interessato ricorrono le condizioni dell’attribuzione
di un incarico formale su posizioni direttive
dell’organizzazione partito, nelle sue varie articolazioni,
che comportano compiti di reale impulso all’attività mediante
l’adozione di decisioni, anche con la loro esternazione
al di fuori dell’organizzazione, di atti di gestione,
come da statuto, da atto costitutivo, delibera dell’assemblea
o di altro organo del partito.
La considerazione del potere direttivo quale elemento
necessario per la configurazione della carica politica trova
il conforto nell’orientamento formatosi nell’ambito della
giurisprudenza amministrativa in tema di commissioni di
concorso, disciplinate dall’art. 35, comma 3, del decreto
legislativo n. 165 del 2001, che, al pari della disposizione
in esame, prevede quale causa ostativa alla nomina nelle
commissioni l’essere titolare di «carica politica» (Cons.
Stato, Sez. V, 27 luglio 2002, n. 4056; Tar Lazio, Roma,
Sez. II -quater , 22 aprile 2008, n. 3367). In particolare, il
Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare che «per
carica politica deve intendersi solo l’ufficio che postula
la rappresentanza, in via organica e professionale, di interessi
e valori direttamente riferibili ad una parte politica,
e cioè, ad un partito, con la conseguenza che il divieto
in esame va circoscritto ai soli titolari di cariche direttive
all’interno dei partiti» (Cons. Stato, Sez. V, 27 luglio
2002, n. 4056).
Occorre precisare che la circostanza che l’interessato
sia risultato vincitore in competizioni elettorali non è di
per sé significativa della ricorrenza del presupposto richiesto
dalla norma. Infatti, da un lato le cariche in partiti
politici possono essere attribuite anche a soggetti che non
sono risultati eletti, dall’altro, dal fatto di essere risultato
eletto non consegue automaticamente l’attribuzione di
una carica nel senso indicato. Emerge quindi la differenza
tra il concetto di carica in partito politico, che comporta
un’investitura formale nell’organizzazione dell’associazione,
e carica pubblica, consistente nel conferimento
di un incarico organico nell’organizzazione pubblica. È
chiaro che, a prescindere dalla norma in esame, rimane
in ogni caso salvo il principio generale della distinzione
tra attività di indirizzo e controllo e attività di gestione
amministrativa, con la conseguente preclusione della possibilità
di attribuire la responsabilità di strutture amministrative
di gestione ad organi facenti parte dell’autorità
politica (salvo precise eccezioni, come per gli enti locali
previsto dall’art. 53, comma 23, della legge n. 388 del
2000). Anche per questo caso vale il richiamo all’osservanza
del codice di comportamento dei dipendenti delle
pubbliche amministrazioni.
Per quanto riguarda l’individuazione dei partiti politici,
non esiste nel nostro ordinamento un albo ufficiale
dei partiti politici, che, come detto, si configurano come
associazioni non riconosciute dalla più varia articolazione.
Non si intende in questa sede fornire specifici criteri
di individuazione, ma soltanto rammentare elaborazioni
già compiute. Richiamando l’orientamento della dottrina
prevalente, il partito politico è definito come «“parte totale”,
propria di una formazione sociale che, pur adottando una visione
del mondo necessariamente caratterizzata
da uno specifico indirizzo politico ideologico, è in grado
di proporre una sintesi politica dei particolari interessi
espressi dalla società» (G. Rizzoni, in commentario alla
Costituzione a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti,
sub art. 49, UTET, 2006, 985 ss., con citazione di Mortati
e Crisafulli).
Tale dottrina ha pure evidenziato i caratteri tipici del
partito politico alla luce del dettato costituzionale, che
vengono individuati nella partecipazione a competizioni
elettorali e nell’essere munito di un’organizzazione stabile
e di un’articolazione organizzativa permanente, con il
che si individuerebbe anche la differenziazione rispetto
ad altre formazioni, come i gruppi di pressione e i gruppi
politici organizzati (idem).
4.2.3. Le collaborazioni e le consulenze rilevanti ai fini
dell’applicazione della disposizione.
Analogo impedimento è stabilito dalla disposizione anche
nei confronti di chi abbia o abbia avuto nei due anni
precedenti «rapporti continuativi di collaborazione o di
consulenza» con le organizzazioni politiche o sindacali.
Al fine di indicare i limiti di operatività della norma ed
evitare un’applicazione fumosa e ambigua del disposto
in un contesto che, come si è visto, è caratterizzato dalla
rilevanza di valori costituzionali, si ritiene che la sua
portata possa essere limitata alle collaborazioni oggetto
di un rapporto di lavoro e professionale qualificate dalla
pattuizione di un compenso. L’esistenza del rapporto
di lavoro e professionale, infatti, consente di ancorare a
dati oggettivi accertabili la verifica della sussistenza del
vincolo con l’associazione, evitando nei fatti che anche
un rapporto di cortesia od «amicale» di interessamento
possa far scattare l’incompatibilità. D’altra parte, è con la
pattuizione e la corresponsione del compenso che si rafforzano
il vincolo e l’interesse del soggetto nei confronti
dell’organizzazione. Pertanto, non si ritengono rilevanti
per la configurazione della causa ostativa eventuali collaborazioni
a titolo gratuito, che, d’altra parte, rappresentano
un’eccezione rispetto alla regola dell’onerosità delle
prestazioni lavorative e professionali.
La legge menziona i rapporti di collaborazione e di
consulenza. Quest’ultima si configura come una collaborazione
avente un particolare oggetto, quella dell’assistenza
con il consiglio, realizzando la fattispecie della
prestazione d’opera intellettuale.
In base alla norma, non rilevano rapporti di tipo occasionale
o saltuario, mentre l’incompatibilità sussiste nel
caso di ripetuti rapporti aventi carattere occasionale tali
da concretarsi in attività continuativa.
La terminologia utilizzata nel testo, nell’ottica dell’esigenza
di interpretare la disposizione in senso coerente
con le finalità perseguite, induce a ritenere che nel concetto
di collaborazione rilevante rientri anche la fattispecie
del rapporto di lavoro subordinato, il quale certamente
implica una collaborazione continuativa con il datore caratterizzata
dal particolare vincolo della subordinazione.
Pertanto, le collaborazioni rilevanti sono quelle oggetto
di lavoro autonomo, che si traducono in rapporti continuativi
o di lavoro a progetto, e oggetto di lavoro subordinato,
per la cui prestazione è stabilito un compenso. Si
precisa, inoltre, che la norma non richiede che la collaborazione
sia coordinata oltre che continuativa; in sostanza,
la disposizione prescinde dalla concreta configurazione
del rapporto quale collaborazione a progetto.
5. Ambito temporale di applicazione .
In base alla norma, l’impedimento si manifesta nel
caso in cui l’incarico o la collaborazione sia in corso al
momento della preposizione alla struttura o si siano verificati
negli ultimi due anni. Gli estremi del periodo di
incompatibilità sono costituiti da un lato dalla scadenza
del mandato o dal termine del rapporto di collaborazione
o di lavoro subordinato e, dall’altro, dal termine iniziale
di efficacia del provvedimento di incarico dirigenziale.
In mancanza di una più specifica indicazione della norma,
per individuare il dies a quo dell’operatività della disposizione
è necessario fare riferimento al generale principio
secondo cui la legge non dispone che per l’avvenire.
Conseguentemente, la norma in esame riguarda soltanto
gli incarichi di direzione conferiti a decorrere dall’entrata
in vigore del decreto legislativo n. 150 del 2009 (15 novembre
2009). In assenza di diversa disposizione, per tali
incarichi dovrà essere verificata l’insussistenza della causa
ostativa con riferimento al momento del conferimento
e con riferimento al pregresso biennio.
6. Dichiarazione di notorietà dell’interessato .
Ai fi ni dell’osservanza della norma, le amministrazioni
che intendono conferire un incarico su strutture deputate
alla gestione del personale debbono acquisire apposita
dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da parte
dell’interessato resa ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. n. 445
del 2000.
7. Inosservanza della norma .
Nel caso in cui dovesse emergere la situazione di incompatibilità,
a parte l’applicazione delle sanzioni collegate
alla falsa dichiarazione resa (art. 76 del D.P.R. n. 445
del 2000), l’amministrazione avvierà il procedimento disciplinare
per l’accertamento della relativa responsabilità
e l’applicazione delle connesse sanzioni. In proposito, si
segnala che l’art. 55 -quater del decreto legislativo n. 165
del 2001, introdotto dall’art. 69 del decreto legislativo
n. 150 del 2001, prevede la sanzione del licenziamento
senza preavviso nei casi di «falsità documentali o dichiarative
commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione
del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera
». La fattispecie disciplinare è stata ripresa dall’art. 9
del CCNL dell’area dirigenziale I stipulato il 12 febbraio
2010, contratto che, come noto, ha per la prima volta
disciplinato il codice disciplinare per il personale dirigenziale.
Nonostante l’infrazione faccia specificamente
riferimento all’instaurazione del rapporto di lavoro e alle
progressioni di carriera, è chiaro che l’analoga condotta
tenuta al fine di conseguire il conferimento dell’incarico,
merita una valutazione altrettanto severa e può essere tale
da giustificare il recesso per giusta causa, sempre possibile
a mente di quanto previsto dalla menzionata clausola.
Per il personale non dirigenziale ad analoghe conclusioni
potrà pervenirsi ai sensi dell’art. 13, comma 6 del CCNL
12 giugno 2003. Considerato che la norma contiene un impedimento
rispetto all’esercizio del potere di conferire l’incarico, a
seconda delle circostanze, la responsabilità potrà estendersi
anche al soggetto conferente, il quale poteva eventualmente
essere a conoscenza della situazione ostativa o
aver omesso l’accertamento del requisito.
A fronte dell’esistenza di una delle ragioni di impedimento
introdotte dall’art. 53, comma 1 -bis , in esame
l’amministrazione, come detto, non può conferire incarichi
di gestione del personale. Nell’ipotesi in cui l’incarico
venisse conferito in presenza di una causa ostativa,
questa determinerebbe la nullità degli atti con cui l’incarico
è stato attribuito per violazione di norma imperativa.
L’amministrazione dovrebbe pertanto operare per la
rimozione dell’illegittimità ed il ripristino della legalità
mediante l’adozione di un atto ricognitivo della nullità e
il conferimento di un nuovo incarico a soggetto munito
dei requisiti prescritti dalla legge. A prescindere dalla natura
giuridica degli atti in questione, appare rispettoso del
corretto assetto dei rapporti tra l’amministrazione ed il
dirigente che la rimozione degli atti viziati sia preceduta
da una comunicazione di avvio del procedimento indirizzata
all’interessato, con il quale è opportuno si verifichi
un contraddittorio sui presupposti di fatto.
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